martedì 29 novembre 2016

Popoli antichi e Correnti superficiali dell’Adriatico del Dott. Nazzareno Graziosi

Popoli antichi e Correnti superficiali dell’Adriatico
di Nazzareno Graziosi




Le Marche e la costa occidentale dell’Adriatico sono, da millenni, porto di arrivo: la storiografia antica lo propone, quella moderna non lo esclude. Il Gallucci in Antichità Picene, 1786, afferma: molti e vari popoli vi ebbero stanza e imperio, tra essi novera: Siculi (quelli antichissimi non i siracusani – Italo compreso), Liburni, Enotrj, Ausoni, Peucezj, Umbri, Pelagi, Etruschi e Galli. Per Ellanico i primi erano: “Stirpe antecedente la guerra di Troia”, Filisto 80 anni prima. Pierfrancesco Giambullari (Firenze, 1495 – Firenze, agosto 1555) scrisse “Istoria dell’Europa dall’800 al 913” dove leggiamo: “…dopo la guerra di Troia, uno nipote di Priamo, chiamato Franco, fattosi capo di una gran parte che vi erano campati, se ne venne nel mar maggiore…”. Non sappiamo di Franco e del mar Maggiore che doveva essere l’Adriatico, ma potevano esistere collegamenti tra mar Nero, mar Caspio, Volga e Danubio. In ogni caso questo storico accetta grandi trasferimenti via acqua.
Durante la mia vita di dirigente pubblico ho effettuato numerosi controlli su animali spiaggiati e ho potuto costatare che i luoghi di rinvenimento cambiavano di mese in mese. Lungo il litorale di Porto Sant’Elpidio abbiamo anche raccolto una tartaruga che 11 mesi prima era stata identificata, con una targhetta metallica sul carapace, nel golfo del Messico. L’apparato intestinale era completamente vuoto: morta per inedia, era stata trasportata dalla corrente. Mi sono convinto della necessità attivare studi delle correnti marine anche nell’ottica della prevenzione di malattie esotiche. Non ho trovato aiuti e le mie capacità non hanno oltrepassato il reperimento delle carte delle correnti della Marina militare; ma per l’argomento di cui trattiamo sono ampiamente sufficienti.
I nostri uomini di mare raccontano di numerosi Slavi approdati, nei primi anni 1950, sulle coste Marchigiane, dopo essere fuggiti in barca dalla dittatura comunista di Tito. Giorgio Cingolani, pubblicato da Mursia nella raccolta “Adriatico, storie di mare e di costa”, racconta la fuga di Sminian con la moglie e due amici, su una barchetta a remi, partito in prossimità di Murter, puntando la prua su Civitanova. Dopo circa 30 ore prese terra a Porto d’Ascoli, dove gli sbarchi, in estate, erano molto numerosi. Certamente Smilian e la tartaruga non potevano arrivare in così breve tempo nelle Marche se non aiutati dalle correnti marine superficiali, il cui flusso principale sulla costa slava spinge verso nord e su quella italiana verso sud.
 La barca di Sminian non era certo molto più evoluta di quelle di cui potevano disporre popoli dell’era preromana. Anche le correnti superficiali dell’Adriatico non potevano essere molto diverse dalle attuali: esse sono direttamente correlate alle maree (influsso della luna, del sole e di pianeti), al punto anfidromico, (intorno al quale la marea ruota in senso antiorario), alle masse d’aria sull’acqua e in particolare a densità, temperatura, evaporazione del mare e alla quantità di acqua dolce immessa. Questi dati non sembrano significativamente variati nei millenni; se così non fosse stato, la storia avrebbe riferito del cataclisma, dell’impaludamento e dell’invivibilità dei territori circostanti. Da quanto sopra e dalla visione delle carte delle correnti superficiali adriatiche, con particolare attenzione a quelle circolari (variabili con le stagioni, con il loro moto antiorario consentivano e consentono ai naviganti esperti di giovarsi di esse nelle loro rotte), è evidente che Colucci e gli altri storici siano attendibili. Molti nobili popoli sono venuti nelle Marche, lasciando segni della loro civiltà, cultura, scienza, tecnologia, e delle loro fedi religiose.

Oggi non vogliamo vederlo!


lunedì 28 novembre 2016

Conferenza del Prof. G. Carnevale - ASSISI 26 NOV 2016 parte 4


L'evento,nato da un incontro tra il Centro Studi San Claudio al Chienti e l'Associazione Culturale "Arnaldo Fortini" di Assisi, si è svolto nella magnifica ed accogliente sede di Palazzo Vallemani, al centro di Assisi.

Conferenza del Prof. G. Carnevale - ASSISI 26 NOV 2016 parte 3

L'evento,nato da un incontro tra il Centro Studi San Claudio al Chienti e l'Associazione Culturale "Arnaldo Fortini" di Assisi, si è svolto nella magnifica ed accogliente sede di Palazzo Vallemani, al centro di Assisi.

Conferenza del Prof. G. Carnevale - ASSISI 26 NOV 2016 parte 2

L'evento,nato da un incontro tra il Centro Studi San Claudio al Chienti e l'Associazione Culturale "Arnaldo Fortini" di Assisi, si è svolto nella magnifica ed accogliente sede di Palazzo Vallemani, al centro di Assisi.

Conferenza del Prof. G. Carnevale - ASSISI 26 NOV 2016 parte 1a

L'evento,nato da un incontro tra il Centro Studi San Claudio al Chienti e l'Associazione Culturale "Arnaldo Fortini" di Assisi, si è svolto nella magnifica ed accogliente sede di Palazzo Vallemani, al centro di Assisi.


Conferenza del Prof. G. Carnevale - ASSISI 26 NOV 2016 parte 1

L'evento,nato da un incontro tra il Centro Studi San Claudio al Chienti e l'Associazione Culturale "Arnaldo Fortini" di Assisi, si è svolto nella magnifica ed accogliente sede di Palazzo Vallemani, al centro di Assisi.



venerdì 25 novembre 2016

riportiamo da :GOODMORNINGUMBRIA

L’EREDITA’ FRANCO – CAROLINGIA NELLA PERSONALITA’ DI FRANCESCO


diegodi Francesco La Rosa
Alberto Morresi, direttore del Centro Studi San Claudio introduce in anteprima su Goodmorning  Umbria la conferenza “L’Eredità Franco-Carolingia nella personalità di Francesco” organizzata dal Centro Studi San Claudio in collaborazione con la Società Culturale “Arnaldo Fortini” che ospita l’evento presso Palazzo Vallemani in Assisi.
1) Che cosa significa dirigere il Centro Studi San Claudio?
E’ piacevole perché ci si trova in mezzo a gente appassionata del proprio territorio e affascinata dalle teorie di Giovanni Carnevale che danno nuovo lustro all’area Picena.
2) Le tesi del Prof. Carnevale, che impatto potranno avere sul Piceno e sulla storia d’Europa se venissero riconosciute a livello accademico?
Sarebbe una rivoluzione importantissima perché  rimetterebbe in gioco tutto quanto abbiamo fino ad oggi conosciuto dell’Europa e del Piceno. Significherebbe accettare l’idea che il Medioevo Piceno era il fulcro di tutte le attività politico-culturali e militari tra Longobardi, Papato e Impero d’Oriente.
3) Cosa si aspetta dall’evento di domani in Assisi?
Mi auguro che le tesi del Prof. Carnevale vengano prese in considerazione dalla nomenclatura degli storici e non rifiutate a priori come purtroppo è sinora accaduto.
Il Prof. Giovanni Carnevale ha dedicato gli ultimi trent’anni allo studio dell’Alto Medioevo
Piceno ed ha pubblicato con cadenza biennale undici volumi, sostenendo l’ardita tesi che, in quell’epoca storica, i Franchi nel 715 d.C. si siano stanziati nel Piceno, cambiandone il nome in Francia (quando la Gallia aldilà delle Alpi conservava l’antico nome romano). La tesi comporta anche l’affermazione, sostenuta da valide prove, che i carolingi Carlo Martello, Pipino il Breve e Carlo Magno abbiano posto in Val di Chienti la loro sede, prima al rango di centro del regno, poi, sotto Carlo Magno, di impero. Carnevale, assieme al suo fido collaboratore Domenico “Mimmo” Antognozzi ha seguito l’evoluzione storica dell’Alto Medioevo e continua a raccogliere nuove prove a sostegno delle sue tesi. Molti dei sui ex-allievi sono oggi membri del Centro Studi San Claudio al Chienti.
Diego Antolini, portavoce del Gruppo The X-Plan, interverra’ durante la conferenza per spiegare come il suo gruppo di ricerca si sia avvicinato alle tesi del Prof. Carnevale e stiano lavorando insieme per divulgare e informare le persone su questo nuovo scenario storico.
Il Gruppo The X-Plan ha pubblicato quest’anno tre articoli sulla rivista nazionale Enigmi della Storia (Zona Franca Edizioni, Roma): “Seculum Obscurum Rivelato”, “Macerata Carolingia,  questione critica” e “Seculum Obscurum Rivelato: la tomba di Carlo Magno e’ a San Claudio?”
La conferenza si terrà a Palazzo Vallemani in Via San Francesco 12, Assisi alle ore 17:00

martedì 22 novembre 2016

Pubblichiamo una relazione ricevuta del Dott. Piero Giustozzi

Fatti misteriosi a San Claudio durante l’occupazione tedesca (1943-1944).
                                     
                                                            

Wolfgang Hagemann fu un famoso studioso del Medioevo, principalmente delle relazioni intercorse fra la dinastia degli Hohenstaufer e la città di Jesi e alcuni centri comunali del fermano e del maceratese. Già nel 1937 ne aveva visitato gli archivi storici senza essere controllato. Durante l’occupazione tedesca, a San Claudio, oltre ad un contingente di militari tedeschi, una importante delegazione di alto livello ispezionò la chiesa. Non sappiamo se per disposizione di Hagemann o dallo stesso guidata. Cosa cercava e cosa ha portato via? Mistero. Mistero che aveva eccitato la curiosità del giovane parroco don Benedetto Nocelli da indurlo a chiedere, nei primi anni Sessanta, alle persone più anziane notizie sulla famosa mummia  e su altri fatti strani avvenuti durante l’occupazione tedesca. Mistero che tenteremo di chiarire.
Lino Martinelli (1923) ricorda, che durante le incursioni aeree delle forze alleate sulla tratta ferroviaria Civitanova – Tolentino, la popolazione di San Claudio trovava un sicuro rifugio nella chiesa, con la certezza che non sarebbe stata colpita.
Di quel periodo turbolento e tragico, le fonti bibliografiche e documentali, le testimonianze,  sebbene lacunose e talvolta contraddittorie, ci permettono di proporre con una certa attendibilità gli avvenimenti e di avanzare alcune ipotesi interpretative. Abbiamo tratto informazioni dal manoscritto inedito Vita vissuta del dott. Costantino Lanzi, primo sindaco di Corridonia dopo la Liberazione, da L’ultima guerra in val di Chienti (1940-1946)di Aldo Chiavari, da Guerra ai nazisti il racconto di un patriota chiamato “Verdi” di Mario Fattorini, dai documenti del Cln comunale, da varie testimonianze, le più significative quelle di don Benedetto Nocelli, parroco di San Claudio dal 1962 al 2011, di Claudio Principi e dei nipoti di don Giovanni Michetti, pievano e parroco di San Claudio dal 1923 al 1956.

A supporto della nostra ipotesi, brevemente proponiamo qui soltanto le uccisioni di soldati tedeschi, tralasciando gli altri avvenimenti.
Il ten. Mario Taglioni (1918) era il comandante partigiano di Corridonia, Mogliano e Petriolo.
Dopo l’inutile assassinio del fascista Goliardo Compagnucci per mano di Guglielmo Palombari, (rappresaglia della milizia fascista evitata per l’intervento del segretario del fascio locale), le azioni d’attacco dei partigiani si concentrano nel mese di giugno 1944, quando ormai è imminente dell’arrivo dell’armata polacca.
Assaltano nella zona di Cigliano una colonna tedesca. Tre soldati uccisi. Mario Taglioni da solo uccide nel campo d’aviazione di Sarrocciano una sentinella tedesca, asporta parti di una mitragliatrice e taglia  i fili della linea telefonica.
Guglielmo Palombari ( Gugliè de Panara) accoppa a casa Spalletti, con un colpo alla nuca, un soldato tedesco intento a suonare il pianoforte. Carica il cadavere su una carriuola in uso ai muratori e lo fa scomparire. Un altro tedesco viene ucciso il 19 giugno sotto il ponte di Chienti. Al riguardo non esistono altre informazioni. Un soldato tedesco di guardia al comando tedesco installatosi nella scuola di San Claudio, situata lungo la nazionale e vicino al mulino Franceschetti, di notte è ucciso da due sedicenti partigiani di Corridonia. Su questo delitto, per molti aspetti emblematico della guerra civile, non esiste documentazione. Ne siamo, tuttavia, venuti a conoscenza per la testimonianza dei fratelli Foresi, allora poco più che ragazzi. Storia che racconterò nel prossimo libro.
Per queste uccisioni non si hanno rappresaglie da parte del comando tedesco. Per l’uccisione della sentinella della scuola, il comando tedesco si astenne avendo ottenuto prove incontrovertibili della non colpevolezza degli abitanti della zona. Più complessa la questione relativa all’uccisione della sentinella di Sarrocciano. La rappresaglia fu evitata grazie ai buoni rapporti tra la popolazione della contrada e i soldati che compresero come l’attacco notturno fosse da attribuirsi ad elementi partigiani. Gli agricoltori della tenuta di Sarrocciano ricordano e sottolineano infatti la forma di pacifica convivenza tra le loro famiglie i reparti germanici costituiti in maggioranza da elementi di religione cattolica…
Si registra un’altra uccisione di un soldato tedesco sempre nel mese di giugno. Claudio Principi ( ci riferì di sapere il nome dell’autore del delitto, che mai però avrebbe rivelato nemmeno sotto tortura), don Benedetto Nocelli, i nipoti di don Giovanni Michetti hanno affermato che il sacerdote riuscì a evitare una rappresaglia perché convinse il comandante tedesco a rispettare il quinto comandamento non uccidere.
Non è possibile con esattezza accertare se questo sia un nuovo delitto o faccia riferimento agli altri.
Certamente, così come riferita da più testimoni, appare verosimile la motivazione di carattere religioso.
Il ragguardevole interesse, tuttavia, di Hagemann e delle gerarchie tedesche per l’abbazia di San Claudio e per le ricerche effettuate negli archivi dei nostri comuni ci suggeriscono un’ipotesi diversa.
Nei lavori di restauro del 1924-1926, sotto l’altare della chiesa fu rinvenuto la salma mummificata di un guerriero dai capelli biondo rossicci e con a fianco una spada. Don Giovanni Michetti, in quel periodo pievano di San Claudio, dà testimonianza scritta del suo ritrovamento, ma non sa dove sia stata portata. Ed è una grossa bugia. Sapeva benissimo, come la maggior parte dei parrocchiani, dove era stata deposta. Le testimonianze, poi, concordi di almeno tre giovanotti del tempo, ripetute infinite volte alle persone della zona e giunte fino a noi, hanno indicato il luogo esatto dove trovarla: vicino alla prima colonna a destra della chiesa. Anzi ne hanno perfino indicato il punto preciso.
La nostra ipotesi è che don Giovanni Michetti  abbia potuto impedire la rappresaglia non tanto perché il comandante tedesco era un fervente cattolico quanto bensì perché gli aveva consegnato la mummia. Può sembrare una ipotesi suggestiva, ma non meno credibile di quella fondata sulla magnanimità, ispirata da motivi religiosi, del comandante tedesco. Le memorie testimoniali di don Giovanni sono pressoché inesistenti. Quella dettata a don Benedetto negli anni Sessanta lascia intendere la volontà di negare una verità scomoda.
Un altro tragico fatto rende più credibile la nostra ipotesi. Il 22 giugno 1944 a San Claudio ( i polacchi erano il giorno precedente entrati a Corridonia) il siciliano Gaetano Paci ex paracadutista viene fucilato dal comando tedesco. Costui aveva trovato una sistemazione presso la famiglia Re, che conduceva a mezzadria un terreno di proprietà Olivieri di Sarrocciano.  Gaetano, detto anche Salvatore, aveva familiarizzato con i tedeschi, che presidiavano l’area del costruendo campo di aviazione.
Intercettato da una pattuglia tedesca fu fermato e perquisito: gli furono trovate una bussola militare e l’uniforme da gustatore. Condotto presso il comando, a S. Claudio, dopo un sommario processo fu condannato alla fucilazione, avvenuta la sera stessa della cattura, poco lontano dalla chiesa, dietro la casa di Martinelli. Riferiscono poi le testimonianze e le fonti documentali: A nulla era valso il tentativo di evitargli la fucilazione effettuato dal parroco don Giovanni Michetti, bruscamente allontanato dai tedeschi.
Il comandante quindi non era più quel fervente cattolico convinto da don Giovanni Michetti ad evitare addirittura una rappresaglia? Forse nel frattempo era cambiato.  Ma a distanza di pochi giorni?
C’è ancora un’ultima annotazione. L’Iriae nel settembre del 2014 ha effettuato un carotaggio interno alla chiesa in un punto in cui il GeoRadar aveva indicato un vuoto sul lato destro della chiesa, più precisamente nel punto dove era stata deposta la famosa mummia. A circa un metro di profondità la telecamera ha confermato la presenza di una larga camera rettangolare con volta a botte riempita di ossa umane. Non si è riusciti, tuttavia, a distinguere la presenza di materiale di diversa tipologia. La mummia quindi non c’è. Ma lì era stata posta nel 1925.
Non siamo depositari di alcuna verità, ma le tesi del prof. Giovanni Carnevale e di altri studiosi che ripropongono dell’Alto medioevo una storia profondamente diversa da quella tradizionale, le ricerche dei tedeschi, prima durante e dopo il secondo conflitto mondiale, per scoprire nella nostra terra le gloriose origini della loro nazione, impongono una seria riflessione.   
    

                                                                       Dott. Piero Giustozzi

sabato 19 novembre 2016

Il "Volto Santo" di Manoppello a cura di Albino Gobbi dalla "La Rucola"

Da "La Rucola" notizie da Macerata


Il “Volto Santo” di Manoppello
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di Albino Gobbi, del Centro Studi San Claudio

Il più grande capolavoro di tutti i tempi, se fatto da mano d’uomo, si trova a soli 100 km da Macerata, a Manoppello, vicino Pescara: si tratta della “Veronica Romana” detta, in Abruzzo, “Volto Santo”. Stiamo parlando dell’immagine di Cristo, impressa, senza i pigmenti tipici della pittura, su un piccolo fazzoletto di bisso marino. Questo tessuto preziosissimo, conosciuto da migliaia di anni, si ricava dalla Pinna Nobilis, gigantesca cozza alta più di un metro che rimane attaccata alla terra sotto il fondale marino grazie a una peluria da essa prodotta, che appunto viene utilizzata per ottenere un filo sottilissimo.

La descrizione
L’immagine è come una diapositiva che ha un davanti e un rovescio. Il rovescio è l’immagine vista in uno specchio. Ponendo il velo contro la luce l’immagine sparisce, rimane solo stoffa bianca ma nella parte in alto fuori dalla figura si nota un diverso tipo di tessuto. Si può addirittura leggere un libro attraverso l’immagine. La stoffa è molto antica, con una superficie ruvida, ma da un momento all’altro la stessa stoffa appare con una tessitura finissima, trasparente, splendente. Il volto umano che si vede può essere con un colorito intensissimo e delineato con molta precisione nel disegno dei capelli (ci si trova davanti una immagine che appare compatta in una tonalità scura di un ocra a tratti verdeggiante come nelle icone russe) o si può vedere un tessuto trasparente tanto è sottile. Gli occhi sono di un bianco intenso, con uno sguardo gentile, c’è come un sorriso nell’espressione. Questo Volto diventa ancora  più  vivo  sotto  i raggi ultravioletti o quando la luce passa dietro e assume un aspetto fluorescente, si vedono delle macchie che sembrano graffi sulla pelle, sulla fronte, sulle guance. Anche il bianco degli occhi, normalmente chiarissimo, e le palpebre, sotto una tale illuminazione, mostrano delle macchie strane. Guardando i capelli si nota che l’intensità del colore è la stessa vista da entrambe le parti. Il volto sul Velo è perfettamente sovrapponibile al volto sulla Sindone: il Velo di Manoppello e la Sindone sono i modelli per le raffigurazioni di Cristo.

La storia
Raccontare come il Volto Santo sia giunto a Manoppello è come raccontare la trama di un romanzo giallo. Iniziamo dal 705 quando compare a Roma con il nome di Veronica e nello stesso anno scompare da Costantinopoli l’immagine di Camulia (si tratta della stessa “cosa” che nei diversi posti e in tempi diversi cambia nome). Fino al 1204 quando l’impero Romano d’oriente, volgarmente detto Bizantino, era ancora potente, il Papa è restio a mostrare questa immagine ma successivamente incomincia a essere venerata ufficialmente. Nel 1300 viene indetto il primo Giubileo per venerare il Velo della Veronica e ne parla Dante nella Vita Nova: “… per vedere quella immagine benedetta la quale Jesu Cristo lasciò a noi….”. E nel XXXI canto del Paradiso: “… viene veder la Veronica nostra…”. Tutti i Giubilei successivi fino al 1600 portano i pellegrini a Roma e per ottenere l’indulgenza, il termine e il coronamento del pellegrinaggio erano la visione del volto di Cristo impresso sul velo della Veronica. Il Petrarca parlando del Giubileo del 1350 dice “Movesi il vecchierel canuto e bianco…/e viene a Roma, seguendo ‘l desio,/ per mirar la sembianza di colui /che ancor lassù nel ciel vedere spera…”.

La riproduzione degli artisti
Questa immagine è imitata dagli artisti dal XIII agli inizi del XVII secolo, poi scompare dalle opere successive. Cosa era successo? Nel 1527 i mercenari dell’imperatore Carlo V, non pagati, saccheggiano Roma rubando anche le reliquie presenti. Per più di un secolo la Chiesa cerca di nascondere il furto e, pur mettendo una gigantesca statua della Veronica in un pilastro che sostiene la cupola di San Pietro, il ricordo del Velo cade nell’oblio. Nel 1638 il Volto Santo compare, misteriosamente, a Manoppello, allora proprietà di quella famiglia Colonna, un cui esponente proprio nel 1527 aveva guidato i soldati imperiali a Roma. Nel 1718 Papa Clemente XI concede l’indulgenza plenaria a tutti i pellegrini che si recano a visitare il Santuario dove è conservata l’immagine di Cristo. Quasi dimenticato a partire dal periodo napoleonico, negli ultimi anni nuovi studi hanno identificato la perfetta sovrapponibilità del Velo con la Sindone e la sua identificazione con la Veronica Romana. Per saperne di più su questo intrigante argomento il consiglio è di leggere almeno uno dei seguenti libri:

Badde Paul, La seconda Sindone
Gaeta S., L’enigma del volto di Gesù
Chi vuole invece approfondire deve leggere:
Pfeiffer Heinrich   Il Volto Santo di Manoppello
AA.VV.  Il Volto ritrovato -  I tratti inconfondibili di Cristo.
19 novembre 2016



"LA STORIA DEL SALATO" del Dott. Nazzareno Graziosi

Da “la rucola” notizie da Macerata

 

La storia del salato

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di Nazzareno Graziosi
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Il sostantivo “salato” (in dialetto marchigiano: lo salàto) è un termine che fa spesso riferimento agli insaccati di carni suine, e non al più ampio concetto di prodotto trattato con il sale. I primi abitatori della terra, spinti dalla fame, guida-i dall’istinto e dall’osservazione della natura, hanno dovuto sperimentare il principio leonardesco “la scienza è figlia dell’esperienza”. Iniziarono a cibarsi di erbe, frutta e semi per passare poi alla cattura degli animali. Dopo venne la scoperta del fuoco anche per la cottura degli alimenti. Le esigenze crescevano: da qui la nascita della dispensa, del magazzino e l’importanza della “sussistenza” (bisogno di alimenti a portata di mano) come riserva alimentare, per gli spostamenti, le battute di caccia e le guerre contro popoli e tribù più o meno lontane. Certamente il primo metodo di conservazione delle derrate è stato l’essiccazione, metodologia tuttora in auge: le razioni K degli eserciti, i cibi liofilizzati e disidratati nei super mercati e nelle astronavi (niente di nuovo!). La scoperta del sale per conservare gli alimenti carnei fu successiva. Forse dopo vari tentativi o come effetto secondario al suo utilizzo per aumentare la sapidità delle carni fresche hanno verificato che il sale assorbe l’acqua libera rendendola indisponibile alla crescita dei germi che causano la putrefazione. Nelle vallate alpine e nelle nazioni del nord Europa si affermò la tecnica dell’affumicamento di prodotti leggermente salati (data la penuria di sale): vedi per tutti lo speck.

Allevamento dei suini
Alcuni sostengono che l’allevamento dei suini abbia avuto origine in Asia; altri che l’addomesticamento sia avvenuto in Occidente, dalle isole britanniche al mediterraneo, con ritrovamenti archeologici in Turchia databili 8.000 a.C. circa. In Cina da millenni pure il suino è curato con l’ago-puntura: i punti da trattare sono meno numerosi di quelli per l’uomo e per le altre specie animali, ma con metodologia e trattamenti analoghi. Forse più semplicemente i vari popoli tentarono l’allevamento incrociando suini presenti nei loro territori. Il maiale è un animale onnivoro, generalmente non aggressivo, sprovvisto di efficienti mezzi di offesa, non competitore alimentare con l’uomo, spinto ad avvicinarsi agli insediamenti umani dove poteva disporre di abbondanti avanzi alimentari ed essere difeso dalle aggressioni dei grandi carnivori. Se il maiale non fu il primo amico dell’uomo, fu certamente il secondo. Nacquero così varie tipologie di suini domestici che furono continuamente rinsanguati; erano splendidi meticci da cui vennero selezionate le numerose razze che abbiamo potuto osservare fino alla scomparsa della piccola azienda agricola.


Insaccati nell’antichità
Gli egiziani certamente conoscevano gli insaccati, come testimonia una iscrizione sulla tomba di Ramsete III (1166 a.C.). Nell’Odissea (VII-VIII secolo a.C.) abbiamo la prima descrizione di un insaccato realizzato con grasso e sangue; Aristofane (450 – 388 a.C. circa), nelle sue commedie, li cita più volte. Gli scrittori romani parlano spesso di pranzi luculliani (Saliari) a base di prodotti strani e ricercati e poco di un mangiare quotidiano e popolare. Marco Porcio Catone (famiglia di allevatori di maiali, nei dintorni di Rieti), di vaste conoscenze, un po’ progressista e un po’ retrogrado, nel De re rusticapreconizza l’uso del cavolo (considerare l’attuale rivalutazione!) per ogni sorta di malattie sia umane che animali; raccomanda l’applicazione di una mistura costituita dal sedimento di olio d’oliva, estratto di lupino e buon vino per il trattamento della scabbia delle pecore. L’ammirazione e il conseguente odio per la superiorità della civiltà, della cultura e dei medici greci lo spinsero perfino a scrivere al figlio “ti proibisco di avere a che fare con loro”: lo preferiva morto piuttosto che guarito dai medici greci. La paura per il rammollimento del costume, oltre a indirizzare l’attenzione dei romani verso Cartagine, lo spinge a preconizzare una zootecnia e un’agricoltura primordiale: non dissimile dai principi ai quali teoricamente s’ispira l’agricoltura biologica. Nel De Agricolturaparla di tecniche di conservazione della carne suina (sale e asciugamento) molto simili a quelle odierne, fa riferimento al prosciutto crudo; i romani gli dedicarono una strada nel mercato: via Panisperna (da Panis/pane e perna/prosciutto). Sarà stato per questo che i ragazzi di via Panisperna..?! I romani non disdegnavano nemmeno il farcimen myrtatum, un insaccato a base di carne suina pestata in un mortaio, insaporita con il mirto e cotta: l’antenato della nostra mortadella la cui produzione sarà codificata con un bando dal Cardinale Farnese (Bologna 1661).

Storia del salato nelle Marche
Gli italiani, in particolare i marchigiani, non vogliono sa-pere e ricordare di essere il frutto di millenni di esperienze… anche per lo salàto. Per chi non lo sa o non lo ricorda facciamo cenno alle Tavole Igubine e alla la Scuola di Preci. Delle Tavole eugubine, tavole igubine, (Tabulæ Iguvinæ) non si conosce il luogo di rinvenimento, secondo molti furono trovate nei pressi del tempio di Giove tra Scheggia e Cantiano (Pesaro): ma anche Gubbio ha avuto stretti rapporti con le Marche. Sono sette tavole bronzee custodite a Gubbio; dettano, ai sacerdoti di Giove, le modalità del rito della lustrazione dell’esercito (armilustrium dei Salii, per i romani 19 ottobre) e della purificazione (protezione) della città. Cinque sono scritte, anche sul retro, in totale dodici facciate in alfabeto piceno italico (vedi le legge delle 12 tavole e l’importanza del 3); databili III – II secolo a.C. Il testo è da considerarsi più antico, forse I millennio a.C., comunque antecedente la morte di Anco Marzio. La dotta “Traduzione delle tavole igubine” (prof. Giovanni Rocchi ed. PML), ci riporta in un mondo arcaico che ancora sopravvive. Tralasciati i precetti della vestizione dell’officiante e il vaticinio da lancio degli uccelli, ci fa meraviglia la descrizione delle operazioni, della scelta, cattura, sacrificio degli animali. Interessantissime le varie fasi della macellazione: “Si preghi in silenzio sulle carni e sui prodotti della terra (compreso la farina farro rostita)… dopo il rito dell’Offertorio si assicuri che si può dare la santa offerta… si torni alla Fortezza e si preghi sulle budella e sui macinati. Quindi si mettano da parte le scodelle da consacrazione, si producano i vari insaccati”. Sì, vari insaccati perché in altre parti si legge che potevano essere bianchi e neri, salcicce, ciauscoli e salami, Erano realizzati con le carni di varie specie animali (molossi compresi). Durante il rito e alla fine di esso, c’erano assaggi e mangiate pantagrueliche di alimenti cotti. Il rito dei sacrifici si è protratto nel tempo presso i romani e per quanto attiene alla norcineria fino quasi ai nostri giorni.

Scuola di Preci
San Spes, nel 470, fonda l’abbazia di Sant’Eutizio, polo religioso e culturale a Preci (Umbria), poco distante da Visso (Marche). L’abbazia ebbe molte donazioni, diritti feudali fino ad Ascoli e Teramo, possedeva una Salina sull’Adriatico, un porto alla foce del Tronto, una ricca biblioteca con testi di medicina greco-romani. Dotti religiosi, conoscitori di arti mediche orientali e farmacologia (virtù curative delle erbe), paleografi e miniaturisti, produssero numerosi codici miniati, famosi soprattutto per la Scuola medico-chirurgica: oculistica (cateratte) e urologia (malattia della pietra, calcoli), gestivano anche il Lebbrosario San Lazzaro al Valloncello. Nel 1215 il 4° concilio ecumenico lateranense con la Bolla “Ecclesia Abhorret a Sanguine” si professa contraria al sangue, tra l’atro prescrive “i sud-diaconi, diaconi, sacerdoti non esercitino neppure l’arte della chirurgia che comporta ustioni o incisioni“. I religiosi preciani abbandonano la chirurgia, che sarà a lungo con-siderata un’arte medica inferiore, e trasmettono le loro conoscenze agli abitanti dei villaggi circostanti. Ai preciani insegnano l’oculistica e l’urologia, a quelli di Cerreto la coltivazione delle erbe medicinali e l’uso degli estratti, a quelli di Norcia la chirurgia di base (medici empirici norcini), cura dei suini, macellazione e produzione di alimenti conservati; conoscenze e pratiche che ovviamente contagiano l’ascolano, il maceratese e tutte le Marche. I farmacisti cerretani spopolavano nelle fiere paesane poi cominciarono a decantare i loro improbabili elisir (di giovinezza, amore ecc.) e ora nel vecchio vocabolario del Tommaseo leggiamo: ciarlatano =  cerretano, saltambanco. I chirurghi preciani furono a lungo ricercati in tutta Europa da re e regine, invitati in numerose università. La fama dei norcini nel campo della produzione di derrate alimentari da suini dura ancora; il termine norcino codifica un’intera categoria di operatori. Tra il medioevo e il rinascimento, il norcino incrementa la considerazione sociale e si dedica anche al mecenatismo e all’arte. Si istituiscono corporazioni e confraternite: a Bologna, Firenze, Roma. Il lavoro era stagionale. I macellatori Umbro – marchigiani lasciavano la loro contrada per tutta la stagione invernale per poi tornare nelle piccole imprese rurali. Tecniche e dosaggi erano tramandati oralmente e con libere interpretazioni dei singoli artisti che operavano su animali diversi per razza, peso e tecniche di alimentazione. L’asciugamento e la stagionatura dei vari insaccati avvenivano in cucine e cantine dalle più svariate condizioni di umidità e temperatura. In seguito, nelle nostre vallate erano attivi vari macellatori che operavano in zone più ristrette. Per l’uso di “fare la pista” a cavallo delle feste natalizie e in prossimità del carnevale (per la ricchezza della tavola si usava dire “le feste principali sono tre: la santa Pasqua, il santo Natale e il santissimo carnevavale). Venivano “sacrificati” vecchie scrofe o suini maturi e grassi (250/300 chili, “quattro dita di grasso”); il peso inferiore era considerato “una disgrazia” e segno di “miseria”. Gli insaccati erano preparati solo con prodotti e spezie naturali senza aggiunta, coloranti, conservanti e aromatizzanti sintetici (anche se consentiti).

Gli anni nostri
Negli ultimi anni la festa della pista nelle nostre campagne è purtroppo scomparsa, in seguito all’inurbamento delle popolazioni, all’abbandono degli insediamenti agricoli, agli scarsissimi guadagni dalla piccola zootecnia, alla forse eccessiva attenzione ai peccati veniali dei piccoli agricoltori: multe e denunce per non aver usato la pistola proiettile captivo o lo storditore elettrico (ad islamici ed ebrei è consentito). L’eredità dei vecchi norcini è passata al mondo dell’industria alimentare che lavora tutto l’anno, animali uniformi (stessa razza, non molto maturi, dal peso massimo di 160 Kg, con poco grasso). Grazie alla disponibilità dei frigoriferi e delle celle di stagionatura a temperature, umidità e ventilazioni controllate, la quantità di sale è diminuita dai 33 gr/kg (numero magico e con riferimenti religiosi). Non ci entusiasma l’omologazione dei prodotti, disponibili in ogni stazione, con scarsa stagionatura, con il saporefelpato, tutti uguali anche nell’aspetto; ci sogniamo la lonza di scrofe e il prosciutto di 25 Kg massaggiato a mano su un reticolato di canne, messo ad asciugare in cucina, affumicato nella cappa del camino e stagionato 2 anni. Non ci consola disporre di esagerate quantità di speck del Tirolo (dove i maiali sono abbastanza rari), di prosciutto di Parma (almeno alcuni suini vengono dalle Marche) o del ciauscolo igp (che può essere costruito con suini di genealogie nordiche e con soggetti esteri). Perché non si dovrebbe dire speck affumicato in…, prosciutto stagionato a…, ciabuscolo insaccato nelle… Se fosse successo nel secolo ventesimo, avremmo subito pensato al grande Trilussa:

Se vuoi l’ammirazione degli amichi
non je fa mai capì quello che dichi.

Erano altri tempi nei quali all’ombra del fascio alcuni facevano carriere e affari con tutto:

La morale


Una bella mattina er direttore
d’un Giardino Zoologico
vestì le scimmie, le scimmiette e li scimmioni
co’ li carzoni de tela cachì.
Una vecchietta disse: “Meno male!
ché armeno non vedremo certe scene…
er direttore l’ha pensata bene:
se vede che je preme la morale…”.
Una scimmia, che stava nella gabbia
tutta occupata a rosicà una mela,
intese e disse: “Ammenoché nun ci-abbia
un parente che fabbrica la tela…”.

Forza Italia! Il fascio non fa più ombra! L’ulivo è stato abbattuto! La margherita non è rinata! E la quercia s’è seccata!


Parte della relazione del Prof. Alvise Manni su "ARTE E CULTURA MATERIALE ALTOMEDIOEVALE"

Relazione presentata al percorso di formazione 2016 - 2017: "Alla scoperta del Medio Evo", promosso da DIESSE - Didattica e Innovazione Scolastica, I.I.S. "Bramante" e Centro Studi S. Claudio al Chienti.


Da "Alla scoperta del Medio Evo", L'architettura carolingia nelle Marche - Seconda parte - a cura del Prof. Giovanni Carnevale.

Relazione presentata al percorso di formazione 2016 - 2017: "Alla scoperta del Medio Evo", promosso da DIESSE - Didattica e Innovazione Scolastica, I.I.S. "Bramante" e Centro Studi S. Claudio al Chienti.


Da "Alla scoperta del Medio Evo", L'architettura carolingia nelle Marche - Prima parte - a cura del Prof. Giovanni Carnevale.

Relazione presentata al percorso di formazione 2016 - 2017: "Alla scoperta del Medio Evo", promosso da DIESSE - Didattica e Innovazione Scolastica, I.I.S. "Bramante" e Centro Studi S. Claudio al Chienti.


sabato 12 novembre 2016

Corso "ALLA SCOPERTA DEL MEDIOEVO"

Si ricorda l’appuntamento di martedì 15 novembre a h 15.00presso l’auditorium dei Geometri di Macerata, in via Gasparrini 11 (nei pressi di Villalba), per il corso "ALLA SCOPERTA DEL MEDIO EVO" con le lezioni del prof Carnevale “L’architettura carolingia nelle Marche” e del prof. Manni “Arte e cultura materiale altomedioevale”.

Il corso è aperto a tutti anche se finalizzato alla formazione del personale docente.                                                                   

                                   
                                 prof.ssa Elisabetta Marcolini
 

venerdì 11 novembre 2016

Conferenza ad Assisi: L’EREDITA’ FRANCO-CAROLINGIA NELLA PERSONALITA’ DI FRENCESCO





Già Giotto negli affreschi della chiesa superiore di Assisi ci presenta elementi di ascendenza franco-carolingia nella personalità di San Francesco.
Si pensi al riquadro in cui Francesco appare in figura di cavaliere che dona il mantello a un signore franco decaduto che gli sta di fronte.
Il contatto-contrasto tra la cultura franca e quella moderna del Comune con sulla destra un antico edificio di ascendenza franca ed a sinistra il nascente comune di Assisi con i borghi che prorompono fuori delle mura, stanno a significare che già in epoca comunale era chiara l’interdipendenza tra l’avvento del movimento Francescano e gli ideali franco-cavallereschi.
Aggiungiamo i seguenti fatti: ricostruendo San Damiano Francesco cantava in francese; la madre di Francesco era una franca e l’inclinazione di Francesco per la madre era diametralmente opposta all’avversione che aveva per il borghese Bernardone; da fanciullo Francesco accompagnava il padre nella contigua Francia per ragioni di commercio. Respirava così l’atmosfera idealista e impregnata di religiosità che trovava aldilà dell’Appennino, contrastante con l’atmosfera della borghesia umbra volta al puro guadagno economico.
Aggiungiamo la nostalgia che portava San Francesco a rivisitare la Francia della sua giovinezza, così audacemente descritta nel XIII Fioretto. 
Se poi confrontiamo l’apertura poetica che appare nel cantico delle Creature mentre la cultura umbro-borghese del guadagno non rifuggiva dal ricorso alla violenza, ci appare chiaro che la “conversione” di Francesco alle idealità cristiane della vita altomedioevale non sono una folgorazione improvvisa nell’anima di Francesco quanto un ritorno alle idealità religioso-cavalleresche dell’alto medioevo, dono naturalmente della Grazia Divina.
La riscoperta che la “Francia” era a due passi dal Subasio e che Francesco aveva assimilato, per influsso materno, in Assisi, elementi di civiltà franca, obbliga l’odierna ricerca a chinarsi su Francesco con occhi nuovi, attenti a cogliere nel personaggio eredità che provengono dai due mondi confinanti.  

San Martino: La festa dei Cornuti


L’11 novembre,  la festa di San Martino è definita , solo nel Piceno, la Festa dei Cornuti.
Tutto ha origine nell’alto medioevo.
Nel Piceno, dove era ubicata la Francia carolingia ed Aquisgrana, Carlo Magno, ogni primavera radunava l’esercito a Campomaggio, per poi partire per la guerra.
L’esercito ritornava all’inizio dell’autunno e il giorno di San Martino, patrono dei Carolingi, veniva celebrata la festa del Santo. Questa era caratterizzata dalla corsa della cavalleria verso la Cappella Palatina o Santa Maria Mater Domini.

I locali “i Romani”, nel vedere questa massa esultante di cavalieri , che erano stati lontani per mesi dalle loro famiglie e mogli, cavalcare con il capo coperto da elmi “cornuti”, cominciarono maliziosamente a definire questa festa come la festa “dei cornuti”, dando origine all’ odierno malizioso significato di questa parola .

martedì 8 novembre 2016

il terremoto ha danneggiato la torre sinistra di San Claudio (già Cappella Palatina)


Presentiamo con piacere una nuova relazione del Prof. Enzo Mancini sulla questione francescana

Sor Pietro e la questione francescana.

Mi sto interessando di san Francesco e dei Frati Minori perché sono convinto che una seria biografia del Poverello di Assisi non è stata ancora scritta e potrebbe servire a restituire alla nostra regione una bella fetta della sua storia scippata, perché la “damnatio memoriae” ebbe inizio proprio in quel periodo.
Perché se sono seri i medievisti non possono continuare a dire che messer Pietro di Bernardone dei Moriconi aveva fatto i soldi nei mercati transalpini, e grato di questo diede al figlio, battezzato Giovanni, il soprannome “Francesco”.
Nel commercio il tempo è denaro, è una regola incontestabile: avrebbe dovuto perdere troppo tempo in viaggio. E in viaggio non si guadagna: e dove il guadagno non c’è la perdita è sicura, altra regola incontestabile. Ma non è solo questione di tempo.
Dove le strade erano senza padroni erano piene di predoni. Solo i fraticelli potevano viaggiare tranquilli: avrebbero perso solo i poveri stracci che indossavano.
Sor Pietro invece aveva da perdere o il carico di merce o la borsa colma di denari.
Dove le strade avevano un padrone ecco gli armigeri e i gabellieri, che gongolavano all’arrivo di un commerciante ben fornito di merce o di monete sonanti.
Fra Assisi e la  Provenza di gabelle non ce ne erano solo due o tre.
Senza contare che in partenza la prima gabella era quella dei nemici perugini, che sarebbe stata l’ultima prima dell’arrivo in patria.
Quando li poteva fare i soldi sor Pietro?
Li fece perché i mercati che frequentava erano quelli della Francia Picena, in quel periodo soggetta al duca di Spoleto, lo stesso signore sotto il cui governo era anche Assisi. Le strade erano libere da predoni perché le forze dell’ordine  del duca controllavano il territorio e di gabelle non ne incontrava, al massimo ne incontrava una a viaggio, dopo di che, con l’attestato del pagamento in tasca, stava tranquillo di poter girare quasi tutte le Marche.
Che ne dice Monsieur Dalarun Jacques, lei che da poche parole riesce a tirar fuori sottilissime deduzioni nella sua” Vita ritrovata” , i miei ragionamenti sono proprio sballati?
Sono consapevole di strapparle il cuore nel dirle che “Saint Francois”, (ma come si farà a mettere la cediglia?), non deve il nome alla sua Francia ma alla mia, ma è arrivata l’ora di ristabilire la verità storica, di restituire il maltolto alla nostra regione.
Lei dovrebbe anche capire che la “questione Francescana” scaturisce da questa “damnatio memoriae” della Francia Picena: solo l’ammissione di questo potrà portare alla soluzione della Questione Francescana.


Frate Ugolino

Fra Ugolino Brunforte, detto poi da  Montegiorgio, nacque da Rinaldo Brunforte, signore di Sarnano, nel 1262. A sedici anni entrò come novizio nel convento di Roccabruna, fra Sarnano e Pian di Pieca. Passò però gran parte della sua vita nel convento di Santa Maria di Montegiorgio, da cui prese il nome con cui è più conosciuto.
Celestino V lo aveva scelto come vescovo di Teramo, ma, dopo il “gran rifiuto”, il suo successore Bonifacio VIII ne annullò la nomina, con la bolla ”In supremae dignitatis specula”.
Sospettava che il frate fosse simpatizzante degli Zelanti, o bizochi, quelli che si ritenevano i veri eredi del messaggio spirituale di San Francesco, quelli che frate Elia da Cortona aveva emarginato e che la curia papale riteneva in odore di eresia.
Come Bernardo di Quintavalle, considerato il primo dei discepoli di Francesco, che si ritirò come eremita sulle montagne di Sefro, presso Pioraco.
Verso il 1310 Ugolino fu nominato provinciale dei frati Minori di Macerata e alla sua morte era provinciale di tutte le Marche.
E’ considerato l’autore dei “Fioretti”, che per tradizione furono scritti nel convento di Roccabruna.
Più probabile che abbia raccolto vari episodi di autori diversi, messi per iscritto da racconti tramandati oralmente nella zona.
La scrittura dei Fioretti avvenne secondo esperti tra il 1322 e il 1328, in latino.
L’originale latino è andato perduto, anche se ne abbiamo un’idea dagli” Actus B. Francisci et Sociorum ejus”, di cui sembra certo che Ugolino sia stato il principale compilatore.
Frate Ugolino, nato a Sarnano, ha attirato la mia attenzione per l’episodio della predica agli uccelli o miracolo del silenzio delle rondini.
Ho letto nelle note di “ San Francesco d’Assisi”,  di Salvatore Attal, che nel manoscritto dei “Fioretti” più antico l’episodio, poi localizzato fra Cannara e Bevagna nelle trascrizioni successive, viene ascritto al castello di Carnano.
Oggi in località Piandarca, fra Cannara e Bevagna, non lontano da Assisi, ci hanno messo un’edicola a ricordo del miracolo, ma è ancora oggi un posto isolato, lontano da centri abitati.
In Umbria esiste un castello di Carnano, anche questa una località isolata nel comune di Montecchio, in provincia di Terni. Secondo tradizione nello stesso luogo del miracolo degli uccelli il Poverello istituì il Terzo Ordine Francescano.

  

Ora io ipotizzo, senza prove, per puro intuito, ( già vedo qualcuno pronto, dopo essere stato a Monsapietro Morico, ad andare a Sarnano a dire di aver fatto una scoperta a seguito dei suoi profondi studi), che nello scritto originale di frate Ugolino il miracolo suddetto era localizzato a Sarnano, e anche l’istituzione degli OFS.

Perché basta nel manoscritto dare una piccola grattatina, cancellare uno sbaffo di un millimetro e la S diventa una C.

Come mi è venuto in mente? Per vari motivi.
A)  Francesco non era uno sprovveduto, “non sum cuculus” diceva al medico che negli ultimi giorni lo voleva convincere di star migliorando. Non predicava in aperta campagna, dove non trovava nessuno, come a Piandarca di Cannara o al castello di Carnano; Sarnano invece era già , a quei tempi, un bel paesotto, diventato libero comune nel 1265.
B)   Il comune di Sarnano vanta nello stemma un disegno di San Francesco in persona, un angelo con sei ali, fatto secondo la tradizione del luogo in occasione di un suo passaggio del 1215.
C)   Sempre secondo la tradizione locale dopo la predica l’intera popolazione avrebbe voluto seguire il Santo, il quale non poteva non capire che non sarebbe stato molto pratico: da qui gli venne l’idea del Terzo Ordine.
D)  Ha detto, o scritto, Carlo Bo, mitico rettore dell’Università di Urbino, che san Francesco è nato in Umbria, ma il Francescanesimo è nato nelle Marche. Avrà avuto le sue buone ragioni.
E)   Nelle più note biografie del Santo di Assisi si ammette si e no il suo passaggio ad Ancona e a San Severino Marche. Ma le Marche sono piene di luoghi che la tradizione dice visitati dal Santo patrono d’Italia.
Con un poco di pazienza di motivi potrei trovarne di più, collegati alla “damnatio memoriae” della storia marchigiana,ma ora sono stanco.
Quelli che ho scritto dovrebbero bastare e avanzare.

Mancini Enzo, Macerata, 6 novembre 2016