lunedì 9 dicembre 2019

Riportiamo con piacere alcune riflessioni del Prof. Enzo Mancini

Gesù Cristo e   Carlomagno

Plutarco di Cheronea  è conosciuto soprattutto  per aver scritto  “ Le vite parallele”.  Era un beota per essere nato in Beozia, ma non era un beota nel senso che oggi diamo comunemente a questa parola. Questo significato ce lo hanno tramandato gli Ateniesi che sfottevano i loro vicini, da cui li separa il monte Parneta.
Anche a me al liceo-ginnasio “Giacomo Leopardi” qualche compagno di classe, cittadino di Macerata,  mi chiamava “ contadì”, perché  venivo  da  San Claudio al Chienti.
Ma la cosa finiva lì perché io, che mi sono sempre sentito onorato di venire dalla campagna, rispondevo invariabilmente: “Contadino, scarpe grosse e cervello fino”.
Plutarco nacque  verso  il 47 d. C. cioè poco più di dieci anni della morte in croce di Gesù Cristo,  che fu crocifisso il 3 aprile del 33 d. C.
Se potesse tornare fra i vivi,  Plutarco si intende,  difficilmente  tratterebbe  in coppia i due personaggi citati nel titolo.
Sono convinto invece che lo potrebbe fare un Henri Pirenne redivivo, lo storico belga noto soprattutto per aver scritto “Maometto e Carlomagno”.  Pirenne all’età di  24 anni divenne titolare della cattedra di storia medioevale  all’Università di Gand.
Allo scoppio della prima guerra mondiale manifestò chiaramente la sua contrarietà  all’invasione tedesca del Belgio, per cui i teutonici lo imprigionarono per quasi due anni, liberandolo solo dopo la sconfitta, a guerra finita. Tornato alla sua Università sviluppò una sua teoria sul Medioevo e “ passò il resto della sua vita alla ricerca di prove che suffragassero la sua tesi” dice Wikipedia. Sintetizzando all’osso, in   questa sua tesi dava la colpa della fine dell’Impero Romano più all’espansione araba del VII secolo che alle invasioni barbariche del V secolo.  Praticamente  riscrisse una storia     “ a  posteriori ” che era più nella sua testa che nei documenti. Un esempio concreto di come non dovrebbe essere trattata la Storia secondo i dettami della moderna storiografia. Va bene che Marc Bloch è venuto poco dopo,  ma la maggioranza degli storici gli ha dato ragione , a Pirenne: sono stati in pochi a contestarlo.
Pirenne, insieme ai curatori degli MGH è certamente fra i maggiori responsabili di una storia del Medioevo in gran parte inventata. Quella che oggi viene comunemente accettata, quella di Alessandro Barbero e di Franco Cardini, per citare nomi noti fra i medievisti italiani.  Certo non bisogna dimenticare che senza Pertz, Düemmler, Boretius chissà quanti documenti non sarebbero arrivati fino ai giorni nostri, ma per loro Aquisgrana ad Aachen era una certezza matematica, un punto fermo.  
Loro erano in buonafede, ma gli studiosi tedeschi di oggi lo sono?
Ho dei dubbi in proposito quando continuano a dire che la cattedrale di Aachen è dell’VIII secolo, che vi sono conservate le ossa di Carlomagno,  che vi crescevano intorno tutte le piante nominate nel “capitulare de villis”.
Contra factum non est argumentum! Ma loro i fatti preferiscono ignorarli.

Ma ritorniamo a bomba. Plutarco e Pirenne  godono già dell’eterno riposo.  Del binomio Gesù Cristo e Carlomagno deve scrivere qualcuno “ cui fera li occhi suoi lo dolce sole”. A me è venuta l’idea ma la cedo senza problemi a chi volesse cimentarsi. Da scrivere ce n’è per tutti. Per ora proverò io a dire qualcosa.
Questi due personaggi hanno veramente poco in comune. Forse che Gesù aveva dodici apostoli e Carlomagno dodici paladini.
Che entrambi siano personaggi storici nessuno lo può negare.
Nessuno come Gesù Cristo ha cambiato la storia dell’umanità intera.  
Per testimoniarne la sua veridicità migliaia di martiri sono stati pronti a morire.
Nessuno come  Carlomagno  ha cambiato la storia dell’Europa.  
La “ Schola palatina “  da lui voluta è stato l’embrione delle Università.  Il suo appoggio al vescovo di Roma ha consentito al papato di straripare dal potere spirituale a quello temporale praticamente fino ai giorni nostri. Lo Stato Pontificio è stato relegato con l’unità d’Italia all’interno delle mura vaticane, ma io non posso dimenticare che i miei genitori, quando mi hanno messo al mondo, vivevano come servi della gleba sulle terre di cui era proprietario l’arcivescovo di Fermo.
Qui forse è meglio sorvolare  e  ritornare all’argomento principale, cioè parlare di Gesù Cristo e Carlomagno.

Entrambi rischiano di passare ai giorni nostri nel mondo delle favole.
Natale e Pasqua sono ottime occasioni per fare festa, ma per la maggior parte dell’anno le chiese sono vuote.  Quelli che credono a Cristo stanno paurosamente diminuendo. Per colpa soprattutto di qualcuno che lo ha definito “oppio dei popoli” , strumento per controllare il popolo in mano dei governi tirannici.
 Di Carlomagno cominciano a dire che l’hanno inventato verso l’anno 1.000  papi e imperatori, in combutta,  per aumentare il loro potere. Non hanno tutti i torti visto che ci hanno scritto sopra a proposito e a sproposito, soprattutto in Francia e in Germania, facendone un mito irreale. Non dimentichiamo inoltre  la “ Chanson de geste” e le storielle dei pupi siciliani.  E poi in Germania non trovano neanche un mattone delle numerose chiese e palazzi che il sire ordinò di costruire:  se ce l’hanno lo hanno preso da  qui.

(continua… forse)

Macerata  7 dicembre 2019

Mancini Enzo

mercoledì 4 dicembre 2019

Il Centro Studi presenta l'ultimo libro della Dott.ssa Emanuela Properzi

"La storia della Regione Marche è  ricca di misteri e rivelazioni sorprendenti. Emanuela Properzi, propone qui uno studio effettuato su numerosi documenti e reperti, arrivando ad una sintesi  di grande fascino  che parte dalla sua capacità di leggere gli antichi  documenti medioevali.
Nel 1111, papa Pasquale II, restituiva all’imperatore Enrico V, assieme al relativo documento, il Priorato di Gerusalemme sorto sul piccolo lembo di territorio nella Città Santa, omaggio del califfo di Bagdad a Carlo Magno e dall’Imperatore ceduto poi ai Pontefici romani e da questi ultimi ai vescovi di Fermo.
Questo misterioso e importante documento del Priorato fu custodito, nella capsella di pietra sistemata nella chiesa di Santa Maria a Piè di Chienti, nel comune di Montecosaro.
I monaci benedettini ed i Canonici fermani provvidero, a trascrivere gli estremi del documento sulla capsella che divenne da nascondiglio iniziale a testimone unica del documento perduto.
La storia del priorato, divenuto poi noto con il nome di Priorato di Sion, offre lo spunto per la trattazione degli Ordini religiosi e laici e di quanto essi sono stati determinanti nelle vicende sociali, culturali e artistiche delle Marche. Questo libro è solo l’inizio di una storia da riscrivere, al fine di una sua reale comprensione ."

domenica 10 novembre 2019

Il Prof. Enzo Mancini e l'orologio ad acqua di Carlo Magno

Carlo Magno e l’ora legale.


L’idea  di associare Carlo Magno all’ora legale mi è scappata casualmente, quest’anno, provocando l’ilarità di chi mi stava a sentire, che già mi considera affetto da una forma irreversibile di carlomagnite1 ; metto in conto che ne provocherò ancora, di ilarità.  Stavo scrivendo qualcosa sui Franchi e mi è uscita la battuta che a quei tempi non avevano questo problema.
Quando nel 1966 ebbi a che fare per la prima volta con l’ora legale ero un liceale a cui ancora non cresceva la barba. La novità in un primo momento mi piacque. Avevo la sensazione che mi avessero spostato l’asse terrestre, oppure che mi avessero avvicinato il polo Nord.
Avevo un solo orologio da cambiare di ora, un’operazione di pochi secondi.
Col passare degli anni cominciai a vederla come una seccatura. Mi dicevano che si risparmiavano miliardi, ma nelle mie saccocce non trovavo una lira di più che fosse collegate a questa seccatura. Sarà stato il logorio della vita moderna, ma ogni anno gli orologi da cambiare erano sempre di più. Non mi sono segnato gli appuntamenti a cui sono arrivato troppo presto né quelli a cui sono arrivato troppo tardi.
Mi chiedevo, ma perché non cambiano gli orari, quelli a cui fa comodo, e non lasciano in pace tutti gli altri? Da giovane mi abituavo velocemente alle variazioni dei ritmi circadiani, col passare degli anni mi diventava sempre più difficile.
Ora, con l’approssimarsi della terza età, odio cordialmente l’ora legale. E quelli che abitano più a Nord di me hanno cominciato a odiarla prima di me.  Sarà che si sono accorti che l’umore della gente peggiora, sia a primavera, quando entra in vigore, perche si dorme un’ora di meno, sia in autunno, quando da un giorno all’altro si ha la sensazione di precipitare in pieno inverno? Sarà che si sono accorti che a novembre il numero dei suicidi si impenna molto di più di quando l’ora legale non c’era?
Non ci vuole molto a pensarlo. Senza questa pippa del cambio dell’ora ci si abituava gradualmente all’arrivo dell’inverno. Ora non si ha più tempo. E ti prende la nostalgia dell’estate, la nostalgia della gioventù, e la depressione, sempre in agguato, ha la meglio sui soggetti più deboli.
Questo risparmio di soldi tanto sbandierato è effettivo?  Anche se fosse reale, che ci credo poco, vale tutto questo stress, questo malumore sottile, queste vite umane di persone più sensibili?
Allora vi dico: che gli Italiani siano equamente divisi tra favorevoli e contrari, come ha scritto qualcuno in questi giorni di ritorno all’ora solare, è una bufala inventata da qualcuno che ha un qualche interesse nascosto. Una affermazione fatta a capocchia e non basata su un sondaggio rilevante e serio.  Fatelo veramente questo sondaggio: scommettiamo che l’ora legale non la vuole quasi nessuno?

Ai tempi di Carlo Magno questo stress non c’era di sicuro. Il califfo abbaside Harun al Rashid provò a fargliene venire un poco, regalandogli un orologio ad acqua, ma non penso che ci riuscì.
Questo orologio doveva sembrare agli occhi del monaco Eginardo una vera diavoleria, infatti non è stato in grado di spiegare come funzionava.
Neanche il monaco di san Gallo fu in grado di descriverlo meglio, forse anche perché non l’aveva mai visto. Sicuramente a Baghdad nell’VIII secolo conoscevano meglio la tecnologia degli antichi Greci e Romani, tipo macchina di Antichitera.
Probabilmente funzionava facendo cadere gocce d’acqua che riempivano un recipiente: quando questo raggiungeva il peso adeguato innescava un movimento che faceva cadere una pallina ogni ora. Cadute 12 palline si muovevano anche dei pupi di cavalieri. Ma i documenti non riportano reazioni particolari alla corte carolingia dopo l’arrivo, nell’806, di questa meraviglia meccanica. Fu maggiore la risonanza dell’arrivo dell’elefante albino Abul Abbas: quando l’elefante morì il sovrano promulgò il lutto nazionale.
E poi i Franchi accoglievano l’inverno con la festa di san Martino, 11 novembre. Dopo poco più di un mese, verso il 16 dicembre, ( era in vigore il calendario di Giulio Cesare), avevano il giorno più corto che ci sia. Solo dopo due o tre secoli il giorno più corto divenne quello della festa di santa Lucia.  Per la festa di Natale tutti percepivano chiaramente che il tempo di luce solare stava aumentando.
Oggi questa sensazione l’uomo comune ce l’ha per l’Epifania. Per la festa della Candelora, 2 febbraio, dicevano (forse): dell’inverno semo fora.
Insomma psicologicamente erano molto più aiutati di noi a superare il freddo inverno. E in più non avevano l’ora legale.
Ma perché non si può abolire a partire dall’anno prossimo?

Mancini Enzo. Macerata 11 novembre 2019.

Nota 1: Dicesi carlomagnite una rara affezione il cui virus fu isolato per la prima volta dal sacerdote salesiano Giovanni Carnevale nel 1993. Sfuggito dai sotterranei  dell’abbazia di san Claudio, nel corso dei successivi ed incauti lavori di restauro, si è diffuso nella media valle del Chienti. Per questo i soggetti affetti vengono anche chiamati “ valdichientisti”. La sindrome può avere decorso asintomatico nella maggior parte dei casi. Nelle forme più gravi chi ne è colpito prova un irrefrenabile impulso a scrivere dei tempi andati.



mercoledì 16 ottobre 2019

URBIS SALVIA: DAMNATIO MEMORIAE DELLA PORTA GEMINA

Nel 1800 la Porta Gemina della città di Urbis Salvia era stata deturpata utilizzando la sua struttura per costruirci una casa.  Ciò ha permesso agli archeologi di rendere invisibile questa porta a tutti i visitatori e quindi  di non dover spiegare come attraverso questa porta si sarebbe potuto accedere all'interno della  Città, avendo alle spalle della casa un dirupo di circa 7 metri di altezza.
Dalla foto notiamo un dislivello di circa 7 metri tra il piano degli odierni scavi della città (area del Criptoportico) e la quota in cui si trovava l’ingresso della  città attraverso la Porta Gemina.
Riteniamo quindi che aver ricostruito tra i contrafforti della Porta Gemina la casa colonica del 1800 permette ancora oggi di confondere le idee sulle origini e sulla natura stessa dell’intera area archeologica.
Questo è il modo elegante e furbo per rendere sempre più difficile conoscere la storia della città.  


martedì 8 ottobre 2019

Riflessioni del prof. Enzo Mancini

Aspetta e spera. ( elucubrazioni  di un valdichientista).

Oggi invece di parlare del passato mi viene spontaneo di pensare al presente, di quanto il presente sia concatenato al passato. Molto, poco, per niente?  Sarà una questione di lana caprina o sarà alta Filosofia? Ci sono diverse scuole di pensiero. Sulla faccenda di  Aquisgrana  a san Claudio al Chienti, sollevata da Giovanni Carnevale, mi sembra che le reazioni più comuni siano le seguenti.

  1. Sorpresa e favorevole accoglienza di una teoria che illumina molti punti oscuri della nostra storia: è la mia posizione e quella di pochi altri.
  2. Nonchalance ossia ostentata indifferenza: sono cose vecchie, abbiamo già tanti problemi oggi; preoccupiamoci del futuro che è più importante del passato.
  3. Ilarità e derisione, in cui troviamo il gruppo più numeroso: che si è fumato questo prete? Sarà sbornio per aver detto troppe messe, dicono in qualche salotto bene della capitale.
  4. Fastidio e opposizione: gruppo sparuto ma coriaceo, quelli che hanno coniato il termine “Valdichientista” e lo proferiscono con palese tono spregevole; opposizione che non si spiega se non con una sudditanza psicologica o economica verso i paesi a nord delle Alpi.
Ora sarebbe troppo bello che gli Italiani reagissero come al punto 1; per questo vorrei ricordare che qui non si tratta di riprendersi solo la storia della nostra provincia ma di tutta  la nazione. E per amore della Verità anche Francesi e Tedeschi dovrebbero reagire come al punto 1.

Dice Gesù nel vangelo di Giovanni ( 8, 32 ): “ Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”.  E Paolo di Tarso nella prima lettera a Timoteo ( 2, 4 ) : “ Dio vuole che tutti gli uomini arrivino alla conoscenza della verità”.

Allora anche in Francia e in Germania dovrebbero essere contenti di sapere la verità sulle origini della loro cultura, anche se la Storia ha percorso strade che non avrebbero mai immaginato.

Mi aspetto e spero quindi che un giorno anche le Università francesi e tedesche, con quelle italiane, collaboreranno a riscrivere la storia. Per ora continuano a sostenere che la cattedrale di Aachen è dell’VIII secolo e che nei suoi dintorni, a quei tempi, si potevano coltivare viti, cocomeri,  meloni e molte altre piante di clima  mediterraneo. C’è qualche professore in “Cermania” che si chiede com’è che da loro del periodo carolingio non si trova un mattone : è il signor Heribert Illig.  Questi, dopo aver dimostrato che la cappella palatina di Aachen non è anteriore al XII secolo, ha scritto: “ Das erfundene Mittelalter” , il Medioevo inventato. Ma lo hanno relegato al ruolo di inventore della teoria del Tempo Fantasma, citandolo come esempio di pseudo -  storico complottista  e  revisionista. Ma la spiegazione è più semplice di quella abbastanza macchinosa elaborata dal professor Illig: il Medioevo di Carlo Magno si è giocato in un altro stadio,  qui da noi, in Val di Chienti e zone limitrofe. Però so già che io non ricorderò quel giorno in cui anche oltre le Alpi lo ammetteranno.

Dopo quasi trent’anni la teoria di Giovanni Carnevale non è praticamente uscita dai confini di questa provincia. Eppure in TV c’è spazio per tante boiate pazzesche che conquistano la platea nazionale!

A questo punto mi pare giusto riportare quanto dice in una intervista Marc Abrahams, l’ideatore del premio IgNobel, a pag. 10 di “ Le Scienze” di settembre 2019.

“A scuola ci viene sempre insegnato che la storia è costellata da scoperte grandiose. In sostanza , un qualche genio, a un certo punto, scopre qualcosa, tutti riconoscono immediatamente il valore del suo lavoro, il mondo cambia in meglio e si festeggia allegramente. Invece sappiamo che le cose non vanno proprio così. Quando qualcuno propone qualcosa di insolito o scopre qualcosa di nuovo, in genere, viene sminuito e deriso. E’ una reazione comune e si manifesta anche nella comunità scientifica. Quando ci si interessa di qualcosa che è al di fuori dell’esperienza delle altre persone, queste, in genere, reagiscono ridicolizzando oppure offendendo quello che ancora non capiscono. Solo nel momento in cui si è abbastanza bravi da comunicare loro il valore di quello che si sta facendo, allora tutto cambia e quello che prima era considerato “sciocco” diventa “importante”. Ecco, questo è più o meno il meccanismo alla base dell’intera storia della scienza.”

Ora, se cercate il nome di un ragazzino che ha vinto una corsa ciclistica o un torneo di tennis lo trovate su Wikipedia.  Ma questa “ libera enciclopedia”  ignora completamente Giovanni Carnevale. Per Heribert Illig, che è un professore universitario, Wikipedia lo accumuna ai terrapiattisti. Ma l’hanno capito dalle parti di Parigi e di Berlino che i falsi miti di Carlo Magno, di Ottone III, di Federico Barbarossa hanno contribuito non poco alla nascita del Nazionalsocialismo di Hitler?

E allora non mi si dica che sono storie vecchie, che acqua passata non macina più. Non è così. Io sono del parere che la conoscenza di quello che è successo nel Medioevo ha conseguenze  sul nostro presente e sul nostro futuro.

E allora, se non volete dare il Nobel per la Letteratura, (che si merita ampiamente),  a don Carnevale, conferitegli almeno “  the  IgNobel  prize ”. Così finalmente acquisirà il diritto di essere citato su Wikipedia.

 

Macerata, 23 settembre 2019.              Mancini Enzo

 

P S : Che Aachen non è l’Aquisgrana carolingia lo aveva già dimostrato Alfons Dopsch prima della II guerra mondiale, ( se non ricordo male in una pubblicazione del 1930).  Alle “querelle sul Capitulare de villis” che ne seguì, nota solo in ambito universitario, partecipò anche il francese Marc Bloch. Mentre a Berlino Dopsch fu censurato, (non ci vuole molta fantasia a pensare che dietro ci fosse Heinrich Himmler),  a Parigi la sua scoperta fu minimizzata da Bloch, che eppure è considerato, in Francia e non solo, il padre della storiografia moderna, appoggiando in qualche modo i tedeschi.  Per ironia della sorte  Bloch morì fucilato dai nazisti.

Ma l’ipocrisia non paga.  Lo dimostra il Diesel Gate  Volkswagen con relativa Aachen Connection.  Qui forse mi capiscono meglio oltre le Alpi.

“ No more lies” (non più bugie) chiedevano i ragazzi tedeschi manifestando  subito dopo lo scandalo. Questo mi fa sperare che prima o poi il medioevo di san Claudio al Chienti verrà riconosciuto.

lunedì 9 settembre 2019

Giorgio Rapanelli: Il professore GIOVANNI CARNEVALE: a pranzo con l'Alto Medioevo alla "Pecora Nera" di Macerata



Sabato, 7 settembre 2019. La cucina abruzzese de "La Pecora Nera" di Macerata ha accompagnato per tre ore la lezione del Professore Giovanni Carnevale sul passaggio dall'Epoca Carolingia all'Alto Medioevo ai commensali Angela Schulze Raestrup con la figlia Thekla Schulze Raestrup, Alberto Morresi, presidente del Centro Studi San Claudio al Chienti, Domenico Antognozzi, collaboratore del professore Carnevale, e chi ha ripreso parzialmente il piacevole avvenimento (Giorgio Rapanelli) per un affettuoso ricordo...

sabato 7 settembre 2019

Il Prof. Enzo Mancini ubica la Parigi dell'alto medioevo

Fra’ Gregorio da Napoli


E’ stato questo frate a mettermi in testa per primo che la “ Universitate Parisius ” non era lontana da qui.
Nella ricostruzione del Medioevo fatta da Giovanni Carnevale viene collocata  Saint Denis a San Ginesio ma non parla di dove poteva essere collocata Parigi nel Piceno. Simonetta Torresi ne “ La storia dei popoli delle Marche ovvero l’origine dell’Europa” colloca Parigi a Macerata, ma questa ipotesi non mi ha convinto. Mi perdoni la Torresi se contraddico, ma la mia divergenza vuole essere costruttiva; e sono pronto a cambiare opinione se saltassero fuori nuovi elementi.
Io ho sviluppato l’idea che la Parigi primigenia stava a Camerino.
Ma per me Parigi nel Medioevo non era un toponimo ma il nome della Scuola di Studi Generali, la Facoltà di Teologia in cui si formavano i teologi della Chiesa Cattolica Romana,  Studium translato dalla Nuova Roma Carolingia, dove era la “Schola Palatina” di Alcuino di York. Per questo , a mio modesto parere, non c’è traccia di una Parigi nella Francia Picena.
Parigi diventò un toponimo sulle rive della Senna solo dopo Filippo II Augusto, dopo l’abate Sigerio, dopo la fondazione della Sorbona nel 1253.
Nel Medioevo tutti i personaggi più illustri, e in particolare quelli poi fatti santi ,  si spostavano fra Roma, Bologna e Parigi come se ci fosse già a quei tempi una compagnia aerea “Low cost “ .
Ma ritornando a frate Gregorio da Napoli, questi fu lasciato come vicario di san Francesco in Italia, quando il santo di Assisi partì per la Terrasanta nel 1219.  Alla Porziuncola invece aveva lasciato come vicario frate Matteo da Narni.
Frate Gregorio non fu all’altezza del compito affidatogli, visto che il santo fu richiamato in Assisi in fretta, dal momento che l’Ordine Francescano appena costituitosi stava prendendo una brutta piega.
Quando il 4 ottobre 1226 Francesco morì, Frate Elia scrisse per primo, per far conoscere la notizia, “ al caro fratello in Cristo Gregorio, ministro dei frati che sono in Francia “ . Ma frate Gregorio non si era spostato da dove si trovava al momento della partenza di Francesco per la Terrasanta.
Di frate Gregorio da Napoli  scrive frà Tommaso da Eccleston:   Quis enim Gregorio in praedicatione vel praelatione in Universitate Parisius vel clero totius Franciae comparabilis?”
Sono convinto che fra’ Gregorio non doveva stare troppo lontano da Assisi: bastava superare il monte Subasio e il monte Pennino. Perché dove potevano stare la maggior parte dei frati Francescani al momento della morte del fondatore se non in Umbria e nelle Marche?
Ha scritto Carlo Bo: “ San Francesco è nato ad Assisi, ma il Francescanesimo è nato nelle Marche”.
I dintorni di Camerino pullulano di luoghi collegati al primo Francescanesimo, con una concentrazione che non ha eguali forse neanche ai dintorni di Assisi, spesso ignorati dalle tante biografie del Santo perché supportati da tradizione e non da documenti scritti. A leggere le biografie di san Francesco il santo sarebbe passato nelle Marche solo per andare al porto di Ancona.
Ma “ il ginepraio inestricabile “ della questione francescana rimarrà inestricabile finché non verrà riconosciuta la Francia Picena come la Francia da cui prende il nome il santo di Assisi.
Ma soprattutto come potevano stare nella Francia attuale tutti quei primi frati dato che nell’attuale Francia meridionale dal 1209 al 1229 imperversò la crociata contro gli Albigesi ? Arnaud Amaury, quello che “ Dio riconoscerà i suoi”, non avrebbe fatto sconti ai seguaci del Poverello di Assisi. In fondo si distinguevano dai Catari solo nel riconoscere la gerarchia ecclesiastica, o poco più.
Camerino ha i numeri per essere il luogo che ha ospitato l’Universitate Parisius  non solo perché una tradizione documentata da Aristide Conti parla della presenza in questa cittadina delle “Mura di Paris “.
Camerino era una città fortificata da mura fin dai tempi dei Romani ed era un centro importante per i Franchi: Guido e Lamberto di Camerino furono imperatori del sacro romano impero.
Ma come ci può stare in un piccolo paese arroccato nell’Appennino centrale una delle Università  più antiche d’Italia se non perché c’era già ai tempi di san Francesco?
Poi nel 1259 il paese fu distrutto, ma la scuola rimase.
Da qui l’enigma di Dante che visitò Parigi, tenendo testa ai dotti di quella Università,
senza valicare le Alpi.
 Da qui si comprende meglio anche la nascita della lingua italiana nell’Italia centrale.
Checché ne dica Dante Alighieri nel “De vulgari Eloquentia”, la lingua italiana è nata nel Ducato di Spoleto, che comprendeva anche il Maceratese e il Fermano.
Con un centro come l’Universitate Parisius si spiega benissimo come il dialetto del Ducato di Spoleto possa essere diventato “ cardinale, aulico e curiale”.
Dante, tanto di cappello, la fece diventare illustre, ma la lingua italiana ai suoi tempi era già nata. E’ o non è il “Cantico delle creature “  di san Francesco il primo componimento scritto in Italiano?

 Mancini Enzo     Macerata 8 agosto 2019

P.S.    Il santo di oggi, san Domenico di Guzman, fondatore dell’ordine dei Domenicani, voleva che i suoi studiassero all’ Universitate Parisius , al contrario di san Francesco. Per questo anche lui bazzicava le Marche.

giovedì 29 agosto 2019

Frontespizio del libro di Don Vincenzo Galliè

Frontespizio del libro di Don Vincenzo Galliè con l'indicazione dei punti di interesse archeologico, evidenziati dall'autore

martedì 27 agosto 2019

Gli scavi confermano quanto indicato da don Galliè e da don Carnevale

Finalmente scopriamo fisicamente che Don Galliè e il Prof. Carnevale scopriamo hanno ragione.
Nel corso dei lavori per la costruzione di un metanodotto sono venute alla luce e quindi verificate le ipotesi del Rev. Don Galliè e di don Carnevale.

La mappa di Burella di Campolungo (dove vengono realizzati i lavori) tratte dal libro di Don Galliè: "La citta di Pausulae e il suo territorio"



venerdì 9 agosto 2019

IL "CAPITULARE DE VILLIS” (Tradotto dal Prof. Giovanni Carnevale)

Il documento: “CAPITULARE DE VILLIS” (Tradotto dal Prof. Giovanni Carnevale)
l)          Vogliamo che le nostre villae, che abbiamo impiantato perché servano ai
nostri bisogni, siano totalmente al nostro servizio e non di altri uomini.
2)        Vogliamo che la nostrafamilia sia ben trattata e non ridotta in miseria da nes-
suno.
3)        Gli iudices si astengano dal porre la nostrafamilia al proprio servizio, non li
obblighino a corvées, a tagliar legna per loro o ad altri lavori né accettino
alcun dono da essi, né cavallo
, né bue, né maiale, né montone, né maialino da
latte, né agnello
, né altra cosa a meno che non si tratti di bottiglie, verdura,
frutta, polli, uova.
4)        Se nella nostra familia qualcuno si rende colpevole nei nostri confronti di
furto o trascura i suoi doveri, risarcisca il danno personalmente; per altre
colpe sia punito con frustate secondo la legge, a meno che non si tratti di
omicidio e incendio, risarcibili con ammenda. Agli altri uomini gli iudices
rendano la giustizia a cui hanno diritto in base alla legge; per frodi nei nostri
confronti, come già detto, lafamilia sia fustigata
. Quanto ai Franchi stabiliti
su terre fiscali o nelle nostre villae, qualsiasi reato commettano, lo scontino
secondo la loro legge e qualsiasi ammenda versino
, venga incamerata a nostro
profitto, tanto per il bestiame che per altro.
5)        Quando i nostri iudices devono occuparsi di lavori sui nostri campi, come
seminare o arare, raccogliere le messi, falciare il fieno o vendemmiare, cia-
scuno di essi, al tempo dei lavori, provveda ai singoli settori e faccia eseguire
ogni cosa Ì11 modo che tutto sia ben fatto. Nel caso che lo iudex sia lontano da
casa, invii sul posto che egli non ha potuto raggiungere un uomo esperto della
nostrafamilia che provveda alle nostre cose o un altro di cui ci si possa fida-
re, in modo che tutto venga eseguito come si deve: lo iudex provveda in tempo a inviare un fedele che si occupi di queste cose.
6)        Vogliamo che i nostri iudices versino l'intera decima di ogni raccolto alle
chiese che sorgono sulle nostre terre fiscali e che la nostra decima non sia
versata alla chiesa di un altro
, a meno che non si debba rispettare un'antica
consuetudine. Non altri ecclesiastici ufficino queste chiese, ma i nostri, o
della nostrafamilia o della nostra cappella.
7)        Ogni iudex adempia appieno al suo servizio, così come gli è stato assegnato;
se si presentasse la necessità di dover servire oltre il previsto, si faccia dire se
questo comporta solo il servizio diurno o anche le notti.
8)        l nostri iudices si interessino delle vigne nostre che fanno parte del loro mini-
sterio,
le curino bene e il vino lo mettano in buoni recipienti e stiano ben
attenti che in nessun modo si guasti, acquistino ulteriore vino, procurandoselo
con scambi in natura di animali, da inviare alle villae del re. Nel caso si sia
acquistato più vino di quanto sia necessario per il rifornimento delle nostre
villae, ce lo facciano sapere perché possiamo decidere quale uso farne.
Ricavino dalle nostre vigne ceppi di vite e ce li inviino per impiantare altrove
nuove coltivazioni a nostro vantaggio. l canoni in vino versati dalle nostre vil-
lae
li inviino alle nostre cantine.
9)        Vogliamo che ogni iudex tenga nel suo ministerio le misure dei moggi, dei
sestari - e dei recipienti da otto sestari - e dei corbi
, corrispondenti alle misu-
re che abbiamo in Palatio.
lO) l nostri maiores, gli addetti alle foreste, ai puledri, alle cantine, i decani, gli
esattori di tributi, gli altri ministeriales collaborino ai lavori dei campi, diano
in tributo maiali dai loro mansi
, provvedano di manodopera i loro ministeria.
11 maior in possesso di un beneficium designi un sostituto che si occupi in sua
vece della manodopera e delle altre attività attinenti il servitium
Il) Nessun iudex si serva dei nostri uomini o degli stranieri per la custodia dei
cani o altre prestazioni a suo vantaggio.
12)    Nessun iudex dia ordini a un nostro ostaggio in una nostra villa.
13)    Si prendano cura dei cavalli da riproduzione - cioè i Waraniones - e non per-
mettano che sostino a lungo in uno stesso luogo, perché questo non sia di
loro detrimento. E se qualcuno non è più buono o è vecchio o è morto, ce lo
facciano sapere per tempo, prima che venga il momento di essere inviati fra le giumente
.     .
14)    Custodiscano bene le nostre giumente e separino i puledri quando è tempo di
farlo; se le puledre si saranno moltiplicate vengano separate e se ne faccia un
branco a parte
.
15)    l nostri puledri siano in ogni caso presenti nei pressi del Palatium per la
messa di S. Martino, in inverno.
16)    Vogliamo che tutto ciò che noi o la regina abbiamo ordinato a ciascun iudex o
lo abbiano ordinato a nome nostro i nostri ministeriales - il siniscalco e il
sovrastante alle cantine - lo eseguano esattamente come è stato loro ordinato: chiunque trascuri di farlo per negligenza
, si astenga dal bere dal momento in
cui gli giunge il richiamo fino a quando non si presenta al cospetto nostro o
della regina e chieda perdono. Se lo iud
ex milita nell'esercito o è incaricato di
far la guardia o partecipa a un
'ambasceria o è altrove, e ai suoi iuniores siano
stati assegnati degli ordini rimasti ineseguiti
, costoro vengano a piedi al pala-
tium
e si astengano dal bere o dal mangiar carne finché non forniscono le
ragioni della loro mancanza. Subiscano quindi il castigo, o in frustate o in
qualsiasi altro modo piacerà a noi o alla regina.
17)    Quante sono le villae presenti nel ministerium, altrettanti siano gli uomini che
si occupano d
elle api a nostro profitto,
18)    Allevino polli e oche presso i nostri mulini, in base alla resa del mulino o
come meglio possono
.
19)    Nei nostri granai delle "ville più grandi" allevino non meno di cento polli e
non meno di trenta oche, nelle
"ville più piccole" non meno di cinquanta polli
e dodici oche.
20)    Ogni iudex faccia pervenire per tutto l'anno alla curtis prodotti in abbondanza
e faccia effettuare controlli tre quattro o più volte.
21)    Ciascun iudex tenga dei vivai di pesci là dove prima già c'erano e, se possono
essere ampliati
, li ampli; dove prima non c'erano, ma possono esserci, ne crei
di nuovi.
22)    Chi coltiva vigne, tenga non meno di tre o quattro corone di grappoli.
23)    In ogni nostra villa gli iudices abbiano stalle per mucche, porcili, ovili per
pecore
, capre e montoni nel maggior numero possibile e non devono assoluta-
mente esserne privi
. Abbiano inoltre vacche proprie destinate al loro servizio
e custodite dai nostri servi
, cosicché in alcun modo si riduca il numero delle
vacche addette al nostro servizio o agli aratri. E quando tocca loro il turno
della fornitura della carne, forniscano buoi zoppi non malati, vacche e cavalli
non rognosi o
altri animali non malati. E, come già detto, non riducano per
questo il numero delle vacche nelle stalle o agli aratri.
24)    Rientra nei compiti di ciascun iudex quel che va fornito per la nostra mensa; e
quanto fornirà sia buono e di ottima qualità, ben preparato, con cura e pulizia
.
Ciascuno riceva dall'annona due pasti al giorno per il servizio alla nostra
mensa
, quando sarà di turno a servire. Forniture di altro genere siano in tutto
sot
to ogni aspetto di buona qualità, che si tratti di farina o di animali.
25)    Ai primi di settembre facciano sapere se si organizzano o no pascoli collettivi.
26)    Ai maiores non sia affidato nel ministerio un territorio più ampio di quel che
può essere percorso o controllato in un sol giorno.
27)    Le nostre case abbiano sempre il fuoco acceso e siano sorvegliate per garan-
tirne la sicurezza
. E quando messi o ambascerie vanno o vengono dal pala-
tium,
non allog
gino assolutamente nelle curtes del re, senza uno speciale ordi-
ne nostro o della regina. Il conte nel suo ministerium o quegli uomini che già
in passato si sono occupati dei messi o delle
ambascerie, continuino ad occu-
parsi come in passato e dei cavalli e di ogni altra necessità, in modo che pos-
sano recarsi a palazzo o tornarne in modo agevole e decoroso
.
28)    Vogliamo che ogni anno, durante la quaresima, nella domenica delle palme
detta osanna
, facciano recapitare, come prescritto, il ricavato delle nostre col-
tivazioni
, dopo che ci avranno fatto conoscere per l'anno in corso a quanto
ammonta la produzione.
29)    Per quei nostri uomini che hanno reclami da fare, ciascun iudex provveda che
non debbano venire a reclamare da noi
, e veda di non rimandare per negligen-
za i giorni in cui devono prestare servizio. E se uno straniero nostro servo
reclamasse giustizia, il suo magister si batta con ogni impegno perché gli sia
resa e
, se in qualche posto non ci riesce, non permetta che il nostro servo
debba penare da solo ma il suo magister
, di persona o per mezzo di un suo
inviato, provveda a informarcene
.
30)    Vogliamo che da tutto quel che è stato prodotto venga accantonata la parte
destinata a nostro uso
. Ugualmente accantoni quanto deve essere caricato sui
carri per le spedizioni militari
, procurandoselo sia nell'abitato che presso i
pastori, e registrino i quantitativi inviati a questo scopo.
31)    Allo stesso modo ogni anno facciano accantonare ciò che va distribuito ai
braccianti e alle lavoratrici dei ginecei e a tempo opportuno lo distribuiscano
in
tegralmente e ci sappiano dire che uso ne fanno e come si riforniscono.
32)    Ciascun iudex provveda a rifornirsi di semente sempre buona e di ottima qua-
lità, o comprandola o procurandosela altrimenti.
33)    Dopo che si sono fatti gli accantonamenti, si sono effettuate le semine e si è
provveduto a tutto, la produzione avanzata sia conservata finché non facciamo
conoscere le nostre disposizioni
, se venderla o tenerla.
34)    Occorre dedicare molta attenzione perché i prodotti alimentari lavorati o con-
fezionati a mano, siano tutti fatt
i o preparati con pulizia somma: il lardo, la
carne secca o in
saccata o salata, il vino, l'aceto, il vino di more, il vin cotto,
la salsa di pesce
, la senape, il bUITo, il malto, la birra, l'idromele, il miele, la
cera, la farina.
35)    Vogliamo che si utilizzi la sugna delle pecore grasse e dei maiali, inoltre in
ciascuna villa vi siano dei buoi ben ingrassati o per farne sugna sul posto o
perché siano consegnati a noi
.
36)    l boschi e le foreste nostre siano ben custodite; dove è necessario il disbosca-
mento lo si faccia e non si permetta al bosco di invadere i campi
; dove invece
devono esserci i boschi
, se ne impedisca uno sfruttamento che ne compromet-
ta l'esistenza
; tutelino la selvaggina presente nelle nostre foreste; si occupino
anche degli avvoltoi e sparv
ieri per le nostre cacce; riscuotano con diligenza
le tasse sui boschi a noi dovute. Se gli iudic
es o i maiores nostri o i loro
dipendenti mandano i loro maiali
al pascolo nei nostri boschi, siano i primi a
pagare la decima per dare buon esempio, in modo che dopo anche gli altri
paghino la decima int
eramente.
37)    l nostri campi e le culture siano ben curati e ci si occupi dei nostri prati quan-
do è il momento.
38)    Dispongano sempre di un sufficiente numero di oche grasse e polli grassi
destinati al nostro uso, da utilizzare quando è il loro turno di servizio o da
farceli recapitare
.
39)    Vogliamo che accettino i polli e le uova che i servi o i coloni consegnano
ogni anno. Quando non servono, li facciano vendere.
40)    Ogni iudex faccia allevare nelle nostre villae sempre, senza eccezioni, uccelli
caratteristici come pavoni, fagiani
, anitre, colombe, pernici, tortore, a scopo
ornamentale.
41)    Gli edifici delle nostre curtes e le siepi di recinzione siano ben curati e siano
ben tenute le stalle, le cucine, i forni e i frantoi in modo che i nostri ministe-
riales
possano attendere ai loro lavori con decoro e pulizia
.
42)    In ciascuna villa negli alloggi ci siano a disposizione letti, materassi, cuscini,
lenzuola, tovaglie
, tappeti, recipienti di rame, di piombo, di ferro, di legno,
alari, catene, ganci per paioli, scalpelli, accette o asce, succhielli, insomma
ogni tipo di utensili, in modo che non sia necessario cercarli altrove o fa
rseli
prestare
. Rientra nei loro compiti curare che gli arnesi di ferro da impiegare
nelle spedizioni militari siano in buono stato e quando si rientra dalla spedi-
zione siano conservati in casa
.
43)    A tempo opportuno facciano distribuire ai nostri ginecei, come prescritto, il
materiale necessario, cioè lino, lana
, ingredienti o piante utili per tingere stof-
fe, pettini da lana, cardi per cardare, sapone, grasso, vasetti e altre minutaglie
necessarie alla lavorazione
.
44)    Ogni anno vengano inviati per nostro uso due terzi degli alimenti adatti al
digiuno quaresimale: legumi
, pesce, formaggio, burro, miele, senape, aceto,
miglio, panico
, ortaggi freschi e secchi e, inoltre, navoni, cera, sapone e altre
minuzie
. Di quel che avanza, come già detto, stendano una relazione e per
nessuna ragione la tralascino, come hanno fatto [mora
, perché vogliamo con-
frontare i due terzi con la terza parte rimasta
.
45)    Ogni giudice abbia nel suo ministerium buoni artigiani, cioè fabbri ferrai, ore-
fici o argentieri, calzolai, tornitori, carpentieri, fabbricanti di scudi, pescatori,
uccellatori, fabbricanti di sapone, di birra, di sidro o esperti nella fabbricazio
-
ne di qualsiasi altra bevanda gradevole a bersi, fornai che ci forniscano pane
di semola
, fabbricanti di reti che sappiano fare delle reti, buone sia per la cac-
cia che per la pesca che per catturare uccelli, altri ministeriales infine che
sarebbe troppo lungo elencare
.
46)    Facciano ben custodire i nostri recinti per animali, che il volgo chiarna brogi-
li
, provvedano a ripararli quando occorra e non aspettino assolutamente che
sia necessario rifarli nuovi
. Facciano lo stesso per tutte le costruzioni.
48)    I nostri cacciatori, i falconieri e gli altri ministeriales addetti a stabile servizio
nel palatium trovino assistenza nelle nostre villae quando noi o la regina ve li inviamo con precisi ordini scritti per fare qualcosa di nostra utilità, o quando
il siniscalco o il bottigliere ordinassero loro di far qua
lcosa a nostro nome.
49)    I torchi nelle nostre villae siano efficienti e funzionaI i. I nostri iudices prov-
vedano che nessuno si permetta di pigiare la nostra uva con i piedi, ma tutto
si faccia con decoro e pulizia.
50)    l nostri ginecei siano ben strutturati, con alloggi, ambienti riscaldati, locali in
cui le donne possano trascorrere le serate invernali; siano circondati da stec-
cati ben saldi e muniti di solide porte, in modo che con tranquillità lavorino
per noi
.
51)    Ciascun iudex veda quanti puledri possano stare in una stalla e quanti debba-
no essere gli addett
i ai puledri. Gli addetti che sono di condizione libera e
posseggono benefici in quel ministerium v
ivano con le risorse dei loro benefi-
ci; anche i fiscalini che posseggono dei mansi vivano di questi e chi non li
avesse percepisca una prebenda dalla curtis dominica.
52)    Ciascun iudex vigili perché i malviventi non possano nascondere sotto terra o
altrove la nostra semente e, di conseguenza, il raccolto sia scarso. Vigilino
anche perché nessun altra malefatta possa mai verificarsi.
53)    Vogliamo che agli stranieri sia resa piena e completa giustizia, secondo le
loro
leggi, da parte di chi vive sulle terre del fisco o nelle nostre villae, di
condizione servile o libera che sia
.
54)    Ciascun giudice vigili perché nel proprio ministerium non ci siano uomini
ladri o delinquenti
.
55)    Ciascun iudex badi che i nostri servi si applichino con impegno nel proprio
lavoro e non perdano tempo gironzolando per i mercati
.
56)    Vogliamo che i nostri iudices tengano conto di quanto hanno versato, utilizza-
to o messo da parte a nostra disposizione; ne tengano un altro per le uscite e
ci facciano pervenire una relazione di quanto è ancora disponibile.
57)    Ciascun giudice nel proprio ministerium tenga frequenti udienze, amministri
la giustizia e provveda che i nostri servi vivano onestamente.
58)    Se qualcuno dei nostri servi volesse direi qualcosa che ci riguarda a proposito
del suo magister, non gli si impedisca di venire da noi. E se lo iudex venisse
a sapere che i suoi iuniores vogliono venire a palazzo a lamentarsi di lui, allo
-
ra lo stesso iudex faccia pervenire a palazzo le lamentele suscitate contro di
lui
, in modo che i loro reclami non ingenerino fastidio alle nostre orecchie.
Vogliamo anche sapere se vogliono venire per vera necessità o per vani pre-
testi.
59)    Quando i nostri cuccioli di cane siano affidati agli iudices per essere allevati,
lo iudex stesso li nutra a sue spese o li affidi ai suoi iuniores
- cioè maiores,
decani o cellerar
ii - che li facciano allevare a loro spese a meno che non ci
sia un ordine nostro o della regina di nutrirli nella nostra villa a spese nostre
;
e allora lo iudex stesso invii un servo a questo scopo che li nutra bene e
disponga di che nutrirli senza dover ricorrere ogni giorno a
lla dispensa.
60)    Ciascun iudex, quando sarà di servizio, faccia dare ogni giorno tre libbre di
cera, otto sestari di sapone e inoltre, per la festa di Sant' Andrea
, dovunque ci
trovassimo coi nostri servi
, faccia dare sei libbre di cera; lo stesso faccia
durante la quaresima.
61)    l maiores non vanno scelti fra gli uomini potenti, ma fra quelli di media con-
dizione che abbiano prestato il giuramento di fedeltà.
62)    Ciascun iudex, quando è il suo turno di servizio faccia portare a palazzo il suo
malto; vengano anche con lui i magistri che producano ivi della buona birra
.
63)    Ciascun iudex, ogni anno per Natale ci sottoponga un elenco particola-
reggiato, chiaro e completo, che precisi l'ammontare complessivo e
particolareggiato di quanto vien prodotto dal lavoro effettuato dai buoi custo-
diti dai nostri bovari, quanto rendono i mansi che essi debbono arare, il reddi-
to derivante dai maiali, dalle tasse e dai prestiti effettuati, dalle multe, dalla
selvaggina catturata nelle nostre riserve senza nostro permesso, dalle compo-
sizioni, dai mulini
, dalle riserve di caccia, dai campi, dalle riscossioni sui
ponti, dai traghetti, dagli uomini liberi e da quelli delle centene che prestano
servizio su terre fiscali, dai mercati, dalle vigne, da chi vende vino, dal fieno,
dalla legna da ardere e da illuminazione, dalle tavole o altro legname da lavo-
rare, dai legumi, dal miglio, dal panico, dalla lana, dal lino, dalla canapa, dai
frutti degli alberi, dalle noci e dalle nocciole, dagli alberi innestati, dagli orti,
dai navoni, dai vivai, dal cuoio
, dalle pelli, dalle corna, dal miele e dalla cera,
dal grasso, dal sego, dal sapone, dal vino di more, dal vin cotto, dall
'idromele
e dall'aceto, dalla birra
, dal vino nuovo e da quello stagionato, dall'ultimo
raccolto di grano e da quello vecchio, dai polli, dalle uova, dalle oche, dai
pescatori, dai fabbri, dai fabbricanti di scudi e dai calzolai, dalle madie, dai
cofani, dagli scrigni
, dai tomitori, dai sellai, dai ferrai, dai fonditori di ferro e
di piombo, dai tributari. dai puledri e dalle puledre.
64)    Non sembri troppo duro ai nostri iudices se chiediamo tutte queste cose per-
ché vogliamo che anch
'essi richiedano ugualmente tutto ai loro iuniores senza
animosità alcuna; e l'ordinata amministrazione che un uomo deve tenere in
casa sua o nelle proprie villae, i nostri iudic
es la devono tenere nelle nostre
villae
.
65)    Le basterne, i nostri carri che noi utilizziamo in guerra, siano ben fatti e le
loro aperture siano ben chiuse col cuoio, così ben cuciti che, se si presentasse
la necessità di dover attraversare l'acqua a nuoto
, possano valicare i fiumi con
le derrate in essi contenute
, l'acqua non possa penetrare all'interno e il tutto
possa passare
, come già detto, senza danni. E vogliamo che ogni carro sia
carico della farina occorrente al nostro sostentamento
, cioè dodici moggi di
farina; su quelli che trasportano vino carichino dodici moggi corrispondenti al
nostro moggio; ogni carro sia provvisto di scudo e lancia, faretra e arco.
66)    l pesci dei nostri vivai siano venduti e sostituiti con altri, in modo che ci
siano sempre dei pesci
; tuttavia quando noi non veniamo nelle villae siano
venduti e gli iudices destinino il ricavato a nostro profitto.
66)    Ci rendano conto delle capre, dei becchi e delle loro corna e pelli e ogni anno
ci riforniscano con le loro carni grasse salate.
67)    Ci tengano informati sui mansi incolti e sui servi da poco acquisiti di cui
dispongano
, che non si sappia dove collocare.
68)    Vogliamo che ogni singolo iudex abbia sempre pronti dei buoni barili cerchia-
ti di ferro, che possano essere utilizzati nelle spedizioni militari o inviati a
palazzo, e non faccia mai otri di cuoio
.
69)    Ci tengano sempre informati sulla presenza di lupi, su quanti ciascuno ne ha
catturati e ci facciano presentare le loro pelli; nel mese di maggio diano la
caccia ai cuccioli di lupo e li catturino col veleno, con esche, con trappole
,
con cani.
70)    Vogliamo che nell'orto sia coltivata ogni possibile pianta: il giglio, le rose, la
trigonella, la balsamita, la salvia, la ruta, l
'abrotano, i cetrioli, i meloni, le
zucche
, il fagiolo, il cimino, il rosmarino, il cumino, il cece, la scilla, il gla-
diolo, l
'artemisia, l'anice, le coloquentidi, l'indivia, la visnaga, l'antrisco, la
lattuga, la nigella, la rughetta, il nasturzio, la bardana, la pulicaria, lo smirnio,
il prezzemolo
, il sedano, il levistico, il ginepro, l'aneto, il finocchio, la cico-
ria, il dittamo, la senape, la satureja, il sisimbrio, la menta, il mentastro, il
tanaceto, l
'erba gattaia, l'eritrea, il papavero, la bieta, la vulvagine, l'altea, la
mal va, la carota, la pastinaca, il bietolone, gli amaranti
, il cavolo-rapa, i cavo-
li, le cipolle, l
'erba cipollina, i porri, il rafano, lo scalogno, l'aglio, la robbia,
i cardi, le fave, i piselli, il coriandolo, il cerfoglio
, l'euforbia, la selarcia. E
l'ortolano faccia crescere sul tetto della sua abitazione la barba di Giove.
Quanto agli alberi, vogliamo ci siano frutteti di vario genere
: meli cotogni,
noccioli, mandorli, gelsi
, lauri, pini, fichi, noci, ciliegi di vari tipi. Nomi di
mela: gozmaringa, geroldinga, crevedella, spiranca, dolci
, acri, tutte quelle di
lunga durata e quelle da consumare subito e le primaticce. Tre o quattro tipi
di pere a lunga durata, quelle dolci, quelle da cuocere, le tardive.