mercoledì 30 marzo 2016

Alcuni passi del libro "Storia della Germania" di Hagen Schulze e le puntualizzazioni del Prof. Enzo Mancini



In vista dell’imminente pubblicazione del nuovo libro di Giovanni Carnevale riporto quanto scritto da un importante storico tedesco, scomparso nel 2014, allo scopo di attutire la caduta dalle nuvole di chi non ha mai sentito prima la tesi del professore salesiano.

I passi che seguono sono presi da: Storia della Germania, di Hagen Schulze, Donzelli editore, Roma, tradotto da Ilaria Tani.
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… Le radici della storia tedesca non affondano nelle foreste germaniche ma in quella straordinaria città stato italica che fu Roma, la quale arrivò ad estendere il suo potere su tutto il bacino mediterraneo, a dominare l’Europa fino al Reno, al limes , al Danubio, la cui cultura unitaria e al tempo stesso multiforme rappresentò per gli antichi un mondo ben definito, un ecumene. Nulla era più ambito che essere cittadino romano; l’apostolo Paolo ne era tanto orgoglioso quanto il principe dei cherusci Arminio, nonostante tutte le differenze con Roma…
(Arminio è il vincitore di Varo, nel 9 d.C. , nella battaglia della selva di Teutoburgo.)

… Questo impero (carolingio) non poteva durare… un ordine inviato dall’imperatore da Aquisgrana a Roma impiegava due mesi per giungere a destinazione…

… Il termine Germania… venne introdotto soltanto nel XV secolo e ci vollero più di cento anni perché si affermasse. I popoli che abitavano a est del Reno per secoli ignorarono di essere tedeschi…

…a partire dal 919, quando la corona reale passò a Enrico I ( padre di Ottone I ), per più di un secolo la dinastia dei sassoni ebbe un ruolo di primo piano, sostituendosi ai Franchi. Secondo il monaco Vitichindo di Corvey … l’impero era omnis Francia Saxonique, era costituito cioè dai territori dei Franchi e dei Sassoni: di Germania non si parlava affatto…

…Il termine teutonicus aveva dunque all’origine una connotazione ostile; italiani, francesi, inglesi lo utilizzavano quando volevano esprimere scherno e disapprovazione nei confronti degli abitanti della Germania e dei loro sovrani, come quel Giovanni di Salisbury, vescovo di Chartres, che nel 1160 si scagliò contro il tentativo di Barbarossa di far eleggere un papa senza il sostegno francese e inglese: “ Chi ha nominato i tedeschi giudici delle nazioni? Chi ha conferito a questi uomini rozzi e violenti il potere di imporre arbitrariamente un principe sulle teste dei figli di Dio?”…

… Non abbiamo dunque a che fare con una storia del medioevo tedesco, con una storia dello splendore imperiale tedesco, e neppure con l’inizio di una storia dei tedeschi, poiché costoro non sapevano ancora di essere tedeschi. Si tratta piuttosto di preistoria tedesca…

La Germania del XIX secolo è stata definita una verspatete Nation, una nazione in ritardo. Questo può dirsi propriamente dell’intera storia tedesca…

… La maggior parte delle città tedesche … sono sorte tra l’inizio del XII e i primi anni del XIV secolo…



… intorno al 1300 la Francia ne aveva cinque ( di università ), l’ Alta Italia tre, l’Inghilterra e la Castiglia due, il Portogallo una, mentre in tutto l’impero ( tedesco) … all’epoca non ne esisteva nessuna. Soltanto nel 1348 l’imperatore Carlo IV, in qualità di re di Boemia, creò a Praga una università, quasi duecento anni dopo la fondazione dell’università di Parigi, il modello cui essa si ispirava. Ancora nel XIII secolo scrittura, cultura e scienza erano prerogative dei paesi romanzi, e anche dell’Inghilterra…

… L’idea di una nazione tedesca non aveva però connotazioni soltanto politiche ma anche culturali, e da questo punto di vista essa fece un notevole passo in avanti quando l’umanista italiano Poggio Bracciolini riportò alla luce il testo dimenticato della
“Germania “ di Tacito, pubblicandola in Italia nel 1455… Quella della “Germania”, scritta intorno al 100 d.C. per l’imperatore Traiano, fu dunque una scoperta sensazionale: dalla penna di uno dei maggiori scrittori del passato, autorità stimatissima e indiscussa, si veniva adesso a sapere che i tedeschi sin dall’antichità erano stati un popolo… Fino ad allora gli eruditi tedeschi erano restati molto indietro nella competizione ingaggiata a livello internazionale per la celebrazione delle rispettive identità nazionali, giacché se dalla stirpe francese era derivata la Francia, non esisteva invece una stirpe tedesca da cui potesse svilupparsi una nazione tedesca; “tedesco” era un termine generico che indicava i dialetti popolari germanici quando non una parola del tutto artificiale… ora invece bastava tradurre: i germani di Tacito erano gli antenati dei tedeschi contemporanei. Alla Germania dei romani corrispondeva l’attuale “ Deutschland” e solo adesso, nel 1500, questo termine comparve al singolare, mentre fino a quel momento ci si era accontentati dell’espressione “ deutschen Landen”, paesi tedeschi…

… Così la Bibbia tradotta ( dopo la pace religiosa di Augusta del 1555) nel possente tedesco sassone di Meissen divenne il libro di lettura nazionale, e lo stesso accadde con  i trattati e le lettere di Lutero…

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(e così nacque, nel giro di una sola generazione, la lingua che ora parlano dalla Baviera, anzi da Bolzano, fino alle coste del mare del Nord)
Con questa battuta fra parentesi è finita la citazione del libro di  Hagen  Schulze e mi viene da commentare: non sarà che gli storici tedeschi si sono convertiti alla tesi di Giovanni Carnevale?
Il fatto è che non ho avuto il tempo di leggerlo tutto questo libro, perciò chissà?


Enzo Mancini

martedì 22 marzo 2016

Pubblichiamo una edizione aggiornata della relazione di Gianfranco Baleani: "San Francesco e la Francia Picena"

San Francesco e la Francia Picena
di
Gianfranco Baleani 

Io non sono uno storico, sono una persona a cui piace indagare quando nota delle incongruenze quindi, ciò che in sostanza faccio, è pormi delle domande e cercare ipotesi più probabili (o, se volete, meno improbabili) di quelle comunemente accettate. Obiettivo di questo mio intervento, è pertanto quello di stimolare, in chi mi ascolta, la messa in discussione dei presupposti e la ricerca di ipotesi alternative e più convincenti per meglio capire determinati avvenimenti o periodi storici. E’ in quest’ottica che deve essere considerato quanto sto per esporre.

Per quanto riguarda la scelta del nome Francesco (relativamente a San Francesco d’Assisi) la biografia comunemente accettata (basta consultare internet per rendersene conto) afferma quanto segue:
- Il padre (Pietro di Bernardone) commerciava con la Francia (intendiamo l’attuale Francia che a quel tempo nei documenti ufficiali si chiamava ancora Gallia, oppure la si indicava col nome delle varie regioni: Provenza, Aquitania, …) e Provenzale era la moglie (la Signora Pica) che discendeva dalla nobile famiglia dei Bourlemont, quando San Francesco nacque, il padre era in viaggio per lavoro e la madre lo fece battezzare col nome di Giovanni; quando il padre tornò decise che si sarebbe chiamato Francesco (che significava Francese) in onore della moglie (secondo alcuni) o di quel paese che l’aveva fatto arricchire (secondo altri).

In questo mio intervento cercherò di dimostrare la poca attendibilità di quanto appena riportato ed indicherò altre ipotesi ben più probabili riguardo alla scelta del nome Francesco.

La prima domanda da porsi è: perché Francesco? Ovvero, perché il figlio di Pietro di Bernardone nato ad Assisi nel 1182 e battezzato col nome di Giovanni fu sempre chiamato Francesco?
Considerata però la poca attendibilità delle fonti (che mescolano storia e leggenda) ci dovremmo anche domandare: è proprio vero che fu battezzato come Giovanni e poi il nome fu cambiato in Francesco oppure il nome fu da sempre Francesco ed è soltanto un’invenzione “ex post” degli agiografi quella di dargli lo stesso nome del Battista?
E’ necessario a questo punto aprire una breve parentesi per far notare il forte collegamento tra i due santi (San Giovanni Battista e San Francesco) che trova una conferma non solo nei quadri in cui vengono raffigurati insieme, bensì anche nel fatto che entrambi vivevano in povertà e che vestivano ruvide vesti.
Oltre a ciò, è utile analizzare quanto scrive Tommaso da Celano, suo primo biografo, nel libro “Vita seconda di San Francesco d’Assisi”:
“… Francesco ebbe questo nome dalla divina Provvidenza, affinché per la sua originalità e novità si diffondesse più facilmente in tutto il mondo la fama della sua missione. La madre lo aveva chiamato Giovanni (…) quella donna presentava nella sua condotta, per così dire, un segno visibile della sua virtù. Infatti, fu resa partecipe, come privilegio, di una certa somiglianza con l’antica santa Elisabetta, sia per il nome imposto al figlio, sia anche per lo spirito profetico (…) perciò il nome di Giovanni conviene alla missione che poi svolse, quello invece di Francesco alla sua fama (…) al di sopra della festa di ogni altro santo, (San Francesco ndr) riteneva solennissima quella di Giovanni Battista (…) Tra i nati di donna non sorse alcuno maggiore di quello, e nessuno più perfetto di questo tra i fondatori di Ordini religiosi. E’ una coincidenza degna di essere sottolineata. Giovanni profetò chiuso ancora nel segreto dell’utero materno, Francesco predisse il futuro da un carcere terreno, ignaro ancora del piano divino”. E’ utile sapere che il Celano, nella sua “Vita prima di San Francesco d’Assisi” (scritta qualche anno prima) non fa menzione alcuna al fatto che la madre lo avesse battezzato col nome di Giovanni, così come più tardi avverrà per la Legenda Maior di San Bonaventura il quale inserirà questo fatto soltanto nello scritto successivo: la Legenda minor.
Chiudiamo questa parentesi nella quale viene messa in luce la forte analogia attribuita ai due santi dagli scritti agiografici e riprendiamo la nostra analisi.

In via preliminare, facciamo rilevare che “Francesco” (che, come abbiamo già detto, nella lingua medioevale del luogo significava “Francese”) era, in ogni caso, un nome a quel tempo raro ed insolito (come pure ci suggerisce il Celano che addirittura lo definisce nuovo ed originale) anche se il Fortini afferma che c’erano già stati alcuni “Francesco” ad Assisi  prima della nascita del Santo (v.nota a pag. 38 del libro”La vie de Saint Francois d’Assise” – autore l’abbé Omer Englebert -edizioni Albin Michel S.A. –Paris 1947 – All.englebert_2). A conferma della rarità del nome si può notare che la storia è piena di personaggi famosi che si chiamano Francesco (o Francois, Francisco, ecc…) ma sono tutti nati dopo il 1200: non c’è nessun personaggio storico col nome Francesco nato prima del Santo. Ciò non esclude che siano esistite persone di nome  Francesco già in precedenza, ma questo accadeva di rado visto che, statisticamente, tale nome è fra i più frequenti dopo il 13° secolo mentre è sconosciuto prima. In realtà, c’era un’area geografica dove esso era relativamente diffuso già da prima, ma di questo parleremo più avanti; per ora ci basti far notare che il suo uso era alquanto circoscritto, altrimenti si sarebbero sicuramente conosciuti personaggi storici con tale nome.

Ritornando a quanto affermato dalla biografia ufficiale, cominciamo a smontarne i pezzi iniziando col dimostrare che l’origine francese (inteso nel senso sopra indicato) della signora Pica non ha alcun fondamento.
Innanzitutto facciamo notare che il cognome Bourlemont fa riferimento ad una nobile famiglia che aveva i suoi possedimenti nella Francia nord-orientale (il bosco di Bourlemont era quello in cui Giovanna D’arco, più di due secoli dopo la nascita di San Francesco, ovvero intorno al 1425, sentiva “le voci”) quindi, era alquanto improbabile che Pietro l’avesse potuta conoscere in Provenza (che si trova a sud). Inoltre, i primi scritti sulla vita di San Francesco non dicono che la madre era francese; uno dei principali assertori di tale origine è P.Claude Frassen, francescano, che lo afferma nel suo libro”La règle du tiers-ordre de la Pènitence” scritto nel 1680. Questo sostiene  addirittura di aver visto, tra i documenti antichi della famiglia Bourlemont, un antico manoscritto in cui risulta che Pica apparteneva a tale casata, ma non ha mai prodotto tale documento quindi, come fa notare anche l’abbé Omer Englebert a pagina 36 del suo libro”La vie de Saint Francois d’Assise” edizioni Albin Michel S.A. –Paris 1947, l’asserzione è completamente fantasiosa. Qui di seguito riportiamo il passo citato in cui, con riferimento al Frassen, egli scrive: <>. Malheuresement, nul n’ayant jamais vu de fameux manuscrit, on peut considérer l’assertion de Frassen et de ceux qui la répètent comme entièrement fantaisiste.  (Pica - egli scrive - proviene dall’illustre casata dei Bourlemont, come risulta da un antico manoscritto conservato negli archivi di questa nobilissima famiglia >>. Purtroppo, non avendo nessuno mai visto il famoso manoscritto, possiamo considerare l'affermazione di Frassen e di coloro che la ripetono come del tutto fantasiosa).
Sul perché P.Claude Frassen abbia voluto scrivere (ma possiamo anche dire “inventare”, visto che non mostra le prove di ciò che afferma) non ci è dato sapere, ma forse ci può essere d’aiuto il fatto che proprio nel 1680, in Provenza, vescovo della diocesi di Fréjus-Toulon era, guarda caso, Luis D’Anglure de Bourlémont, membro appunto di tale potente famiglia, al quale avrebbe fatto sicuramente piacere scoprire che fra i suoi avi c’era anche la madre di San Francesco.
Pica, quindi, non era provenzale e ancor meno poteva essere (come una minoranza afferma) originaria della Picardia poiché questa regione si trova al nord della Francia, quasi ai confini con l’attuale Belgio.
Come sopra accennato, inoltre, non si deve dimenticare che a quel tempo il territorio dell’attuale Francia era chiamato Gallia e si iniziò a chiamarlo Francia in maniera ufficiale solo a partire dal 1190, quando Filippo Augusto iniziò ad essere denominato, nei documenti ufficiali, con la formula di rex Franciae invece di rex Francorum e nel 1190 San Francesco aveva già otto anni. Oltre a ciò, è difficile ipotizzare che da quel momento in poi tutti improvvisamente abbiano iniziato a chiamarla Francia, basti pensare che il nome Gallia resisterà ancora per quasi tutto il medioevo negli scritti in latino e che nel greco moderno viene ancora chiamata Gallia. E’ pertanto improbabile che si usi un soprannome facendo riferimento ad un nome geografico ancora poco in uso.
Escluso quindi che la madre provenisse dall’attuale Francia (al riguardo invito a leggere anche la nota n.4 a pag.36 del già citato libro di Englebert dove viene riportato un passo tratto da “Studi inediti” di P.Sabatier in cui l’autore fa rilevare quanto segue: nell’affermare che Pietro di Bernardone, nel voler chiamare suo figlio Francesco voleva onorare sua moglie che sarebbe stata di origine francese, afferma una cosa che non è basata sulla benché minima prova) prendiamo ora in esame altre incongruenze dell’ipotesi sopra esposta.
Il padre, si afferma, nel suo lavoro di mercante di stoffe si spingeva fino in Provenza, ma tale affermazione è tutta da provare poiché non c’è nessun elemento che lo dimostri e, in mancanza di prove, è probabile desumere che i viaggi all’estero fossero tipici dei mercanti della costa (Pisa, Genova, Venezia, Amalfi, …) mentre quelli dell’interno commerciassero, per lo più, tra il Tirreno e l’Adriatico, senza escludere che potessero effettuare, a volte, lavorazioni sui prodotti e quindi essere non soltanto puri mercanti.
Non si riesce inoltre a comprendere come mai, se Pietro faceva tutti questi viaggi oltralpe, abbia smesso improvvisamente di farli quando il figlio  era cresciuto e lo aiutava nel suo lavoro, visto che nessuna fonte riporta di simili viaggi fatti da Francesco insieme al padre o da solo (si parla soltanto di viaggi in Italia).
Possiamo quindi affermare, con ragionevole certezza, che rapporti diretti tra il padre di San Francesco e la Gallia, ovvero l’attuale Francia, erano estremamente improbabili.
Un’altra cosa che il buonsenso fa giudicare poco probabile è il fatto che un genitore dia al figlio un soprannome che faccia riferimento ad una località geografica che gli ha fatto fare buoni affari: chi chiamerebbe oggi il proprio figlio Americano se fa buoni affari con l’America o Russo se li fa con la Russia?
Dopo aver smontato l’ipotesi espressa all’inizio, resta però la domanda: perché, se il suo nome di battesimo era Giovanni (ammesso che così fosse), tutti (inclusi i genitori) lo chiamavano Francesco?
L’enigma appare a questo punto irrisolvibile, ma lo è soltanto se non si mette in discussione la premessa secondo cui, quando si parla di Francia, si intende sempre e soltanto quella che attualmente viene così chiamata. In realtà, le aree geografiche prendono spesso il nome di chi le abita, ad esempio: la Normandia deriva dai Normanni che vi si erano stabiliti, l’Inghilterra dagli Angli che l’avevano occupata, la Scozia dagli Scoti che la abitavano, … .
Una prima domanda che ci possiamo porre è quindi: c’era nel medio evo un’area geografica in Italia che era abitata in maniera consistente dai franchi?
La storia ci dice che l’area dell’attuale Piceno marchigiano era caratterizzata da una forte presenza franca. Ne resta una traccia addirittura nel nome stesso della regione che da “Regio Picena”, con il franco Mark che significa Marca (il Markgraf in franco era il Margravio o Conte della Marca, intesa quest’ultima come terra di confine, in opposizione al Landgraf che era il Langravio o Conte territoriale, ovvero di un territorio non di confine) è divenuta (essendoci nel territorio più di una Marca) al plurale Marche.
La seconda domanda da porci è quindi: tale presenza era talmente importante da far chiamare quell’area Francia?
Per rispondere a questa domanda è utile analizzare alcuni scritti che, trattando di cose umbro-marchigiane, fanno riferimento alla Francia.
Uno di questi è il capitolo 13° dei “Fioretti di San Francesco” che parla del santo che, insieme ad un suo confratello, dalla valle di Spoleto andavano a piedi nella “provincia di Francia”, ad un certo punto del viaggio, decidono di cambiare itinerario e di recarsi a Roma che raggiungono in poco tempo, quindi far ritorno nel luogo da dove erano partiti. Dalla lettura di tale racconto, che vi invito a fare, si evincono abbastanza chiaramente due cose:
1)     che la “provincia di Francia” era un luogo non lontano dall’Umbria
2)     che, essendo denominata “provincia” non si poteva certo riferire al territorio dell’attuale Francia, che anche a quel tempo era una delle nazioni più grandi d’Europa.
Un’altra testimonianza della Francia Picena è riportata nel sito web del Centro Studi Val di Chienti” in un articolo (siete invitati a leggere anche questo) che analizza il passo del Telesforo Benigni che nella sua opera “SANGINESIO ILLUSTRATA” (che tratta di questioni alquanto locali, addirittura di una ristretta area del maceratese) riporta che il detto, riferito alla guerra tra San Ginesio e Ripe vinta dal primo: “costa più che le Ripe a San Ginesio” in Francia era notissimo. Questa Francia non poteva certo essere quella al di là delle alpi.
Ulteriori indizi si possono ritrovare negli studi fatti dal professor Febo Allevi (docente di Storia delle tradizioni popolari e di Storia della critica letteraria all’Università di Macerata dal 1971 al 1981) considerato uno dei massimi conoscitori della storia del territorio marchigiano.
Nel saggio “I Franchi e le tradizioni epico-cavalleresche nella Marca” contenuto in “Tra storia leggende e poesia” pubblicato postumo (nel 2005) sulla base di appunti che il professore aveva lasciato (e che i curatori dell’opera hanno riordinato) si illustra, documentandola, la forte presenza franca nel territorio Piceno già dalla fine del VII secolo e l’utilizzo del nome “Francesco” quale nome proprio di persona. Oltre a questo, troviamo quello di “Via Francesca” con il quale venivano chiamate ben due strade, quello di “Val di Francia” (dalle parti di Cancelli nel Fabrianese) nonché quello dato ad un tipo di moneta: “Solidos Franciscos” che si ritrova in diversi documenti dell’alto medioevo e potremmo continuare ancora.
Ma quale fu la causa principale di questa forte presenza franca?
La risposta la troviamo nella storia dell’Abbazia Benedettina di Farfa che era ubicata nella Sabina, ma aveva grandi possedimenti nel Piceno dove, per diversi anni a partire dalla fine del IX secolo, i monaci addirittura trasferirono la loro sede (più esattamente a Santa Vittoria in Matenano).
Ciò avvenne quando Farfa fu distrutta ed incendiata dai saraceni e, a conferma del legame fra questa abbazia ed i franchi, è interessante notare cosa viene riportato riguardo al gruppo di monaci che non si diresse a Santa Vittoria, ma andò a Roma (fonte wikipedia): “Uno dei tre gruppi di monaci fuggiaschi, trovò riparo a Roma. Restò traccia della presenza dei monaci nell'insula francese di Roma: nei pressi della chiesa di San Luigi dei Francesi e nei luoghi che avevano ospitato le Terme di Nerone furono ritrovate - durante i lavori di restauro dei sotterranei di palazzo Madama, ad opera dell'amministrazione del Senato alla fine degli anni Ottanta del XX secolo - tracce di un cimitero appartenente al capitolo degli abati di Farfa”.
Nell’ Abbazia di Farfa, come è documentato, quando fu riorganizzata a partire dalla fine del VII secolo, i primi abati furono tutti di origine franca. Come riportato anche dall’Enciclopedia Treccani on-line: I primi abati che si susseguirono al governo dell'abbazia erano tutti originari dell'Aquitania, a quell'epoca in preda alle scorrerie arabe provenienti dai territori del regno visigoto. È possibile che il cenobio sabino, abitato fin dalle origini da monaci transalpini, sia diventato punto di riferimento in Italia per i profughi, vittime delle incursioni musulmane; a conferma di ciò le fonti attestano come gli abati Auneperto, Fulcoaldo, Wandelperto e Alano, avvicendatisi al governo dell'abbazia dal 720 al 769, appartenessero ad alcune tra le più importanti famiglie di Tolosa, che già da alcuni decenni si erano stabilite nella regione sabina.
A riprova del radicamento dei franchi in queste terre, inoltre, non si deve dimenticare il fatto che dal 891 al 898 presero il titolo di imperatore: prima Guido (della famiglia dei Guidoni, collaterali dei Carolingi) duca di Spoleto e marchese di Camerino, poi suo figlio Lamberto.
L’argomento è interessante e, in questa sede, per i nostri fini è già stato trattato abbastanza, chi volesse fare ulteriori approfondimenti può consultare l’opera sopra citata. E’ doveroso però specificare che, così come indico tale testo utile per gli indizi che cercavamo, allo stesso tempo, per rispetto del compianto professor Allevi, è necessario sottolineare che, non avendolo pubblicato in vita, egli forse non riteneva ancora pronto il lavoro preparatorio da lui sviluppato, si invita pertanto a leggerlo senza cadere in interpretazioni superficiali e poco rispettose della sua memoria. Quello che ci deve interessare, infatti, non è difendere aprioristicamente una teoria o un’altra strumentalizzando i lavori altrui, bensì progredire nella conoscenza.
Della Francia Picena, infine, ha ampiamente parlato il Prof. Giovanni Carnevale nei suoi ormai numerosi libri. Tali scritti non sono sintetizzabili in poche righe, quindi invitiamo a leggerli anche perché spiegano come mai ci sia stata una vera e propria “damnatio memoriae” per quanto riguarda la presenza franca nelle Marche.
Con la Francia situata nel Piceno marchigiano, molte tessere del mosaico trovano la loro collocazione:
1)     La signora Pica poteva a questo punto essere anche francese (nel senso di Francia Picena)
2)     Il padre di San Francesco commerciava sicuramente con la Francia Picena e qui avrebbe potuto conoscere sua moglie.
3)     Si potrebbe ipotizzare che Giovanni potesse, fin da piccolo, aver preso dalla mamma l’accento “francese”, usare espressioni verbali tipiche di tale idioma ed avere comportamenti che, ad Assisi, venivano associati ad una provenienza dalla Francia Picena, ma a mio avviso ci sono altre due ipotesi che reputo più probabili e sono quelle che vado ad illustrare nel punto successivo
4)     Capita ancor oggi che si voglia dare al proprio figlio il nome di un suo avo scomparso e capita altresì che, se l’avo (o più in generale una persona cara) viene a mancare poco dopo che il bimbo è stato battezzato, in famiglia si inizia a chiamarlo col nome della persona defunta. Ora, se la signora Pica veniva dalla Francia Picena, poteva avere un padre o un familiare (o una persona cara a lei o a suo marito) di nome Francesco (nome che, come abbiamo visto, era diffuso in quella zona) che è venuto a mancare poco dopo il battesimo di Giovanni ed a questo, da quel momento, hanno iniziato a chiamarlo Francesco. Oppure, l’altra ipotesi è che, vista la vicinanza ed il forte interscambio tra Assisi ed il Piceno, il nome Francesco sia iniziato ad essere usato, ancorché non diffusamente, nella valle di Spoleto ed il Santo sia stato sin dall’inizio battezzato col nome di Francesco (in questo caso, la storia secondo cui fu battezzato col nome Giovanni sarebbe un’invenzione fatta “ex post” dagli agiografi per rafforzare il collegamento con il Battista).

Se non altro, per esclusione, sembrano essere queste ultime due (e soprattutto l’ultima) le spiegazioni più probabili perché, se si fosse trattato di un soprannome legato al comportamento o all’accento, questo sarebbe stato dato in età almeno preadolescenziale e non sarebbe riuscito a cancellare completamente il nome di battesimo, inoltre, difficilmente un genitore chiamerebbe il proprio figlio con un soprannome affibbiatogli da altri.

Riepilogando, quindi, risulta priva di adeguato fondamento la tesi maggiormente accreditata, riguardo al perché del nome Francesco mentre, le due ipotesi maggiormente probabili, si basano entrambe sull’esistenza di una Francia Picena che era, se non l’unico, certamente uno dei pochissimi territori  in cui era diffuso il nome Francesco.
Ciò, oltre a dare una risposta più adeguata al quesito posto inizialmente (perché Francesco?) prova anche a rompere quel muro di indifferenza e a volte di scherno che impedisce la divulgazione di conoscenze storiche documentate che indicano nel Piceno marchigiano il territorio in cui, perlomeno a partire dalla fine del VII secolo, si assiste ad una forte presenza franca ed impedisce altresì che si studi in maniera approfondita il contributo che tale presenza ha dato allo sviluppo della dinastia Carolingia.
Detta in altri termini, quando si studiano fenomeni o periodi storici difficili da comprendere anche per mancanza di informazioni certe, spesso è necessario mettere in discussione le teorie comunemente accettate per poter avanzare nella conoscenza.
Inoltre, nel caso in cui si formulino delle ipotesi basate, in parte su prove certe ed in parte su indizi, l’eventuale dimostrazione che gli indizi sono errati, non fa venir meno la parte che si basa su prove certe; in altri termini: se si venisse a scoprire con certezza un motivo diverso da quelli qui ipotizzati circa il nome di San Francesco, ciò non fa assolutamente venir meno la veridicità delle prove riguardanti la Francia Picena, così come tale veridicità non sarebbe messa in discussione dall’eventuale confutazione delle teorie riguardanti Aquisgrana in val di Chienti.

Sarebbe auspicabile che gli storici di professione, invece di rifiutare in blocco tutta la teoria del professor Carnevale, ripartano dalla base certa relativa alla presenza Franca nel Piceno e sviluppino i loro studi per capire fino a che punto tale presenza contribuì all’ascesa Carolingia.