giovedì 30 marzo 2017

Silvano Scalzini: "Il cibo medievale nella zona contadina del Maceratese"

Filmato a cura di Giorgio Rapanelli


Il Dott. N. Graziosi presenta una sua riflessione su:"Sali (piceni?) in Provenza nel secondo sec a.C."


Sali (piceni?) in Provenza nel secondo sec a.C.

Ci hanno insegnato che la Salaria era la via del sale. La definizione non mi ha mai convinto. Uscito dalle aule scolastiche, affetto dalla passione per i libri antichi, affascinato dalla vastità d’informazioni desumibili da internet, ho cercato smentite; ne ho trovate poche.
Quasi sempre si legge che la Salaria (attuale strada statale 4  Ascoli – Roma) era una “via di scopo” (trasporto del sale). Non è colpa di Plinio il vecchio, (Como 23 – Stabiae 25 agosto 79 eruzione del Vesuvio), in Naturalis historia, XLI, 89: “... sicut apparet ex nomine Salariae viae quoniam illa salem in Sabinos portari convenerat…”  Lodovico Domenichi, pubblicato in Venezia da Giuseppe Antonelli nel 1844, traduce: “come si vede nel nome della via Salaria, così detta, perché per essa si portava il sale ai Sabini (letteralmente: conveniva portare). Altri hanno liberamente tradotto “così chiamata perché attraverso questa i Sabini trasportavano il sale dal mare”. A volte la fortuna aiuta gli audaci e più spesso gli errori.
Certamente ai Sabini il sale romano arrivava sulla Salaria, che non poteva essere via di scopo esclusivo. Pur ammettendo che la Salaria partisse da Roma, non terminava in Sabinia: il suo tracciato era ed è molto maggiore1.
Nelle Marche c’erano e ci sono altre due vie Salarie la Picena (Adriatica) e la Gallica (Fossombrone, Macerata, Urbisaglia, Arquata). Perché tante Salarie in una piccola regione dove le colline si bagnano nell’Adriatico? Sembra razionale che l’insieme delle tre Salarie possa individuare un popolo che intorno ad esse viveva: i Sali (Salii, Salj, Salji, Saluvj, Salientes, Salici; dei vari storici). Questa ipotesi è supportata anche dalle Tavole Eugubine2 “il più antico testo rituale di tutta l’antichità classica” secondo Devoto. In esse è codificato il rito della “Lustrazione (purificazione) dell’esercito”: in molti testi di storia di Roma detto “Armilustrum dei Salii”, festa celebrata il 19 ottobre. Nella tavola 1.b.10-45 il celebrante ordina all’esercito di schierarsi “per curie e per centurie”: i Sali erano molto numerosi, come si può desumere dalle vittime sacrificali: tre vitelle, tre giovenche mature – tre verri rossi o neri, tre scrofe rosse o nere – si producano insaccati neri e bianchi2 – siano presenti prodotti della terra, sale, farina e farro rostito. Il Vocabolario Della Lingua Italiana (1924) di Nicolò Tommasseo per Banchetto saliare intende un convivio ricco e sontuoso come confermato da Orazio Flacco in Odi I, 37.
Nella storiografia classica i Sali sono come un fiume carsico: il più delle volte sono sotterranei e/o vengono confusi con etnie ad essi vicine.
Sono certo che molto altro si debba scovare; lascio il compito a quanti migliori di me.
Resto convinto che i Sali erano popoli forti, sviluppati, numerosi, evoluti e molto antichi, preesistenti agli stessi romani; ne parleremo nel prossimo futuro. Ora mi fa piacere riportare fedelmente quanto pubblicato in due volumi (ultra centenari):

 Dissertazione  Istorica  Fregelli - Pasquale Cayro  Napoli  I795 Stamperìa di Antonio Paci:
“637 di R …”fu determinato di allontanare Fulvio da Roma e fu inviato contro i Popoli Sali,
630 di R “Ma lo stesso Caio Sestio (Calvino console nel 629 di R), allorché esercitava la carica di Proconsolo , avendo soggiogato li popoli Salj della Gallia Transalpina ivi trasportò la riferita Colonia per popolare una Città da lui destinata ſabbricarsi quale per essere stata edificata presso alcune fonti di acque, riguardo a queste, ed al suo nome si appellò Aquae  Sextia nobile citta di Provenza sotto il nome di Aix, ora celebre”3

2  Roma descritta e illustrata. .. volume unico – venezia – Tommaso Fontana Ed. 1844
“La prima di queste nazioni, che fu attaccata dai romani sotto la condotta di Sestio, fu quella cui il commercio dei salumi2 lungo le spiaggie del Mediterraneo avea da lunga pezza fatto distinguere col nome di sali. Essa a quel tempo era retta da un re chiamato Teutomalias, difesa da alta montagna sopra un suolo generalmente poco fertile. Sestio a traverso di un paese frastagliato da foreste e da dirupi, marciò fremente contro questi galli, cui il solo aspetto rendeva terribili. La loro statura vantaggiosa, la loro intrepidità, le lor armi, e la loro unione facevano temere ai romani di trovar nell'occidente dei nemici ben più formidabili di quelli da essi rinvenuti nell'oriente. Ma le legioni non perciò ristettero dall'avanzarsi nella regione dei sali la più vicina a Marsiglia,

 la quale pure era appartenuta altra volta a que' popoli. Dal luogo più delizioso del paese donde scaturivano molte fontane d'acqua calda, che intramezzavansi con altre sorgenti di fredda, i romani scorsero le truppe nemiche ordinate in battaglia. Sestio senza perdere un momento fece dar loro la carica, e le volse tostamente in fuga. Questa prima vittoria riportata sui galli sali capitaneggiati dal loro stesso re Teutomalias, e sul loro medesimo territorio, bastò al proconsole onde fare il conquisto dell'intera nazione. L'armata romana, posto l'assedio alla capitale, la prese malgrado il numero de' suoi difensori, e ridusse in ischiavitù gli abitanti. Teutomalias fu presso che il solo che abbia potuto salvarsi, rifuggiandosi presso gli allobroghi di lui vicini.
Solevano bene spesso i generali romani, quando miravano ad assoggettare un popolo, e tenerlo a dovere, di segnalare le prime loro imprese con qualche tratto di clemenza onde addolcire gli animi dei vinti. Narra Diodoro di Sicilia che mentre Sestio faceva rendere gli abitanti di una città di cui s'era impadronito giusta l'uso di que' tempi, un certo Cratone, che veniva condotto incatenato cogli altri, si presentò a lui, rappresentando che la sua costante amicizia pei romani, e il suo attaccamento per i loro interessi gli avevano sovente fatto soffrire dei mali trattamenti per parte de' suoi concittadini: il che udito il proconsole, e riconosciuta ch'ebbe la verità del fatto, non solamente lasciò in libertà Cratone con tutta la sua famiglia, ma promise altresì di francare dalla schiavitù novecento prigionieri. L'amicizia cui Sestio testificò dipoi costantemente a Cratone provò ai sali la riconoscenza de' nuovi loro padroni, e fu un legame che unilli ad essi.
Dopo avere stabilita la dominazione romana ben innanzi nella Liguria transalpina, Sestio studiò come si potesse renderla permanente. Egli credette, ed a ragione, non esservi mezzo migliore a contenere questo popolo di carattere per natura incostante, che quello di fondere una colonia romana in quel sito stesso, in cui avea egli ottenuta la sua prima vittoria. Un luogo sì fecondo per chiare acque e calde e fredde, gli parve adattato a divenire una città abitabile da' romani. Fe' perciò dar mano al lavoro, e mise in opera gli stessi suoi legionari ad edificare abitazioni, ed erigere baluardi e torri: finalmente impose il proprio nome alla novella città, chiamar facendola Aquae Sestiae: essa sussiste ancora al giorno d'oggi sotto il nome Aix di Provenza. Questo proconsole rifinito dalle fatiche di una penosa campagna, e dai dolori della gotta, apprezzava meglio che ogni altro l'utilità de' bagni termali la cui istituzione era d'altronde favorita dalla località… In questo mezzo Sestio purgò dai Sali tutte le spiaggie da Marsiglia sino all'Italia, confinandoli a duemillecinquecento passi lungi dal mare, e lasciò tutta cotesta costa ai marsigliesi, i quali si accorsero forse della imprudenza commessa nell'aver chiamato a se vicini così pericolosi”3 
CONSIDERAZIONI
Questi autori (ed anche altri) scrivono Popoli Sali, Sali, Galli Sali, Questi Sali, saluvi salui considerandoli sinonimi; se questi vari nomi individuano lo stesso popolo, si deve dedurre che hanno la stessa origine; non ho ancora trovato un testo che ne parli chiaramente. Erano italici (gravitanti intorno alle vie Salarie?), rifugiati al nord dopo la conquista romana dell’Italia centrale e/o preesistenti.
Da quanto sopra, è documentato che i Sali hanno lungamente vissuto in Provenza, aldiquà e aldilà delle Alpi, sia prima sia dopo i sette anni di guerra con Roma. Se si evidenziano riti, tradizioni e linguaggi italici è pienamente normale; sarebbe strano il contrario.
Il re di questi Sali o Galli Sali era Teutomalias, il quale ottenne da Sestio la potestà di francare dalla schiavitù novecento dei suoi. Non è dato sapere come poi si siano chiamati. Forse Franchi Teutones (perché francati di Teutomalias) anche se erano Sali, Galli Sali,  popoli Salj della Gallia Transalpina. Nel capitolo “Della liberalità” in Roma Antica e Moderna – Roisecco Roma 1765 si afferma l’uso sfrenato, dei romani, di francare i popoli vinti: “rendendosi con un tal atto tributari per sempre gli animi di quelli (i prigionieri vinti), che dalle contribuzioni, ed aggravi servili erano stati generosamente assoluti. I francati (Franchi) dovevano essere una moltitudine. I romani hanno poi accertato che la gratitudine, ammesso che esista, ha vita incerta; è un fiore caduco, presto appassisce e avvelena l’aria di chi l’ha custodito. La storia è (dovrebbe essere) maestra di vita. Invece…

1 vedi: strade romane nel piceno
2 vedi: la storia del salato

3 questa deportazione, descritta da altri storici, viene dimostrata non vera dallo stesso Cayro

sabato 11 marzo 2017

La sindaca di Corridonia consegna la cittadinanza onoraria al prof. Giovanni Carnevale


   L'oliva "Carlo Magno", con ripieno di ciauscolo, è stata creata per l'occasione della cerimonia di consegna della Cittadinanza onoraria al prof. Carnevale. Come si vede è già in trono.

venerdì 10 marzo 2017

Alla ricerca dei luoghi in cui è vissuto ed ha acquisito il potere il duca Federica III di Svevia (Barbarossa). Ricerca di Massimo Orlandini

Da oltre 10 anni l'amico Massimo Orlandini effettua una ricerca puntuale sulla Marca di Ancona e la conseguente carica che la storiografia ufficiale ha assegnato a Federico e Guarnerio.
La notevole quantità di documenti  che l'Orlandini ci presenta dimostrano che fino al tredicesimo secolo nelle fonti non vi è stata mai traccia di una Marca di Ancona e quindi del suo duca e marchese.
Esistono però nello stesso periodo due personaggi: Federico e Guarnerio a cui viene attribuito il titolo di duca e marchese.
Secondo la tesi di Orlandini tali cariche di duca e marchese, attribuite in particolare a Federico, si riferiscono a controllo di una area del centro-orientale dell'Italia e derivano solo dallo stretto vincolo di parentela con gli imperatori regnanti negli stessi anni.
La tesi è avvalorata soprattutto dalla evidente autorità  dimostrata da costoro ad esempio nel concedere l'esenzione del "fodrum" al monastero di Fonte Avellana.


domenica 5 marzo 2017

Come da noi anticipato con la relazione del Prof. Enzo Mancini anche "il Resto del Carlino" ci informa che "Hitler cercava prove sugli ariani" a Jesi


L'articolo sotto riportato sul Resto del Carlino ci fa credere che le storie, che ancora circolano nel maceratese, su quanto accadde alla fine della seconda guerra mondiale e da noi  pubblicate lo scorso anno, hanno una solida base di attendibilità.
Per facilitarvi la lettura riportiamo integralmente i nostri due articoli.



martedì 22 novembre 2016
Pubblichiamo una relazione ricevuta del Dott. Piero Giustozzi
Fatti misteriosi a San Claudio durante l’occupazione tedesca (1943-1944).
                                     
                                                            

Wolfgang Hagemann fu un famoso studioso del Medioevo, principalmente delle relazioni intercorse fra la dinastia degli Hohenstaufer e la città di Jesi e alcuni centri comunali del fermano e del maceratese. Già nel 1937 ne aveva visitato gli archivi storici senza essere controllato. Durante l’occupazione tedesca, a San Claudio, oltre ad un contingente di militari tedeschi, una importante delegazione di alto livello ispezionò la chiesa. Non sappiamo se per disposizione di Hagemann o dallo stesso guidata. Cosa cercava e cosa ha portato via? Mistero. Mistero che aveva eccitato la curiosità del giovane parroco don Benedetto Nocelli da indurlo a chiedere, nei primi anni Sessanta, alle persone più anziane notizie sulla famosa mummia  e su altri fatti strani avvenuti durante l’occupazione tedesca. Mistero che tenteremo di chiarire.
Lino Martinelli (1923) ricorda, che durante le incursioni aeree delle forze alleate sulla tratta ferroviaria Civitanova – Tolentino, la popolazione di San Claudio trovava un sicuro rifugio nella chiesa, con la certezza che non sarebbe stata colpita.
Di quel periodo turbolento e tragico, le fonti bibliografiche e documentali, le testimonianze,  sebbene lacunose e talvolta contraddittorie, ci permettono di proporre con una certa attendibilità gli avvenimenti e di avanzare alcune ipotesi interpretative. Abbiamo tratto informazioni dal manoscritto inedito Vita vissutadel dott. Costantino Lanzi, primo sindaco di Corridonia dopo la Liberazione, daL’ultima guerra in val di Chienti (1940-1946)di Aldo Chiavari, da Guerra ai nazisti il racconto di un patriota chiamato “Verdi” di Mario Fattorini, dai documenti del Cln comunale, da varie testimonianze, le più significative quelle di don Benedetto Nocelli, parroco di San Claudio dal 1962 al 2011, di Claudio Principi e dei nipoti di don Giovanni Michetti, pievano e parroco di San Claudio dal 1923 al 1956.

A supporto della nostra ipotesi, brevemente proponiamo qui soltanto le uccisioni di soldati tedeschi, tralasciando gli altri avvenimenti.
Il ten. Mario Taglioni (1918) era il comandante partigiano di Corridonia, Mogliano e Petriolo.
Dopo l’inutile assassinio del fascista Goliardo Compagnucci per mano di Guglielmo Palombari, (rappresaglia della milizia fascista evitata per l’intervento del segretario del fascio locale), le azioni d’attacco dei partigiani si concentrano nel mese di giugno 1944, quando ormai è imminente dell’arrivo dell’armata polacca.
Assaltano nella zona di Cigliano una colonna tedesca. Tre soldati uccisi. Mario Taglioni da solo uccide nel campo d’aviazione di Sarrocciano una sentinella tedesca, asporta parti di una mitragliatrice e taglia  i fili della linea telefonica.
Guglielmo Palombari ( Gugliè de Panara) accoppa a casa Spalletti, con un colpo alla nuca, un soldato tedesco intento a suonare il pianoforte. Carica il cadavere su una carriuola in uso ai muratori e lo fa scomparire. Un altro tedesco viene ucciso il 19 giugno sotto il ponte di Chienti. Al riguardo non esistono altre informazioni. Un soldato tedesco di guardia al comando tedesco installatosi nella scuola di San Claudio, situata lungo la nazionale e vicino al mulino Franceschetti, di notte è ucciso da due sedicenti partigiani di Corridonia. Su questo delitto, per molti aspetti emblematico della guerra civile, non esiste documentazione. Ne siamo, tuttavia, venuti a conoscenza per la testimonianza dei fratelli Foresi, allora poco più che ragazzi. Storia che racconterò nel prossimo libro.
Per queste uccisioni non si hanno rappresaglie da parte del comando tedesco. Per l’uccisione della sentinella della scuola, il comando tedesco si astenne avendo ottenuto prove incontrovertibili della non colpevolezza degli abitanti della zona. Più complessa la questione relativa all’uccisione della sentinella di Sarrocciano. La rappresaglia fu evitata grazie ai buoni rapporti tra la popolazione della contrada e i soldati che compresero come l’attacco notturno fosse da attribuirsi ad elementi partigiani. Gli agricoltori della tenuta di Sarrocciano ricordano e sottolineano infatti la forma di pacifica convivenza tra le loro famiglie i reparti germanici costituiti in maggioranza da elementi di religione cattolica…
Si registra un’altra uccisione di un soldato tedesco sempre nel mese di giugno. Claudio Principi ( ci riferì di sapere il nome dell’autore del delitto, che mai però avrebbe rivelato nemmeno sotto tortura), don Benedetto Nocelli, i nipoti di don Giovanni Michetti hanno affermato che il sacerdote riuscì a evitare una rappresaglia perché convinse il comandante tedesco a rispettare il quinto comandamento non uccidere.
Non è possibile con esattezza accertare se questo sia un nuovo delitto o faccia riferimento agli altri.
Certamente, così come riferita da più testimoni, appare verosimile la motivazione di carattere religioso.
Il ragguardevole interesse, tuttavia, di Hagemann e delle gerarchie tedesche per l’abbazia di San Claudio e per le ricerche effettuate negli archivi dei nostri comuni ci suggeriscono un’ipotesi diversa.
Nei lavori di restauro del 1924-1926, sotto l’altare della chiesa fu rinvenuto la salma mummificata di un guerriero dai capelli biondo rossicci e con a fianco una spada. Don Giovanni Michetti, in quel periodo pievano di San Claudio, dà testimonianza scritta del suo ritrovamento, ma non sa dove sia stata portata. Ed è una grossa bugia. Sapeva benissimo, come la maggior parte dei parrocchiani, dove era stata deposta. Le testimonianze, poi, concordi di almeno tre giovanotti del tempo, ripetute infinite volte alle persone della zona e giunte fino a noi, hanno indicato il luogo esatto dove trovarla: vicino alla prima colonna a destra della chiesa. Anzi ne hanno perfino indicato il punto preciso.
La nostra ipotesi è che don Giovanni Michetti  abbia potuto impedire la rappresaglia non tanto perché il comandante tedesco era un fervente cattolico quanto bensì perché gli aveva consegnato la mummia. Può sembrare una ipotesi suggestiva, ma non meno credibile di quella fondata sulla magnanimità, ispirata da motivi religiosi, del comandante tedesco. Le memorie testimoniali di don Giovanni sono pressoché inesistenti. Quella dettata a don Benedetto negli anni Sessanta lascia intendere la volontà di negare una verità scomoda.
Un altro tragico fatto rende più credibile la nostra ipotesi. Il 22 giugno 1944 a San Claudio ( i polacchi erano il giorno precedente entrati a Corridonia) il siciliano Gaetano Paci ex paracadutista viene fucilato dal comando tedesco. Costui aveva trovato una sistemazione presso la famiglia Re, che conduceva a mezzadria un terreno di proprietà Olivieri di Sarrocciano.  Gaetano, detto anche Salvatore, aveva familiarizzato con i tedeschi, che presidiavano l’area del costruendo campo di aviazione.
Intercettato da una pattuglia tedesca fu fermato e perquisito: gli furono trovate una bussola militare e l’uniforme da gustatore. Condotto presso il comando, a S. Claudio, dopo un sommario processo fu condannato alla fucilazione, avvenuta la sera stessa della cattura, poco lontano dalla chiesa, dietro la casa di Martinelli. Riferiscono poi le testimonianze e le fonti documentali: A nulla era valso il tentativo di evitargli la fucilazione effettuato dal parroco don Giovanni Michetti, bruscamente allontanato dai tedeschi.
Il comandante quindi non era più quel fervente cattolico convinto da don Giovanni Michetti ad evitare addirittura una rappresaglia? Forse nel frattempo era cambiato.  Ma a distanza di pochi giorni?
C’è ancora un’ultima annotazione. L’Iriae nel settembre del 2014 ha effettuato un carotaggio interno alla chiesa in un punto in cui il GeoRadar aveva indicato un vuoto sul lato destro della chiesa, più precisamente nel punto dove era stata deposta la famosa mummia. A circa un metro di profondità la telecamera ha confermato la presenza di una larga camera rettangolare con volta a botte riempita di ossa umane. Non si è riusciti, tuttavia, a distinguere la presenza di materiale di diversa tipologia. La mummia quindi non c’è. Ma lì era stata posta nel 1925.
Non siamo depositari di alcuna verità, ma le tesi del prof. Giovanni Carnevale e di altri studiosi che ripropongono dell’Alto medioevo una storia profondamente diversa da quella tradizionale, le ricerche dei tedeschi, prima durante e dopo il secondo conflitto mondiale, per scoprire nella nostra terra le gloriose origini della loro nazione, impongono una seria riflessione.   
    

                                                                       Dott. Piero Giustozzi


lunedì 10 ottobre 2016
Il prof. Enzo Mancini ci incuriosisce e stupisce ancora con il suo: MAN IN BLACK
MEN IN BLACK

Nella vicenda di Aquisgrana a  san Claudio vengono fuori inattesi risvolti: la presenza degli uomini in nero, non nella fantasia ma nella più dura realtà: si staglia sinistra su questa storia  l'ombra delle SS.

Mio fratello mi ha riferito la testimonianza di Claudio Franceschetti, fratello di Annibale Franceschetti, i proprietari dell'antico mulino di san Claudio.
Ho avuto modo di parlare spesso con  Annibale, meno con Claudio.
Annibale mi raccontò un fatto interessante: prima di abbandonare la posizione i tedeschi, allo scopo di rallentare l'avanzata degli alleati non minavano solo i ponti, anche i mulini.
E il mulino di san Claudio stava per essere fatto saltare. La mamma di Annibale e Claudio si era messa a piangere e poco dopo anche i figli. Ma c'era un comandante tedesco, che parlava l'italiano, che aveva preso a benvolere questi bambini: ebbe compassione e ordinò di rimuovere le carica esplosive.
Così il mulino restò in piedi e dette ai due fratelli la possibilità di lavorarci fino alla pensione.
Solo adesso, dopo che i due fratelli sono morti, ho realizzato che il comandante tedesco era Wolfgang Hagemann.
Dopo la guerra questo signore tornò in Italia e tenne la carica di direttore del DHI,
l’istituto storico tedesco che ha sede in Roma.
Si interessò soprattutto di Federico II, cercando i risvolti delle sue vicende negli archivi dei paesi ( a quei tempi risultava strano) del fermano soprattutto.
Chi si interessa di storia locale di questa regione conosce benissimo questo autore.
Io mi sono spesso domandato come facesse questo tedesco a sapere tutto dei nostri paesetti. Ora me lo spiego.
Ma torniamo al periodo della seconda guerra mondiale.
Mio fratello Ennio ha raccolto, quasi per caso, la testimonianza di Claudio Franceschetti, pochi mesi prima che morisse, che i Tedeschi nel 1944 mandarono a san Claudio una delegazione di alto livello, che ispezionò l’interno della chiesa, non certo sotto gli occhi di tutti.
Ora passo alle logiche supposizioni, altro non si può fare.
Questa delegazione era sicuramente costituita dalle SS di Heinrich Himmler, mandate a Iesi sulle tracce del Codex Aesinas: dovevano trovare l’unica copia antica dell’opera di Tacito “Germania”, custodita nella villa dei conti Baldeschi – Balleani, perché dovevano cambiare un’inezia: un tamquam con un quamquam.
Questa inezia dava ai nazisti l’alibi morale per proclamare la supremazia della razza ariana! Troppo lungo da spiegare, ma fidatevi, è così, cioè, era così.
Questa spedizione non trovò il codex aesinas, ma credo che non tornò a casa a mani vuote. Si portò a casa la mummia di Ottone III.

Erano passati diciotto anni dal suo ritrovamento sotto l’altare di San Claudio.
Il parroco don Giovanni Michetti conservava lo spadino ritrovato sopra la mummia, sapeva dove era stata ritumulata, come lo sapeva metà dei parrocchiani:
Secondo me uno come Wolfgang Hagemann aveva capito che quella mummia era di Ottone III, molto prima di Giovanni Carnevale.
Ma se i nazisti se la sono presa nel 1944, che andiamo a cercare noi oggi, le farfalle?
Ora qualcuno mi dirà: dove sono i documenti, dove sono le prove di quello che scrivi?
Che devo rispondere? Ma Himmler e le SS sono realmente esistiti?
I tedeschi non scherzano mai, recita una nota pubblicità per una auto tedesca, però dicono un sacco di bugie.
Provate a pensare allo scandalo della Volkswagen: con 15 miliardi di euro la storia verrà chiusa e chi s’è visto s’è visto.
Ma è veramente curioso che i molti ingegneri inventori del dispositivo fraudolento si sono laureati tutti ad Aachen, tanto che i giornali che parlano di questa frode titolano “Aachen connection”.
Per chiudere il discorso, che sarebbe troppo lungo e complicato, quello che mi preoccupa è che forse da qualche parte in Germania questa mummia potrebbe saltar fuori da un momento all’altro.
Allora l’intelligentone milanese  potrà dire tranquillamente: “ Io lo avevo detto  che questi valdichientisti arroganti e visionari erano da rinchiudere in un manicomio.”


Enzo Mancini

Il Prof. Giovanni Carnevale cittadino onorario della Città di Corridonia



Sabato 11 marzo alle ore 16,30 nella sala consiliare in p.zza Corridoni 8 il sindaco, Nelia Calvigioni, alla presenza del Consiglio Comunale, consegnerà al prof. Giovanni Carnevale la cittadinanza onoraria di Corridonia per i suoi rivoluzionari studi sull’abazia di San Claudio.
Il professore si è laureato nel ’53 con una tesi sull’archeologia cristiana ravennate del V e VI secolo e, già trent’anni fa, ha individuato un collegamento tra la chiesa di S. Claudio e la chiesa di Germigny des Prés, attualmente Comune con 730 abitanti nel dipartimento della Loira.
Questa chiesa francese è universalmente riconosciuta come imitazione di quella di Aquisgrana, secondo quanto già il vescovo Théodulf scrisse a Carlo Magno dopo la sua costruzione. Ancora oggi, nella zona circostante, numerosissimi cartelli stradali la indicano proprio come oratorio carolingio. La chiesa è a pianta quadrata con 5 absidi (una sesta è stata aggiunta nel 1870 durante la guerra franco-prussiana) e 4 pilastri, pianta quindi identica a quella di S. Claudio.
Chiunque può invece constatare facilmente che l'attuale chiesa di Aachen in Germania, che i tedeschi pensano erroneamente che sia Aquisgrana, oltre ad essere a struttura ottagonale, è, all'interno e all'esterno, totalmente differente da quella di Germigny des Prés. D’altronde gli stessi studiosi germanici nel 2010, in seguito ai loro scavi stratigrafici, hanno dovuto ammettere che nel sottosuolo non ci sono tracce di chiese precedenti e quindi il confronto può riguardare solo l'attuale edificio ottagonale.
Nell’enciclopedia Treccani viene detto, inoltre, che la chiesa di Germigny rivela un sicuro influsso orientale sassanide ed omayyade: “Tale influsso - ha sempre affermato il nuovo cittadino onorario di Corridonia - si ritrova e si riconosce anche a S. Claudio ma non ad Aachen”.
Questa importante scoperta nel 2011 è stata vista con simpatia dal segretario del Pontificio Comitato di Scienze Storiche Città del Vaticano, prof. Cosimo Semeraro, che, nel presentare “THE SCHOLA PALATINA AND THE CAROLINGIAN RENAISSANCE IN VAL DI CHIENTI”, dice di Carnevale: “…ben noto nel più serio segmento della storiografia picena su Carlo Magno fa presagire il contenuto ….: far chiarezza e rendere giustizia sull’esistenza, sul significato e sul ruolo di Aquisgrana in Val di Chienti”. Altrettanta simpatia ha mostrato il docente di Storia medievale alla Pontificia Università Gregoriana, prof. Giulio Cipollone, che è voluto intervenire alla presentazione dello stesso libro.
Ora, alla veneranda età di 93 anni, il prof. Carnevale riceverà un nuovo significativo riconoscimento, prezioso tributo alle sue ricerche sempre più conosciute e apprezzate in Italia e all’estero.
Albino Gobbi