martedì 20 giugno 2023

Una considerazione ricavata dal Capitulare de Villis

 

Il Capitulare dei Villis ci porta a fare una precisa osservazione: nella descrizione della organizzazione dell'ager di Carlo Magno non vengono mai nominate le abbazie, che sicuramente esistevano nel territorio di proprietà dell'Imperatore.

Dall'analisi del documento si evince e si conferma che le abbazie erano strutture amministrativamente indipendenti dal Palatium.

Non doveva quindi esserci nessun riferimento nel Capitulare dei Villis. Al contrario, per sottolineare il legame degli ecclesiastici della Cappella con il Palatium, veniva ordinato di devolvere in maniera obbligatoria le decime alle chiese dell'Imperatore.

Queste chiese dipendevano dall'Arcicappellano nominato ed alle dipendenze dirette dell'Imperatore.

Praticamente la Cappella Palatina e le chiese dell’Imperatore costituivano una "Chiesa Autocefala".

mercoledì 14 giugno 2023

Con un "Post scriptum" il Prof. Giovanni Carnevale già nel 1999 ha evidenziato le "sviste", forse volutamente depistanti, delle Prof.ssa Hildegard Sahler .

 

Dal libro del Prof.

G I O V A N N I  CARNEVALE

La scoperta di

AQUISGRANA

in VAL DI CHIENTI

 

POST SCRIPTUM

Quando questo mio lavoro era già pronto per la stampa è pervenuto in Macerata il

volume di Hildegard Sahler “San Claudio al Chienti”, Ed. Rhema, Münster 1998.

Il volume, di notevole impegno editoriale, con ricco e adeguato repertorio di

profili grafici e documentazione fotografica, è redatto in lingua tedesca ma presenta

in chiusura un breve sommario in lingua italiana.

Lo studio della Sahler non tiene conto della mia tesi su San Claudio, ma fa il

punto in modo accurato ed esauriente in merito agli studi a tutt’oggi effettuati

sulla cosiddetta Abbazia di San Claudio al Chienti e sugli altri similari edifici,

prima cioè che in tale ambito irrompesse, sconvolgente, la mia teoria sull’origine

carolingia degli edifici.

Mi permetto solo qualche rilievo su come la Sahler delinea le origini di San

Claudio.

A pag. 54 del testo tedesco si afferma che la chiesa di San Claudio è documentata

solo a partire dal 1092, e poiché per ragioni stilistiche la chiesa è anteriore a

tale data, per collocarla correttamente nel tempo occorre valutare attentamente le

circostanze in cui San Claudio e gli altri edifici similari furono costruiti. Al che

non posso non dare il mio totale assenso.

A pag. 45 l’autrice si esprime in questi termini: “Nei pressi di Pausulae, antica

città e già sede episcopale, il vescovo di Fermo fondò con molta probabilità la

Pieve di San Claudio, come decisa affermazione dei suoi diritti sulla diocesi”

(paleocristiana scomparsa, n.d.a.). Il “con molta probabilità” dà alla affermazione

della Sahler il valore non di un effettivo dato di fatto, ma di un suo personale

orientamento storiografico, che io rispetto e potrei anche condividere purché all’espressione

“fondò la Pieve di San Claudio” non si dia il senso di “costruì la Pieve

di San Claudio”. Negli anni immediatamente posteriori al 1000, cioè dopo la

morte di Ottone III, resse le sorti dell’Impero Enrico II, di cui è nota la politica

ecclesiastica volta a potenziare il potere delle diocesi sul territorio dell’Impero. È

una tesi perfettamente sostenibile che con lui la Cappella palatina di Aquisgrana

sia divenuta Pieve e quindi parte integrante del Patrimonio di S. Claudio, cioè

della Chiesa di Fermo. Basti pensare che in quegli anni - lo si è spesso richiamato

- anche gli antichi “Ministeria” carolingi della Val di Chienti divennero

“Privilegia” dipendenti dalla Chiesa Fermana.

A pag. 243 del Sommario l’autrice afferma però: “Il vescovo Uberto di Fermo

si fece costruire in un posto strategicamente importante, verso il 1030, la chiesa a

due piani di San Claudio al Chienti come chiesa privata rappresentativa insieme

alla sua residenza, riservandosi personalmente la chiesa superiore, mentre quella

inferiore continuava nella sua funzione la tradizione della pieve paleocristiana”.

Ammesso e non concesso che la funzione di San Claudio dopo il 1000 fosse quel

la adombrata dalla Sahler, è comunque inaccettabile il perentorio “si fece costruire”.

Qui non si può più parlare di particolare orientamento storiografico perché si

afferma, senza mezzi termini, che San Claudio fu costruita verso il 1030 dal

vescovo Uberto; l’autrice non adduce prove documentarie né potrebbe addurle

perché già a pag. 54 aveva affermato che le prime notizie di un “Ministerium” di

San Claudio datano dal 1089 e quelle di una chiesa di San Claudio dal 1092.

Nella redazione italiana del Sommario la Sahler insomma calca la mano e induce

l’incauto lettore italiano a credere che sia la data, sia il vescovo costruttore siano

dati di fatto e non sue illazioni o congetture.

Il lettore che vorrà farsi un’idea approfondita delle origini di San Claudio non

ha che da confrontare tali congetture con la corposa ricostruzione storico-archeologica

da me fornita sull’ascendenza carolingia del discusso edificio.

Comunque, poiché le mie ricerche si fermano pressappoco all’anno 1000 e

quelle della Sahler partono da tale data, le nostre due pubblicazioni si presentano,

per profilo cronologico, complementari. Peccato che della mia produzione la studiosa

tedesca non sembra conoscere le pubblicazioni del 1994 e 1996, ma solo

quella del 1993, come risulta dalla nota 14 di pag. 21, in verità troppo sbrigativa.

L’autore

                                                                                                                                   


martedì 13 giugno 2023

Documento che richiama il Capitulare de Villis

A proposito del CAPITULARE DE VILLIS questo è richiamato da:



e tradotto con GOOGLE:


Die beiden umfassendsten , ihrem Inhalte nach ganz hierher zu

rechnenden Reichsgesetze sind aber a) das Capitulare de villis (vel

curtis ) imperialibus v. 812 , eine ausführliche rechts wie cultur

geschichtlich gleichbedeutsame Instruction für die Wirthschaftsbe

amten der zum Dienste d. h. Einkommen des Königs bestimmten

Fiscalgüter in 70 Abschnitten ;

I due più completi, in base al loro contenuto, vanno qui

Tuttavia, le leggi imperiali calcolatrici sono a) il Capitulare de villis (vel

curtis) imperialibus v. 812, un diritto dettagliato come cultur

istruzione storicamente equivalente per l'economia

uffici del servizio d. H. determinato il reddito del re

beni fiscali in 70 sezioni;

I due più completi, in base al loro contenuto, vanno qui
Tuttavia, le leggi imperiali calcolatrici sono a) il Capitulare de villis (vel
curtis) imperialibus v. 812, un diritto dettagliato come cultur
istruzione storicamente equivalente per l'economia
uffici del servizio d. H. determinato il reddito del re
beni fiscali in 70 sezioni;

Trascrivo parte di un dibattito vecchio di 18 anni!

da un fortuito ritrovamento sul web di un acceso dibattito che il carissimo amico Franco Valentini ha sostenuto ben 18 anni or sono contro agguerriti detrattori della tesi del Prof. Giovanni Carnevale, trascrivo parte della discussione, facendola precedere da interessanti e chiarificatrici scoperte avvenute successivamente allo svolgimento del dibattito: 

1) 

Andreas Schaub, il 18 maggio 2010, ha detto all’ADNCRONOS/DPA,  (dichiarazione ripresa il giorno dopo da molti giornali italiani): “La tomba originaria di Carlo Magno non si trova sull’atrio della cattedrale di Aquisgrana come si era finora pensato. A smentire la popolare teoria è stato un team di archeologi che per tre anni ha cercato invano tracce della sepoltura dell’imperatore. Malgrado le ricerche, le tracce più antiche trovate nel sottosuolo dell’atrio risalgono al 13esimo secolo, 400 anni dopo la morte di Carlo Magno”.

2 ) 

Di recente in un suo manuale scolastico G. Dorfles scrive: “Vanno segnalati i recenti studi italiani (G. Carnevale) che si spingono, persino, a ipotizzare che fu S. Claudio in Chienti, e non quella di Aquisgrana, la Cappella Palatina nella quale venne sepolto Carlo Magno.” (Dorfles, Ragazzi, Civiltà d’arte, vol. 2 2014, Atlas)


     Per coloro che volessero seguire l'antico dibattito riporto anche il link:

https://free.it.storia.medioevo.narkive.com/Rd5ZYoXH/aquisgrana-in-val-di-chienti

 

Aquisgrana in Val di Chienti

(troppo vecchio per rispondere)

frank

18 anni fa

Permalink

Sono Valentini Franco, faccio parte del Comitato per lo studio
dei Carolingi in Val di Chienti. Vorrei partecipare al dibattito che si
è instaurato in questo Forum come semplice conoscitore e sostenitore
della tesi del prof. Carnevale.
Ho seguito lo scambio di opinioni tra il prof. Fiorili e il
dottor Scoccianti sul documento dell'inverno del 801 in cui il
professore desume, sulla base dell’esame di questo documento, che non è
possibile, anzi assurdo, che Aquisgrana possa essere in Italia, tanto
meno in una zona cosi periferica come la Val di Chienti in provincia di
Macerata, archidiocesi di Fermo.
Rispetto il giudizio del prof. Fiorili, ma quello
che occorre, a mio avviso, è avere una visione d'assieme dell'intera
tesi. Qui ci sono tanti di quegli indizi che fanno prova; Agatha
Cristie diceva che 2 tracce fanno un indizio e 3 indizi fanno una
prova. Ebbene qui oltre a decine di indizi ci sono pure prove.

Capisco che la tesi del professor Carnevale sembri incredibile,
eppure è cosi. Non possiamo farci niente !
Infatti penso che non si smonti tanto facilmente, con tutto
il rispetto per i professori che si sono pronunciati sfavorevolmente.

La documentazione che esiste (che non è tutta presente
nel sito) non può essere ignorata, specialmente poi quando sono i
tedeschi stessi a dire che la Chiesa di Aachen non è la Cappella
Palatina fatta costruire da Carlo Magno.
Lo dice Illig nei suoi libri degli anni ‘90, portando
la bellezza di 24 ragioni architettoniche per dire che la chiesa di
Aachen è di tre secoli più tarda dall'epoca di Carlo Magno. Conosco il
grosso infortunio in cui è incappato Illig, ma non ha niente a che
vedere con le 24 ragioni architettoniche.
Chi visita la chiesa di Aachen e conosce la chiesa di
Ottmarsheim, vicino Strasburgo (1030, anno di costruzione), arguisce (e
lo arguisce anche uno che si intende poco di storia dell’arte, penso)
che quella di Ottmarsheim è anteriore a quella di Aachen e ne
rappresenta il prototipo, non il contrario come dice l'ufficialità, se
non altro per quel piano in più di Aachen che fa pensare già
all’avvento del Gotico.
A proposito poi di Illig, è doveroso far conoscere
che tra Illig e il prof. Carnevale c'è stato uno scambio epistolare,
dove il prof. esponeva la sua tesi. La risposta di Illig fu che
riconfermava che la chiesa di Aachen non è quella di Carlo Magno, ma
che la Cappella Palatina l'avrebbe continuata a cercare in Germania.
Reazione comprensibile per un tedesco

Poi c’è la sorprendente recensione del prof. Nanselrath
che ha curato la mostra d’arte carolingia nei Musei Vaticani nel 2001,
che recita: "

"Vi sono crescenti dubbi che sia stato proprio Carlo Magno
l'ideatore di questa perfetta scenografia di Aachen. E' più probabile
che essa sia stata realizzata nel periodo ottoniano e attribuita a
Carlo Magno a sostegno del mito creatosi intorno alla sua figura. In
tal caso la simbologia scelta appositamente dai successori di Carlo
Magno si sarebbe trasformata in interpretazione storica, senza che
nessuno se ne accorgesse."

D'altro canto ad Aachen non c'è una chiesa
precedente, ad Aachen non è mai stato trovato il Palatium, anche se
dicono che sia sotto il Rathaus e tanto meno è stata trovata la "Nuova
Roma", entità reale descritta in tutte le biografie di Carlo Magno e
testimoniata in particolar modo dalla lettere di S.Nilo e Leone. Ma
siccome ad Aachen non c’è, è caduta nell’oblio. Sembra un’entità
astratta, ideale.
Ed infine si dice che la chiesa di Aachen è stata
costruita da un certo Odo di Metz, quando le fonti affermano (Notker)
che la cappella palatina di Aquisgrana fu costruita da “maestranze di
tutti i paesi al di là del mare reclutate” da Carlo Magno, molto
probabilmente genti arabo-siriache.
Tutto ciò viene confermato dall’oratorio di Germigny,
vicino Orleans, che è l’unico monumento in Europa ad avere i documenti
che attestano la sua origine carolingia.
In questi documenti si dice che l’oratorio di Germigny
è stato costruito sul modello della Cappella Palatina che è in
Aquisgrana. La chiesa di Aachen non ha alcun punto in comune con
Germigny; per trovare le gemelle di Germigny, a livello europeo,
bisogna venire in Italia e più specificamente nel Piceno. Ce ne sono
quattro: S.Claudio al Chienti, S.Vittore alle Chiuse, S.Maria alle
Moie, S.Croce dei Conti a Sassoferrato.

La descrizione della Cappella di Aquisgrana fatta
dal Widukind in occasione dell’incoronazione a “re dei romani” di
Ottone I nel 936 descrive S.Claudio, non Aachen.
Il Notker dice che sopra la Cappella di Aquisgrana vi
era un “solarium” che permetteva di girare intorno alla cupola. Ad
Aachen la cupola prende tutto il vano sottostante, non c’è un
camminamento intorno alla cupola, come ancora oggi si può verificare in
una delle chiese gemelle di Germigny: S.Vittore alle Chiuse, presso le
grotte di Frasassi.
A tutto questo si aggiunga la “traslazione” del corpo
di Carlo Magno nel 1166, a cui segui pochi anni dopo la “traslatio
imperii” dall’Italia in Germania e tutto questo ad opera del Barbarossa.
La storia ufficiale quindi dice che Carlo Magno è stato
sepolto ad Aquisgrana, il suo corpo oggi è nella chiesa di Aachen, ergo
Aachen è Aquisgrana. La storia si è formata in questo modo.
Ma è la traslazione del corpo di Carlo Magno da Aquisgrana ad altra
destinazione a confutare questo sillogismo !

Ma so che allo storico piace confrontarsi con più
documenti possibili. E’ giusto. Per questa volta e a questo proposito
vorrei citare due commenti di documenti fatti dal Bohmer (i documenti
non ce li abbiamo, il reperimento è lavoro da studiosi, noi ci
limitiamo a segnalarne l’esistenza ed il sito). Questo è il classico
esempio di due documenti autentici, dichiarati falsi sol perché non
sono funzionali ad Aachen.
Chi conosce le varie guerre che l’imperatore Ludovico
II intraprese contro i Saraceni nel sud-Italia, sa che in una di queste
nel settembre del 865 Ludovico si trovava a Roma, poi si sposta sul
litorale adriatico a Ravenna dove organizza un esercito per muovere
contro i Saraceni e prevede di essere il 25 marzo 866 a Lucera, in
Puglia.
Senonchè ritarda, passa lungo l’Adriatico e arrivato a
Pescara cambia strada, si interna verso la Marsica ad Avezzano e poi a
maggio 866 arriva a Sora, a giugno a Montecassino. Questo è quello che
dice la storia ufficiale.
Chi conosce la fonte di questo documento sa però che
manca qualcosa e quel qualcosa è che il 2 aprile 866 Ludovico scendendo
da Ravenna e diretto verso Pescara si ferma ad “Aquisgrani Palatio
Regio”, identificato subito dal Boemer con Aachen, poi accortosi
dell’assurdità, specifica che si tratta di un falso !
Altro commento illuminante del Bohmer è
quello di Carlo III il Grosso che il 15 febbraio 881 è a Roma, il 26
febbraio è ad “Aquis Palatii”, (impropriamente indicato dal Bohmer con
Aachen anche questa volta), quindi a Piacenza e poi il 6 marzo a
Trento. Anche questo secondo documento per il Bohmer è un falso. Ha
pensato giustamente che non si può ragionevolmente arrivare in 11
giorni in pieno inverno da Roma ad Aachen; minimo ce ne sarebbero
voluti 40 ! Ammesso che fosse stato possibile valicare le Alpi !
E qui vorrei fare alcune considerazioni: è
ragionevole pensare che quell’uomo di una certa età qual’era Papa Leone
III andasse spesso a passare il Natale ad Aquisgrana con Carlo e si
sobbarcasse 30 – 40 giorni di viaggio massacrante con la grande
incognita del valicamento delle Alpi in inverno ? E a livello di
curiosità e non di prova le fonti dicono che il Papa e Carlo invece di
bere birra, come si converrebbe nel nord Europa, brindano con il vino
Falerno, vino dell’Italia centro-meridionale. E magari, sempre a
livello di curiosità, brindano insieme al direttore spirituale di Carlo
Magno che era il Patriarca di Grado Fortunato che non divenne mai
Patriarca di Venezia perché andava troppo spesso ad Aquisgrana in
Francia a curare l’anima di Carlo e i Veneti lo cacciarono e misero al
suo posto Giovanni !
E’ ovvio dire che le considerazioni fatte sono
supportate da documenti; qualora venissero richiesti, saremo solleciti
a citarli nel Forum.
A me non leva nessuno dalla testa che il Bohmer (e di
altri studiosi tedeschi che pure hanno avuto il merito di aver raccolto
quella montagna di documenti che oggi sono gli MGH) non abbia fatto
caso all’incongruenza di questi 2 documenti (e di chissà quanti altri
che noi non conosciamo e forse non conosceremo mai) e non si sia
realmente chiesto come fosse stato possibile per ben due volte
localizzare il Palatium Aquisgrani in Italia ed in una precisa zona
d’Italia.
Non vorrei essere malizioso, ma penso che se la raccolta
degli MGH fosse stata opera di studiosi italiani, oggi avremmo
riconosciuta la Aquisgrana italiana ! Quella più autentica. Il grande
lasso di tempo che è intercorso tra gli avvenimenti e la raccolta di
documenti (1000 anni) hanno creato nel frattempo quello che il prof.
Nasserlrath chiama: “il crearsi dei miti intorno alla persona di Carlo
Magno. In tal caso la simbologia scelta dai successori di Carlo Magno
si sarebbe trasformata in interpretazione storica, senza che nessuno se
ne accorgesse”.
Quindi non solamente il mito ha lavorato sulla chiesa
di Aachen, ma ha funzionato pure su molti documenti che portavano ad
una geografia diversa. I luoghi venivano francesizzati o germanizzati e
il più delle volte sicuramente in buona fede, perché il mito si era
sovrapposto alla realtà: da un certo momento in poi si era creata la
convinzione, anzi la certezza che Aachen fosse sempre stata Aquisgrana.
Non per niente nei documenti antichi la Francia viene
citata senza mai fare riferimento a città, all’infuori di Aquisgrana.
La Francia viene sempre distinta dalla Gallia , dalla Germania,
dall’Italia. Si fa raramente riferimento a luoghi precisi, come nelle
altre regioni europee e quando il documento sembra entrare in
particolari mancano sempre delle frasi. Le note degli MGH riportano
diciture:”qui manca il nome”, qui il manoscritto è illeggibile”, “qui è
stato strappato”.
Non so se ciò par poco, possiamo anche aggiungere
altri documenti; aggiungeremo sicuramente, non oggi, anche la
tradizione orale che da noi c’è ed è sconcertante e ad Aachen non c’è;
ad Aachen c’è un buco nero !
Il 19 marzo a Civitanova Marche presso la nostra sede
(Biblioteca comunale “S.Zavatti”) terrà una conferenza una signora
francese che risiede nell’Alto maceratese da 5 anni, in un paesino
chiamato Pievebovigliana.
La signora sta pubblicando un libro in Francia, ora
tradotto anche in italiano che si intitola: ”Sulle tracce di Carlo
Magno nel paese delle orchidee nere”. Inutile dire che il paese delle
orchidee nere è il Piceno. Ed è la stessa signora , che non fa altro
che riconfermare Illig sulla completa assenza di tradizioni nel nord-
Europa (“Ma Carlo Magno è mai esistito” ?).
La signora è nata in Vallonia, la zona di Aachen e di
Heristal e ci ha confermato che là vi è completa assenza di tradizioni
su Carlo Magno e grande è stata la sua meraviglia quando le ha scoperte
qui e ancor prima di conoscere gli scritti del professore, lei ha
sentito per questa terra picena una forte attrazione, una familiarità
sconosciuta; le sembrava di essere tornata a casa sua in Vallonia. Sarà
molto interessante conoscerne le impressioni.

Saluti

Valentini Franco


mercoledì 7 giugno 2023

I documenti del periodo carolingio ci sono, ma loro (I PROFESSORONI onniscienti) li snobbano. Per questo motivo ritorno sull'argomento, riproducendo ciò che ha scritto il l Prof. G: Carnevale.

  

Dal libro del Prof.

G I O V A N N I  CARNEVALE

La scoperta di

AQUISGRANA

in VAL DI CHIENTI

Pag.: 35 - 38:

IL TERMINE PALATIUM INDICA L’AREA DEL POTERE DI AQUISGRANA. IL PALATIUM ERA NEL PICENO.

 

Eginardo e Claudio di Torino usano, come si è visto, il solo termine di Palatium

per indicare il Palazzo di Aquisgrana.

Il Palatium lo troviamo, localizzato nel Fermano, in un documento del 787

redatto per ordine di Hildeprand, duca di Spoleto. (14) Il documento fa anche riferimento

a Guarino, genero di Hildeprand e conte dello stesso Palatium, cosicché

questo Palatium nel Fermano ha tutti i requisiti per essere Aquisgrana, ubi regis

comitatus erat. (15) Un conte di Palazzo poteva infatti esserci solo ad Aquisgrana.

La presenza del Palatium nel Fermano comporta un massiccio insediamento di

Franchi nel Piceno. Che ceppi di popolazione franca abitassero nel Piceno è

indubbio, perché ancora dopo il Mille, nei contratti locali o nelle disposizioni

testamentarie si specificava a quale legislazione i traenti intendessero attenersi, se

alla franca, o alla longobarda, o alla romana. Non si è però mai indagato né sull’origine

né sulla consistenza di tali insediamenti.

Ciò premesso, do in traduzione il documento che la cancelleria del Palatium

redasse nel 787 per volontà di Hildeprand, duca di Spoleto.

In nome del Signore Dio Gesù Cristo nostro Salvatore.

Regnando i signori nostri Carlo e Pipino suo figlio, re dei Franchi e dei

Longobardi e patrizio dei Romani, nell’anno del loro regno in Italia per grazia di

Dio XIV e VI.

In nome di Dio Onnipotente io Hildeprand, glorioso e sommo duca del Ducato

di Spoleto.

Sono noti i fatti per cui Rabenno, figlio del conte Rabenno della città di

Fermo, prese in moglie Haleruna che Hermifrid per diabolica ispirazione rapì con

violenza e sposò. In seguito a ciò Rabenno denunciò il fatto qui “in Palatio” e

successivamente si celebrò il processo a carico dello stesso Hermifrid. Secondo la

legge longobarda ambedue furono consegnati nelle mani di Rabenno. Poi Rabenno

di sua volontà fece loro dono della vita e alla sua presenza fece indossare ad

Haleruna l’abito di monaca e la fece consacrare da un sacerdote. E pur essendo

stato fatto tutto ciò, dopo se la riprese di nuovo in moglie. Di conseguenza tutti i

possedimenti della stessa Haleruna divennero di proprietà pubblica, secondo la

legge. Perdonò ugualmente ogni colpa allo stesso Hermifrid e lo restituì spontaneamente

a suo padre Spentone in seguito a “launigildo”. Dopo però, poiché stavano

di nuovo per cadere in peccato, lo stesso Rabenno lo uccise di sua mano. Perciò, in

base alle disposizioni di legge riportate dall’editto, il predetto Rabenno fu cacciato

da tutti i suoi possedimenti e la metà di essi divenne di dominio pubblico.

Perciò noi, suddetto glorioso e sommo duca, a nome dei suddetti re nostri

signori e nostro, doniamo e concediamo al Monastero di Santa Maria Madre di

Dio sito nella Sabina, nel luogo denominato Acuziano, dove lo stesso Rabenno si

è volontariamente fatto monaco, ossia a te, reverendissimo Altpert, abate santissimo,

nostro oratore, e a tutti i monaci dello stesso santo Monastero, tutta la suddetta

proprietà di costoro, quale è stata secondo diritto e ragione devoluta alla

proprietà pubblica, cioè le case, le terre, le vigne, i prati, le selve, i saliceti, gli

alberi fruttiferi e infruttiferi, i campi coltivati e incolti, i servi e le serve, i beni

mobili e immobili, tutto in blocco quale è divenuto di proprietà pubblica per diritto

e per ragione secondo la legge, e quale essi stessi prima avevano posseduto a

buon diritto, tutto insomma concediamo in possesso del detto Monastero. Perciò a

partire da oggi resti saldo e stabile possesso del detto Monastero e dei suoi abati

e non venga mai rivendicato da nessuno, conte, gastaldo o nostro “actore”. Io

Halifred diacono e notaio ho scritto ciò per ordine della suddetta autorità.

Rilasciato “in Palatio” per ordine di Spoleto nell’anno XIV della nostra elezione

a duca in nome di Dio, nel mese di agosto, indizione X.

Sotto il conte Guarino, nostro genero.

Il documento offre lo spunto per varie riflessioni:

** Carlo Magno nell’agosto del 787 era impegnato in Baviera contro il ribelle

duca Tassilone, ma dal documento risulta che in sua assenza Hildeprand aveva o si

arrogava il diritto di inviare da Spoleto ordini alla cancelleria del Palatium nel

Fermano, cui presiedeva un Conte di Palazzo. Hildeprand insomma agiva in nome

di Carlo Magno stesso. Il riconoscimento della carica di Guarino (sub Guarino

comite genero nostro) è quasi solo un atto di cortesia del suocero nei confronti del

genero. Eppure i procedimenti giudiziari rientravano nelle competenze del conte

di Palazzo. Eginardo al c. 24 riferisce che Carlo Magno se, mentre si vestiva, il

Conte di Palazzo gli riferiva che c’era una lite che non poteva essere risolta senza

una sua decisione, faceva subito introdurre i litiganti e pronunciava la sentenza.

Evidentemente, di fronte alla personalità e all’invadenza del suocero, il genero

lasciava fare.

** I Rabenno senior e junior erano conti di Fermo, ma Hildeprand li liquida con

uno sbrigativo filius cuiusdam Rabennonis comitis civitatis firmanae. Evidentemente

i conti Rabenno erano nobili longobardi senza più potere. A Rabenno

junior Hermifrid aveva potuto rapire la moglie; Hildeprand, in nome di Carlo

Magno, gli aveva sottratto metà dei beni e tutti quelli della moglie, fino a spingerlo

a trovar rifugio, come monaco, nell’abbazia di Farfa. Per il longobardo Rabenno

era stato senz’altro un’umiliazione e un errore aver chiesto ai Franchi del Palatium

che contro Hermifrid si istruisse un processo secundum legem longobardorum.

** Nel Palatium era attiva una cancelleria tanto qualificata che Hildeprand

attraverso essa poté fare, in nome di Carlo Magno, ciò che da Spoleto non avrebbe

potuto fare. Era cioè la cancelleria del Regno.

** Il documento la dice lunga sull’arroganza dei metodi con cui i Franchi si

andavano impadronendo del territorio fermano a danno dei Longobardi. Forse per

reazione a tutto ciò il longobardo Paolo Diacono maestro nella scuola palatina di

Aquisgrana fino al 787, dopo tale anno non volle più restare ad Aquisgrana, ma se

ne andò a Montecassino.

** La cancelleria del Palatium, dopo aver redatto il diploma per ordine di

Hildeprand, in chiusura, quasi a scanso di responsabilità, ci tiene a precisare che il

documento era stato redatto ex iussione suprascriptae potestatis, cui evidentemente

non si poteva dire di no. Come se non bastasse si aggiunge che è stato redatto

In Palatio ma per ordine di Spoleto, iussione Spoleti.

** Il tribunale del Palatium è il tribunale di suprema istanza del Regno. Non

dipende da Fermo perché ne giudica i conti e non dipende da Spoleto perché la

stessa Spoleto deve far ricorso al Palatium per rendere esecutivo in nome dei re

Carlo e Pipino un provvedimento preso dal duca.

** Indubbiamente Hildeprand aveva calcato pesantemente la mano nei confronti

dei Rabenno di Fermo e questo poteva aver suscitato resistenze locali e perplessità

sull’effettiva validità giuridica del documento rilasciato su pressioni del duca

di Spoleto, ma In Palatio e a nome dei re Carlo e Pipino. Trovo infatti anomalo

che Carlo, sette mesi dopo, abbia dovuto emettere un secondo documento, sulla

falsariga del primo, a integrazione dell’opera di Hildeprand. Il beneficiario abate

Altpert nel proprio interesse, ma anche la cancelleria del Regno, a scanso di

responsabilità, si rivolsero a Carlo, perché al provvedimento di Hildeprand venisse

riconosciuta indiscussa validità giuridica. E Carlo, da buon diplomatico, per arginare

la debordante invadenza di Hildeprand e precludergli un ulteriore uso personalistico

della cancelleria del Palatium non ne riconobbe esplicitamente la validità

giuridica ma emise un nuovo diploma identico al primo nella sostanza, per cui

l’abbazia di Farfa entrò in possesso dei beni di Rabenno per diretto conferimento

di Carlo Magno. Così facendo Carlo Magno riconobbe che il processo contro

Rabenno e Haleruna si era svolto legalmente, nel rispetto del diritto longobardo,

ma non riconobbe la validità del documento “estorto” da Hildeprand alla cancelleria

del Regno.

Do in traduzione il nuovo documento emesso direttamente da Carlo Magno,

pratica dichiarazione di nullità giuridica del primo, anche se ne ripete pressoché

alla lettera i contenuti. (16)

Carlo per grazia di Dio Re dei Franchi e dei Longobardi e Patrizio dei Romani.

Tutto ciò che per amore di Nostro Signore Gesù Cristo cediamo e doniamo ai

luoghi dei venerabili santi, riteniamo che in nome di Dio abbia pertinenza con la

prosperità e la stabilità del nostro regno.

Sia perciò noto a tutti i nostri fedeli presenti e futuri che il venerando Abate

Altpert e i monaci del Monastero di Santa Maria Madre di Dio e sempre Vergine,

che è situato nel luogo chiamato Acuziano, nella Sabina, hanno richiesto alla clemenza

del nostro regno alcuni beni che il duca Hildeprand, nostro fedele, ha

requisito o acquisito in seguito a processo, da un uomo di nome Rabenno e da sua

moglie Haleruna in base all’editto dei Longobardi, a causa di alcuni atti illeciti

da essi perpetrati, e cioè la metà di tutto il patrimonio del suddetto Rabenno e per

intero la proprietà di Haleruna: che tutto quel che possedevano nella città di

Fermo o nel suo territorio lo donassimo in elemosina o lo confermassimo al detto

Monastero di Santa Maria. Come a ciascuno dei nostri fedeli che presentano giuste

richieste, non abbiamo voluto dire di no alle loro richieste. Ordiniamo perciò e

comandiamo, che tutto ciò che il ricordato duca Hildeprand acquisì a giusto titolo,

secondo la legge, dal predetto Rabenno e da sua moglie Haleruna, sia in terre,

case, edifici, campi, selve, prati, pascoli, acque e corsi d’acqua, sia in vigne, alberi

fruttiferi e infruttiferi, luoghi colti e incolti, beni mobili e immobili, servi e

serve, tutto e in tutto lo tengano e lo posseggano per sempre, per conto del suddetto

monastero di Santa Maria, il prefato e venerabile abate Aldepert e i suoi

successori che saranno rettori del suddetto monastero, in virtù di quest’ordine,

come dono di sostegno da parte della serenità nostra. Se ne servano per l’illuminazione

della chiesa e il mantenimento dei monaci che ivi servono a Dio, per

sempre, come elemosina nostra e della consorte e dei nostri figli. Perché questo

documento abbia più valore e sia meglio conservato nei tempi futuri, lo abbiamo

sottoscritto di propria mano e lo abbiamo fatto sigillare col nostro anello. Firma

del gloriosissimo Carlo. Hercambald in sostituzione di Radone.

Rilasciato il 28 marzo negli anni XX e XIV del nostro regno. Redatto a

Ghilinheim nella nostra “villa”. In nome di Dio, felicemente.

Per concludere, il Palatium di Aquisgrana sul territorio di Fermo non può essere

fantomatico, anche perché possibili resti del Palatium sono già emersi dal sottosuolo

nelle immediate vicinanze di San Claudio al Chienti.