domenica 27 dicembre 2015

Abbazia di Santa Maria d'Arabona (Sancta Mariae de Ara Bona)

L'Abbazia di Santa Maria d'Arabona (Sancta Mariae de Ara Bona), comune di Manoppello,  fu fondata dai Cistercensi nel 1209
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I Cistercensi introdussero soluzioni originali in architettura, curarola lavorazione di manoscritti svilupparono tecniche agricole avanzate, opere di ingegneria idraulicae una organizzazione, che potremmo definire industriale, del lavoro il cui sistem si ripercosse su tutta l’Europa medioevale.
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mercoledì 23 dicembre 2015

Pubblichiamo un aggiornamento sul possibile viaggio dell’elefante di Carlo Magno ricevuto dal prof. Enzo Mancini

Macerata 20/12/2015  
                                                Portus  Veneris      
                                       
Mio fratello Ennio, a cui va dato il merito del rinnovato interesse per Abul Abbas da parte del centro studi carolingi di san Claudio, ispirato probabilmente dal lavoro dell’amico Albino Gobbi sulla presenza dei Franchi nel vicino Abruzzo, mi ha dato un prezioso suggerimento proprio oggi.
Mio fratello, maggiore d’età ma minore di studi, ha preso a cuore la ipotetica grande storia del nostro “natio borgo selvaggio” sicuramente più di me, che ultimamente ho avuto da pelare altre gatte e quindi minore disponibilità di tempo.
Insomma curiosando sulle vecchie abbazie dell’Abruzzo ha scoperto che alla foce del fiume Sangro, in comune di Fossacesia,  esiste l’abbazia di san Giovanni in Venere, un complesso monastico con veduta dalla collina sull’Adriatico, un tratto di mare conosciuto come golfo di Venere.
Il toponimo di “Portus Veneris” è attestato da antichi documenti.
Per farla breve, verso l’anno 540, vivente san Benedetto, alcuni dei suoi discepoli edificarono, sulle rovine di un tempio di Venere, un monastero e una chiesa dedicata alla Madonna e a san Giovanni Battista. Il monastero, dipendente prima da Monte Cassino e poi da Farfa, si rese indipendente solo nel 1004.
Nell’abbazia, che nel suo momento migliore ebbe possedimenti, oltre che in Abruzzo, nelle Marche, in Puglia, in Romagna, in Dalmazia, soggiornarono personaggi che divennero Papi: Stefano IX, Celestino V, Vittore III.
Quindi non ci sarebbe bisogno di arzigogolare che Porto Venere poteva essere Cupra Marittima, perché a meno di cento chilometri più a Sud, sulla costa Adriatica, è documentata la presenza di un Portus Veneris che agli inizi del IX secolo poteva far parte del territorio carolingio.

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Ora sugli attuali libri di Storia non scrive nessuno che la giurisdizione di Carlo Magno arrivava fino al Molise, ma è un fatto da discutere.
( Questa precisazione è soprattutto per Albino Gobbi: sono tornato virtualmente a visitare il santuario della Madonna di Canneto, con google maps )
Nel 2006 ad agosto partecipai ad un ciclo-pellegrinaggio organizzato dalla parrocchia di san Marone di Civitanova Marche. Nella seconda giornata di fatica il gruppo di cicloamatori risalì la valle del Trigno e fece tappa al santuario di Santa Maria di Canneto. Entrando nella antica chiesa attirò la mia attenzione una pesante lapide sul lato sinistro rispetto all’entrata. Ci si legge:

Papi ed imperatori del medioevo che nelle loro bolle e diplomi menzionarono la chiesa e il monastero di Santa Maria di Canneto sul Trigno
Marino II – Giovanni XIII – Stefano IX – Niccolò II – Urbano II – Pasquale II – Callisto II – Anastasio II – Alessandro (?) – Clemente (?) Innocenzo III – Onorio III – Sisto IV
Carlo Magno – Enrico II il Santo – Corrado II il Salico – Enrico III il Nero – Lottario III il Sassone.

Chiedo scusa per i punti interrogativi, ma ho ricavato il testo da una foto. Comunque se ci andate non penso che abbiano spostato la pietra, di diversi quintali di peso.
Io ritengo che se qualcuno si è preso la briga di incidere sulla pietra questo testo, si basava su documenti che non si può avere inventato.
Perciò anche la patria di Don Giovanni Carnevale, Capracotta, che oggi fa parte del Molise, ma si trova a Nord del Trigno, è stata sotto l’imperatore dei Franchi e dei Longobardi.


Mancini Enzo

mercoledì 9 dicembre 2015

L'elefante di Carlo Magno è sepolto a San Claudio?




Riprendiamo la  notizia relativa all’elefante di Carlo Magno, per presentare quanto gentilmente ci viene riferito e concesso dal prof. Enzo Mancini. Dal suo libro “ Aquisgrana Restituta” , nel capitolo dedicato all’elefante, troviamo la notizia che, qualche decennio fa nel corso della trivellazione di un pozzo, in località San Claudio, furono portati alla luce dei denti di un animale. Gli operai addetti alla trivellazione non esitarono ad attribuirli ad un “ enorme animalaccio”. Al nascere della teoria di Aquisgrana in Val di Chienti, essendo andati perduti tali resti, il prof Mancini mi dice di aver accompagnato personalmente l’operaio, che aveva ritrovato questi strani denti, al museo di storia naturale di Camerino,  con lo scopo di farsi indicare, tra i reperti esposti, quelli che più somigliavano a quelli venuti alla luce dallo scavo. E’ da questa indagine che si comprese che essi erano straordinariamente identici a quelli di un elefante.

Riportiamo ora la copertina del libro del prof. Enzo Mancini, le pagine relative al capitolo dell’elefante e una recentissima relazione che il prof.  Mancini cortesemente ci ha espressamente preparato per il nostro sito.








































Abul Abbas (analisi del prof. Enzo Mancini)

In data 802 d.C. alla corte di Aquisgrana pervenne, dopo un viaggio di circa quattro anni, un elefante, scortato dall’ebreo Isacco, dono del capo abasside Harun Al Rashid, califfo di Bagdad, più famoso in letteratura come il signore delle mille e una notte.
Riguardo a questo animale ormai storia e leggenda si intrecciano in modo inestricabile, tanto che quello che si può prendere per buono è solo la frase precedente, perché attestata dal biografo ufficiale di Carlo Magno, Eginardo. Che cita l’elefante ma non il suo mahout. Che poi si chiamasse Isacco o Abramo, non è decisivo in questo contesto. Cerco di spiegarmi meglio.
Fra gli storici la più diffusa versione è che questo elefante arrivò per mare a Porto Venere, in Liguria, da lì fu portato a Vercelli dove, con l’avvento della stagione propizia, gli furono fatte attraversare le Alpi.
Ma c’è chi scrive, senza purtroppo citare le fonti, che detto pachiderma sbarcò a Pisa, per essere portato a Pavia. Ma, per evitare di dover ripetere la rischiosa impresa di Annibale, fu di nuovo imbarcato in Liguria per approdare a Marsiglia. Da là non era poi così difficile farlo giungere ad Aix- la - Chapelle, oltre le Ardenne, risalendo la valle del Rodano.
Nel mio sforzo di trovare le fonti documentali ho letto negli “ Annales qui dicuntur Einhardii” che l’elefante  morì nell’810, dopo aver attraversato il Reno, in località Lippenheim. Ma questo brano riguardante l’elefante è una evidente interpolazione, evidenziata e sottolineata nella prima edizione degli MGH, non più nella più recente versione.
Ora io mi domando: come ci si può fidare completamente di questi “Annales”, pieni di cancellature, interpolazioni, correzioni, scritti e riscritti dopo molti anni dai fatti, in latino ma con i toponimi in perfetto tedesco, località comparse tre, quattro, cinque… secoli dopo. Come mi meraviglia che gli storici tedeschi, che sanno da più di cento anni che Aachen non è l’Aquisgrana carolingia, continuino a spacciarla per tale senza fare una piega. Ma dopo lo scandalo della Volkswagen mi meraviglio di meno. 
E mi viene in mente un pensiero strampalato: non potrebbe succedere fra mille e più anni, speriamo di più, se ci fossero guerre atomiche, che gli storici futuri siano costretti a ricavare la storia del Nazismo dalle vignette di Sturmtruppen?
Questa considerazione soprattutto per i tanti sapientoni che sul web fanno commenti impropri, misti a grasse risate, al sentire che c’è qualcuno che vuol riscrivere la storia di Carlo Magno. Dice bene Umberto Eco che Internet ha posto sullo stesso piano il premio Nobel con lo scemo del villaggio.
Tornando al nostro pachiderma, che sia sopravvissuto allo stress di quattro anni di viaggio e a otto inverni della Westfalia a me pare poco credibile. Nella “Storia d’Italia” di Montanelli - Gervaso si legge che l’elefante non morì di polmonite, ma per aver mangiato troppo foraggio fresco, fornitogli dalle stesse mani dell’imperatore, che per il dispiacere proclamò addirittura una giornata di lutto nazionale. Che l’elefante era asiatico lo sapevo già da tempo: quello africano non è addomesticabile. 
Che era anche albino l’ho scoperto solo tre anni fa, dopo aver letto un articolo sul giornale locale “la Rucola”, dell’aprile 2012. Incuriosito, ho cercato in rete notizie su questa immagine: un elefante bianco, con piccole orecchie e privo di zanne, che sul groppone porta una specie di castello. Non è difficile, io credo, individuare in questo castello la fisionomia della chiesa di san Claudio al Chienti, come doveva essere quando, oltre alle due torri cilindriche, possedeva ancora la cupola centrale. Non è difficile soprattutto per chi nei paraggi di san Claudio ci è vissuto parecchi anni: altri possono avere opinioni diverse.
Questa immagine è di un affresco che ora è conservato al museo del Prado di Madrid, ma che ha una lunga storia. Proviene dall’eremo mozarabico di san Baudelio de Berlanga, nella provincia di Soria. L’edificio si trova in una zona desertica dell’alta valle del Duero. Fu riscoperto nel 1917, un po’ come san Claudio, ed oggi, dopo essere stato per anni adibito a stalla per le pecore, è diventato monumento nazionale per gli Spagnoli. Essendo di proprietà privata molti degli affreschi furono venduti, fra cui quello che ci interessa, sparpagliandosi per vari musei degli Stati Uniti. Nel 1957 la Spagna ne tornò in possesso, ma non li rimise in loco, ma nella capitale. E che l’elefante albino raffiguri Abul Abbas, donato a Carlo Magno dal califfo di Bagdad, lo hanno detto gli Spagnoli, e non ci sono ragioni per dubitarne. La presenza dell’affresco nella “Iglesia de san Baudelio”, definita anche come “ cappella Sistina dell’arte mozarabica”, sarebbe dovuta al fatto che nel medioevo l’elefante albino sarebbe assurto a simbolo mitico dell’ideale di purezza e castità.
Noi aggiungiamo che, se l’elefante è Abul Abbas, quello sul groppone non è un castello, ma l’Aula Aquensis, la cappella Palatina di Aquisgrana, cioè l’abbazia di san Claudio al Chienti.
Una riflessione sul viaggio marittimo di Abul Abbas. I messaggeri che  Carlo Magno inviava in Grecia e in Asia minore viaggiavano in Adriatico: “ille gurgitulus” lo definiva l’imperatore.
Perché Isacco doveva andare sul Tirreno? Che poi era area sotto controllo omayade, in quel periodo in contrasto con gli Abassidi di Bagdad. L’avvento degli Abassidi aveva portato anche ad un periodo di pace fra Bagdad e Costantinopoli. Perché Isacco, uomo giudizioso, doveva andare a percorrere un’area sotto influenza nemica e infestata dai pirati saraceni nordafricani? Ma soprattutto, se Isacco aveva accompagnato altre ambascerie carolingie dirette in Grecia e in Asia minore, perché per trasportare un carico prezioso e pesante doveva scegliere una strada più lunga e più insicura?
Altra riflessione: ai tempi dell’impero Romano il porto di Cupra Marittima era importante. Il tempio della dea Cupra era stato restaurato dall’imperatore Adriano. Importante lo doveva essere anche nell’VIII secolo. E Cupra per i Romani era la dea Bona, Afrodite Cipria, Venere per i Latini. Vuoi vedere che Isacco scaricò l’elefante a Cupra Marittima e che Abul Abbas ha attraversato al massimo il Reno che scorre in Romagna? L’ipotesi può sembrare frutto di troppo fervida fantasia?
Ma che ne direste se all’ombra delle torri cilindriche di san Claudio si trovasse lo scheletro di un elefante asiatico con le zanne poco sviluppate? 
Io nutro buone speranze in proposito.









venerdì 4 dicembre 2015

Abul Abbas è il nome dell'elefante che Harun al Rashid il Califfo di Bagdad inviò in dono a Carlo Magno.

Abul Abbas è il nome dell'elefante che Harun al Rashid il Califfo di Bagdad inviò in dono a Carlo Magno.
E' significativa la stilizzazione dell'edificio trasportato dal pachiderma, poichè è impressionante la somiglianza con la silhouette di San Claudio. Saranno ancora più interessanti le informazioni che vi daremo circa i presunti resti di questo elefante. (Immagine  del XI secolo, di un elefante bianco, conservata al Museo del Prado, a Madrid. Abul-Abbas ...)