Fra Pacifico
(Alias Guglielmo Divini, alias re dei versi, alias padre di
Federico II, alias co-autore del Cantico delle creature):
Nell’articolo precedente, in cui parlavo della nascita della
lingua italiana e della questione francescana, mi è scappata una piccola gaffe,
o grande, se preferite, riguardo a Fra Pacifico, scrivendo che era di San
Severino.
Non posso non tornare su questo personaggio, che ha un ruolo
chiave sia per la nascita della lingua
italiana sia per la questione francescana.
Guglielmo Divini è
nato a Lisciano, sotto colle san Marco e sopra Ascoli Piceno, sembra nel 1158.
Non è stato fatto santo, resta Beato Pacifico da Lisciano.
Il san Pacifico di san Severino è posteriore, vissuto dal
1653 al 1721, anche lui frate minore, anche lui, curiosamente, di cognome
Divini.
Ma a noi interesse il Beato Pacifico, quello che a San Severino nel 1212, (o 1213), si convertì
a
san Francesco,
letteralmente da un giorno all’altro, come riporta Tommaso da Celano ( Vita
seconda, cap. LXXII ) .
Quando aveva 29 anni Guglielmo recitò un carme encomiastico
di sua composizione di fronte a Enrico VI , in visita ad Ascoli, fresco sposo
di Costanza d’Altavilla. Il poeta impressionò tanto bene la coppia regale che
se lo portarono in Sicilia, dove soggiornò fino al 1211. Ma, da cavalier
servente, seguiva la regina. La Gran
Costanza , erede del regno di Sicilia, il 26 dicembre del
1194, nella piazza di Jesi, dette alla luce
Federico II.
Ma ascoltate che gossip: osserva Benedetto Leopardi di Monte
San Pietrangeli, quasi un secolo fa, che nove mesi prima Enrico VI non era con
la moglie, più vecchia di lui di 11 anni, ma in Germania. Costanza stava a
Spoleto, con le sue dame e il suo cavalier servente, Guglielmo Divini.
L’ipotesi dell’amor galeotto è clamorosa, ma non inverosimile.
Il matrimonio era stato combinato, capolavoro politico ma non affettivo. Questo
imperatore era un uomo crudele: costrinse Costanza ad assistere alla esecuzione
con tortura di Guglielmo Monaco, signore di Castro Giovanni (Enna), a cui fece
inchiodare sul capo una corona di ferro rovente. Enrico VI morì poi in
circostanze misteriose, nel 1197,
a soli 32 anni, secondo malelingue avvelenato dalla
moglie, ma forse dicevano la verità.
Anche lei morì di lì a poco, il 27 novembre 1198, lasciando
il piccolo Federico sotto la tutela del papa Innocenzo III.
Nel 1208, quando Guglielmo Divini aveva 50 anni, Federico II adolescente lo incorona “re
dei versi”, ignaro certamente ( o no, chi può saperlo?) che fosse suo padre.
Alla corte di Federico II nacque poi la scuola poetica che
Dante chiamò “siciliana”.
Ma questi siciliani da chi impararono l’arte se non dal
nostro Guglielmo Divini?
Che poi diventò fra Pacifico in fretta e furia, a 54 anni:
certamente si sarà convertito, ma quanto sarebbe valsa la sua pelle se gli
fosse sfuggito il suo grande segreto?
Quindi fra Pacifico seguì san Francesco, era presente quando
al santo fu donato il monte della Verna, soprattutto era con lui dal 1223 al
1226.
Il che giustifica l’ipotesi che il “ Cantico di frate Sole”
sia stato composto a quattro mani. Il “Poverello” era cieco, malato, ignaro di
metrica. Nel Cantico lui ci mise l’ispirazione, fra Pacifico ci mise le parole
giuste, in volgare italiano.
E’ curioso che Francesco Salvatore Attal, autore di una
biografia del santo di Assisi fra le più dettagliate, scriva: “Una vecchia leggenda … vuole che san
Francesco abbia fatto venire fra Pacifico, l’antico re dei versi, per dar forma
perfetta alla metrica del canto, arricchendolo di cadenze musicali. E’ una
leggenda assurda. Fra Pacifico morì nel 1220, mentre si recava in Francia”.
Ma assurdo è quello che scrive Attal, perché fra Pacifico
morì nel 1234, all’età di 76 anni!
Ma non me la voglio prendere troppo con Attal, che scrive
con il dente avvelenato contro Paul Sabatier, il principale responsabile della
nascita della questione francescana.
Perché anche Attal, circa novanta anni fa, era convinto che
l’Italiano come lingua nasce dai frati minori di san Francesco.
Riporto testualmente quello che leggo nella sua biografia di
san Francesco d’Assisi, edita dal Messaggero di S. Antonio, Padova:
“…Ma quando i
fraticelli allargarono la loro cerchia, spingendosi ovunque in Italia, si
impose la necessità di fissare epoche determinate in cui tutti i compagni
potessero ritrovarsi insieme…Così nacquero quelle riunioni periodiche che, con
espressione tolta al linguaggio cavalleresco, furono dette “Capitoli”… Per la Pentecoste (maggio)… e
per san Michele (29 settembre)…
…L’Italia del 1200
aveva una sua civiltà originale, fastosa, brillante. Le corti degli imperatori,
dei re di Sicilia, dei marchesi d’Este e di Monferrato, le città lombarde, le
grandi repubbliche marinare, Firenze, Roma, celebravano le loro solennità con
feste, giostre, tornei di poesia, da cui uscì quel linguaggio che Dante
chiamerà” illustre, aulico e curiale”( De Vulg. Eloq. I, XVII,1) e che sarà il
linguaggio della Divina Commedia.
A partire dal 1216 si
vide ogni anno nel piano di Assisi un’altra solennità caratteristica, una corte
plenaria come non se ne erano mai vedute, differente da tutte le giostre di
amore celebrate fin allora e superiore ad esse di tutta la distanza che corre
fra l’amore umano e il divino”.
Dal momento che ho citato questo autore, mi si permetta di
citare anche un altro passo significativo di questo libro:
“Nel capitolo del 1217
dice san Francesco ( Speculum Perfectionis LXV ):
“Fratelli miei
carissimi, a me si conviene essere modello ed esempio di tutti i frati…Adunque…
io eleggo la provincia di Francia ove ha cattolica gente, in specie perché meglio
degli altri cattolici fa grande riverenza al corpo di Cristo, il che mi è cosa
graditissima…”
Come poteva il Santo parlare della Provenza, dove era in
corso la crociata contro gli Albigesi, i Catari che non erano proprio
cattolici, ma dichiaratamente contrari all’Eucaristia?
Parlava della Francia del Piceno, parlava di noi.
Mancini Enzo
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