Queste brevi note hanno lo scopo di far riflettere (togliendo molto ed aggiungendo un po’) sul perché Giovanni di Pietro Bernardone nato ad Assisi nel 1182 e meglio noto come San Francesco, fu sempre chiamato con quest’ultimo nome.
Iniziamo con ordine, facendo rilevare che “Francesco” (che nella lingua medioevale del luogo significava “Francese”) è un soprannome poiché, il nome con cui fu battezzato il figlio di Pietro di Bernardone e di sua moglie Pica, era appunto Giovanni. La storia è piena di personaggi famosi che si chiamano Francesco (o Francois, Francisco, ecc…) ma sono tutti nati dopo il 1200: non c’è nessun personaggio storico col nome Francesco nato prima del Santo. Ciò non esclude che qualche genitore possa aver chiamato Francesco, un proprio figlio già prima, ma ciò rappresenterebbe un’eccezione visto che, statisticamente, tale nome è fra i più frequenti dopo il 13° secolo mentre è sconosciuto prima. In realtà, c’era una zona geografica dove esso era relativamente diffuso già da prima, ma di questo parleremo più avanti; per ora ci basta far notare che, quasi sicuramente, il suo uso era limitato a quell’area ristretta, altrimenti si sarebbero sicuramente conosciuti personaggi storici con tale nome.
Sul perché Giovanni sia poi stato da tutti chiamato Francesco, l’ipotesi che va per la maggiore è la seguente:
- Il padre commerciava con la Francia (intendiamo l’attuale Francia che a quel tempo nei documenti ufficiali si chiamava ancora Gallia, oppure la si indicava col nome delle varie regioni: Provenza, Aquitania, …) e Provenzale era la moglie che discendeva dalla nobile famiglia dei Bourlemont, quindi in onore della moglie (secondo alcuni) o di quel paese che l’aveva fatto arricchire (secondo altri) il padre volle chiamarlo Francese, ovvero Francesco.
Iniziamo subito col dimostrare che l’origine francese (inteso nel senso sopra indicato) della signora Pica non ha alcun fondamento.
In via preliminare facciamo notare che il cognome Bourlemont fa riferimento ad una nobile famiglia che aveva i suoi possedimenti nella Francia nord-orientale (il bosco di Bourlemont era quello in cui Giovanna D’arco, circa due secoli dopo la nascita di San Francesco, sentiva “le voci”) quindi, era alquanto improbabile che Pietro l’avesse potuta conoscere in Provenza (che si trova a sud). Inoltre, i primi scritti a noi pervenuti sulla vita di San Francesco non dicono che la madre era francese; il primo ad asserire tale origine è P.Claude Frassen, francescano, che lo afferma nel suo libro”La règle du tiers-ordre de la Pènitence” scritto nel 1680. Questo sostiene di aver visto, tra i documenti antichi della famiglia Bourlemont, un atto di matrimonio tra Pietro e Pica, ma non ha mai prodotto tale documento quindi, come fa notare anche l’abbé Omer Englebert a pagina 36 del suo libro”La vie de Saint Francois d’Assise” edizioni Albin Michel S.A. –Paris 1947, l’asserzione è completamente fantasiosa. Qui di seguito riportiamo il passo citato in cui, con riferimento al Frassen, egli scrive: <
Sul perché P.Claude Frassen abbia voluto scrivere (ma possiamo anche dire “inventare”, visto che non mostra le prove di ciò che afferma) forse ci può essere d’aiuto il fatto che, nel 1680, in Provenza, vescovo della diocesi di Fréjus-Toulon era Luis D’Anglure de Bourlémont, membro appunto di tale potente famiglia, al quale avrebbe fatto sicuramente piacere scoprire che fra i suoi avi c’era anche la madre di San Francesco.
Pica, quindi, non era provenzale e ancor meno poteva essere (come una minoranza afferma) originaria della Picardia poiché questa regione si trova al nord della Francia, quasi ai confini con l’attuale Belgio.
Come sopra accennato, inoltre, non si deve dimenticare che a quel tempo il territorio dell’attuale Francia era chiamato Gallia e, il primo documento ufficiale in cui viene denominata Francia risale al 1190, quando San Francesco aveva già otto anni. Oltre a ciò, è difficile ipotizzare che da quel momento in poi tutti improvvisamente abbiano iniziato a chiamarla Francia, basti pensare che nel greco moderno viene ancora chiamata Gallia. E’ pertanto improbabile che si usi un soprannome facendo riferimento ad un nome geografico ancora poco in uso.
Escluso quindi che la madre provenisse dall’attuale Francia, prendiamo in esame gli altri aspetti dell’ipotesi sopra esposta.
Il padre, si afferma, nel suo lavoro di mercante di stoffe si spingeva fino in Provenza, ma tale affermazione è tutta da provare poiché non c’è nessun elemento che lo dimostri e, in mancanza di prove, è più probabile desumere che i viaggi all’estero fossero tipici dei mercanti della costa (Pisa, Genova, Venezia, Amalfi, …) mentre quelli dell’interno commerciassero, tutt’al più, tra il Tirreno e l’Adriatico, oltre ad effettuare lavorazioni sui prodotti (in questo caso tessuti) e quindi essere non soltanto puri mercanti.
Non si riesce inoltre a comprendere come mai, se Pietro faceva tutti questi viaggi oltralpe, abbia smesso improvvisamente di farli quando il figlio era cresciuto e lo aiutava nel suo lavoro, visto che nessuna fonte riporta di simili viaggi fatti da Francesco insieme al padre o da solo (si parla soltanto di viaggi in Italia).
Possiamo quindi affermare, con ragionevole certezza, che rapporti diretti tra il padre di San Francesco e la Gallia, ovvero l’attuale Francia, erano estremamente poco probabili.
Un’altra cosa che il buonsenso fa giudicare poco probabile è il fatto che un genitore dia al figlio un soprannome che faccia riferimento ad una località geografica che gli ha fatto fare buoni affari: chi chiamerebbe oggi il proprio figlio Americano se fa buoni affari con l’America o Russo se li fa con la Russia? E’ invece più probabile che il soprannome venga dato per caratteristiche tipiche della persona: l’accento con cui parla o il modo di comportarsi o, ancor più probabilmente, per un altro motivo di cui dirò più avanti.
Dopo aver smontato l’ipotesi espressa all’inizio, resta però la domanda: perché, se il suo nome di battesimo era Giovanni, tutti lo chiamavano Francesco?
L’enigma appare a questo punto irrisolvibile, ma lo è soltanto se non si mette in discussione la premessa secondo cui, quando si parla di Francia, si intende sempre e soltanto quella che attualmente viene così chiamata. In realtà, le aree geografiche prendono spesso il nome di chi le abita, ad esempio: la Normandia deriva dai Normanni che vi si erano stabiliti, l’Inghilterra dagli Angli che l’avevano occupata, la Scozia dagli Scoti che la abitavano, … .
Una prima domanda che ci possiamo porre è quindi: c’era nel medio evo un’area geografica in Italia che era abitata in maniera consistente dai franchi?
La storia ci dice che l’area dell’attuale Piceno marchigiano era caratterizzata da una forte presenza franca. Ne resta una traccia addirittura nel nome stesso della regione che da “Regio Picena”, con il franco Mark che significa Marca (il Markgraf in franco era il Margravio o Conte della Marca, intesa quest’ultima come terra di confine, in opposizione al Landgraf che era il Langravio o Conte territoriale, ovvero di un territorio non di confine) è divenuta (essendoci nel territorio più di una Marca) al plurale Marche.
La seconda domanda da porci è quindi: tale presenza era talmente importante da far chiamare quell’area Francia?
Per rispondere a questa domanda è utile analizzare alcuni scritti che, trattando di cose umbro-marchigiane, fanno riferimento alla Francia.
Uno di questi è il capitolo 13° dei “Fioretti di San Francesco” che parla del santo che, insieme ad un suo confratello, dalla valle di Spoleto andavano a piedi nella “provincia di Francia”, ad un certo punto del viaggio, decidono di cambiare itinerario e di recarsi a Roma che raggiungono in poco tempo, quindi far ritorno nel luogo da dove erano partiti. Dalla lettura di tale racconto, si evincono abbastanza chiaramente due cose:
1) che la “provincia di Francia” era un luogo non lontano dall’Umbria
2) che, essendo denominata “provincia” non si poteva certo riferire al territorio dell’attuale Francia, che anche a quel tempo era una delle nazioni più grandi d’Europa.
Un’altra testimonianza della Francia Picena è riportata nel sito web del Centro Studi Val di Chienti” in un articolo che analizza il passo del Telesforo Benigni che nella sua opera “SANGINESIO ILLUSTRATA” (che tratta di questioni alquanto locali, addirittura di una ristretta area del maceratese) riporta che il detto, riferito alla guerra tra San Ginesio e Ripe vinta dal primo: “costa più che le Ripe a San Ginesio” era notissimo anche in Francia.
Questi, però, sono solo indizi mentre la prova si può ritrovare negli studi fatti dal professor Febo Allevi (docente di Storia delle tradizioni popolari e di Storia della critica letteraria all’Università di Macerata dal 1971 al 1981) considerato uno dei massimi conoscitori della storia del territorio marchigiano.
Nel suo saggio “I Franchi e le tradizioni epico-cavalleresche nella Marca” contenuto in “Tra storia leggende e poesia” pubblicato postumo (nel 2005) il professore illustra, documentandola, la forte presenza franca nel territorio Piceno già dalla fine del VII secolo e l’utilizzo del nome “Francesco” quale nome proprio di persona. Oltre a questo, troviamo quello di “Via Francesca” con il quale venivano chiamate ben due strade, quello di “Val di Francia” (dalle parti di Cancelli nel Fabrianese) nonché quello dato ad un tipo di moneta: “Solidos Franciscos” che si ritrova in diversi documenti dell’alto medioevo e potremmo continuare ancora.
Tale forte presenza trae origine dall’Abbazia Benedettina di Farfa che si trovava nella Sabina, ma aveva grandi possedimenti nel Piceno dove, per diversi anni a partire dalla fine del IX secolo, i monaci addirittura trasferirono la loro sede (più esattamente a Santa Vittoria in Matenano).
In tale abbazia, come documenta l’Allevi, a partire dalla fine del VII secolo, i primi sei abati furono tutti di origine franca (soprattutto aquitani ed è proprio dall’Aquitania che si reputa giungessero molti profughi in fuga dai saraceni).
Nel territorio delle attuali Marche, non solo c’era una numerosa comunità franca, bensì era fortemente presente anche il loro re Pipino, sua moglie Berta e l’imperatore Carlo Magno, come si evince, sia dalla toponomastica del territorio che dai molteplici documenti dell’epoca.
A riprova del radicamento dei franchi in queste terre, inoltre, non si deve dimenticare del fatto che dal 891 al 898 presero il titolo di imperatore: prima Guido (della famiglia dei Guidoni, collaterali dei Carolingi) duca di Spoleto e marchese di Camerino, poi suo figlio Lamberto.
L’argomento è interessante e, in questa sede, per i nostri fini è già stato trattato abbastanza, chi volesse fare ulteriori approfondimenti può consultare dell’opera sopra citata.
Oltre al professor Febo Allevi, ed in maniera ancor più specifica, ha trattato l’argomento della Francia Picena il Prof. Giovanni Carnevale nei suoi ormai numerosi libri. Tali scritti non sono sintetizzabili in poche righe, quindi invitiamo a leggerli anche perché spiegano come mai ci sia stata una vera e propria “damnatio memoriae” per quanto riguarda la presenza franca nelle Marche.
Con la Francia situata nel Piceno marchigiano, molte tessere del mosaico trovano la loro collocazione:
1) La signora Pica poteva a questo punto essere anche francese (nel senso di Francia Picena) ed il suo nome, in verità alquanto strano, ha una radice picena che più di così non si può ed inoltre, anche nell’attuale dialetto maceratese, con “pica” si intende la “ghiandaia” un uccello tipico di questa terra che quando canta fa un rumore pazzesco simile quasi ad un branco di oche.
2) Il padre di San Francesco commerciava sicuramente con la Francia Picena e qui avrebbe potuto conoscere sua moglie.
3) Si potrebbe ipotizzare che Giovanni potrebbe, fin da piccolo, aver preso dalla mamma l’accento “francese”, usare espressioni verbali tipiche di tale idioma ed avere comportamenti che, ad Assisi, venivano associati ad una provenienza dalla Francia Picena, ma a mio avviso è un’altra l’ipotesi più probabile, quella che vado ad illustrare nel punto successivo
4) Capita ancor oggi che si voglia dare al proprio figlio il nome di un suo avo scomparso e capita altresì che, se l’avo (o più in generale una persona cara) viene a mancare poco dopo che il bimbo è stato battezzato, in famiglia si inizia a chiamarlo col nome della persona defunta. Ora, se la signora Pica veniva dalla Francia Picena, poteva avere un padre o un familiare (o una persona cara a lei o a suo marito) di nome Francesco che è venuto a mancare poco dopo il battesimo di Giovanni ed a questo, da quel momento, hanno iniziato a chiamarlo Francesco.
Ritengo quest’ultima spiegazione la più plausibile perché, se si fosse trattato di un soprannome legato al comportamento o all’accento, questo sarebbe stato dato in età almeno preadolescenziale e non sarebbe riuscito a cancellare completamente il nome di battesimo. Ancor oggi, invece, notiamo che persone a cui vengono dati dopo il battesimo nomi diversi di congiunti defunti, tali nomi oscurano quello originale.
Riepilogando, quindi, è stata ampiamente smentita la tesi maggiormente accreditata e riportata all’inizio del presente articolo, ma il vuoto così creato necessita di essere ricolmato perché resta il fatto che il piccolo Giovanni fu poi chiamato Francesco.
Nella seconda parte dell’articolo si dà una probabile ipotesi di come colmare questo vuoto, ipotesi che si basa sulle prove dell’esistenza di una Francia Picena, quasi sicuramente l’unico territorio (o uno dei pochissimi) in cui si usava il nome Francesco.
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