Dal libro del Prof.
G I O V A
N N I CARNEVALE
La scoperta di
AQUISGRANA
in VAL DI
CHIENTI
POST SCRIPTUM
Quando questo mio lavoro era già pronto
per la stampa è pervenuto in Macerata il
volume di Hildegard Sahler “San
Claudio al Chienti”, Ed. Rhema, Münster 1998.
Il volume, di notevole impegno
editoriale, con ricco e adeguato repertorio di
profili grafici e documentazione
fotografica, è redatto in lingua tedesca ma presenta
in chiusura un breve sommario in lingua
italiana.
Lo studio della Sahler non tiene conto
della mia tesi su San Claudio, ma fa il
punto in modo accurato ed esauriente in
merito agli studi a tutt’oggi effettuati
sulla cosiddetta Abbazia di San Claudio
al Chienti e sugli altri similari edifici,
prima cioè che in tale ambito
irrompesse, sconvolgente, la mia teoria sull’origine
carolingia degli edifici.
Mi permetto solo qualche rilievo su come
la Sahler delinea le origini di San
Claudio.
A pag. 54 del testo tedesco si afferma
che la chiesa di San Claudio è documentata
solo a partire dal 1092, e poiché per
ragioni stilistiche la chiesa è anteriore a
tale data, per collocarla correttamente
nel tempo occorre valutare attentamente le
circostanze in cui San Claudio e gli
altri edifici similari furono costruiti. Al che
non posso non dare il mio totale
assenso.
A pag. 45 l’autrice si esprime in questi
termini: “Nei pressi di Pausulae, antica
città e già sede
episcopale, il vescovo di Fermo fondò con molta probabilità la
Pieve di San Claudio,
come decisa affermazione dei suoi diritti sulla diocesi”
(paleocristiana scomparsa, n.d.a.). Il
“con molta probabilità” dà alla affermazione
della Sahler il valore non di un
effettivo dato di fatto, ma di un suo personale
orientamento storiografico, che io
rispetto e potrei anche condividere purché all’espressione
“fondò la Pieve di San Claudio” non si
dia il senso di “costruì la Pieve
di San Claudio”. Negli anni
immediatamente posteriori al 1000, cioè dopo la
morte di Ottone III, resse le sorti
dell’Impero Enrico II, di cui è nota la politica
ecclesiastica volta a potenziare il
potere delle diocesi sul territorio dell’Impero. È
una tesi perfettamente sostenibile che
con lui la Cappella palatina di Aquisgrana
sia divenuta Pieve e quindi parte
integrante del Patrimonio di S. Claudio, cioè
della Chiesa di Fermo. Basti pensare che
in quegli anni - lo si è spesso richiamato
- anche gli antichi “Ministeria” carolingi
della Val di Chienti divennero
“Privilegia” dipendenti dalla
Chiesa Fermana.
A pag. 243 del Sommario l’autrice
afferma però: “Il vescovo Uberto di Fermo
si fece costruire in
un posto strategicamente importante, verso il 1030, la chiesa a
due piani di San
Claudio al Chienti come chiesa privata rappresentativa insieme
alla sua residenza,
riservandosi personalmente la chiesa superiore, mentre quella
inferiore continuava
nella sua funzione la tradizione della pieve paleocristiana”.
Ammesso
e non concesso che la funzione di San Claudio dopo il 1000 fosse quel
la adombrata dalla Sahler, è comunque
inaccettabile il perentorio “si fece costruire”.
Qui non si può più parlare di
particolare orientamento storiografico perché si
afferma, senza mezzi termini, che San
Claudio fu costruita verso il 1030 dal
vescovo Uberto; l’autrice non adduce
prove documentarie né potrebbe addurle
perché già a pag. 54 aveva affermato che
le prime notizie di un “Ministerium” di
San Claudio datano dal 1089 e quelle di
una chiesa di San Claudio dal 1092.
Nella redazione italiana del Sommario la
Sahler insomma calca la mano e induce
l’incauto lettore italiano a credere che
sia la data, sia il vescovo costruttore siano
dati di fatto e non sue illazioni o
congetture.
Il lettore che vorrà farsi un’idea
approfondita delle origini di San Claudio non
ha che da confrontare tali congetture
con la corposa ricostruzione storico-archeologica
da me fornita sull’ascendenza carolingia
del discusso edificio.
Comunque, poiché le mie ricerche si
fermano pressappoco all’anno 1000 e
quelle della Sahler partono da tale
data, le nostre due pubblicazioni si presentano,
per profilo cronologico, complementari.
Peccato che della mia produzione la studiosa
tedesca non sembra conoscere le
pubblicazioni del 1994 e 1996, ma solo
quella del 1993, come risulta dalla nota
14 di pag. 21, in verità troppo sbrigativa.
L’autore
Nessun commento:
Posta un commento