mercoledì 14 giugno 2023

Con un "Post scriptum" il Prof. Giovanni Carnevale già nel 1999 ha evidenziato le "sviste", forse volutamente depistanti, delle Prof.ssa Hildegard Sahler .

 

Dal libro del Prof.

G I O V A N N I  CARNEVALE

La scoperta di

AQUISGRANA

in VAL DI CHIENTI

 

POST SCRIPTUM

Quando questo mio lavoro era già pronto per la stampa è pervenuto in Macerata il

volume di Hildegard Sahler “San Claudio al Chienti”, Ed. Rhema, Münster 1998.

Il volume, di notevole impegno editoriale, con ricco e adeguato repertorio di

profili grafici e documentazione fotografica, è redatto in lingua tedesca ma presenta

in chiusura un breve sommario in lingua italiana.

Lo studio della Sahler non tiene conto della mia tesi su San Claudio, ma fa il

punto in modo accurato ed esauriente in merito agli studi a tutt’oggi effettuati

sulla cosiddetta Abbazia di San Claudio al Chienti e sugli altri similari edifici,

prima cioè che in tale ambito irrompesse, sconvolgente, la mia teoria sull’origine

carolingia degli edifici.

Mi permetto solo qualche rilievo su come la Sahler delinea le origini di San

Claudio.

A pag. 54 del testo tedesco si afferma che la chiesa di San Claudio è documentata

solo a partire dal 1092, e poiché per ragioni stilistiche la chiesa è anteriore a

tale data, per collocarla correttamente nel tempo occorre valutare attentamente le

circostanze in cui San Claudio e gli altri edifici similari furono costruiti. Al che

non posso non dare il mio totale assenso.

A pag. 45 l’autrice si esprime in questi termini: “Nei pressi di Pausulae, antica

città e già sede episcopale, il vescovo di Fermo fondò con molta probabilità la

Pieve di San Claudio, come decisa affermazione dei suoi diritti sulla diocesi”

(paleocristiana scomparsa, n.d.a.). Il “con molta probabilità” dà alla affermazione

della Sahler il valore non di un effettivo dato di fatto, ma di un suo personale

orientamento storiografico, che io rispetto e potrei anche condividere purché all’espressione

“fondò la Pieve di San Claudio” non si dia il senso di “costruì la Pieve

di San Claudio”. Negli anni immediatamente posteriori al 1000, cioè dopo la

morte di Ottone III, resse le sorti dell’Impero Enrico II, di cui è nota la politica

ecclesiastica volta a potenziare il potere delle diocesi sul territorio dell’Impero. È

una tesi perfettamente sostenibile che con lui la Cappella palatina di Aquisgrana

sia divenuta Pieve e quindi parte integrante del Patrimonio di S. Claudio, cioè

della Chiesa di Fermo. Basti pensare che in quegli anni - lo si è spesso richiamato

- anche gli antichi “Ministeria” carolingi della Val di Chienti divennero

“Privilegia” dipendenti dalla Chiesa Fermana.

A pag. 243 del Sommario l’autrice afferma però: “Il vescovo Uberto di Fermo

si fece costruire in un posto strategicamente importante, verso il 1030, la chiesa a

due piani di San Claudio al Chienti come chiesa privata rappresentativa insieme

alla sua residenza, riservandosi personalmente la chiesa superiore, mentre quella

inferiore continuava nella sua funzione la tradizione della pieve paleocristiana”.

Ammesso e non concesso che la funzione di San Claudio dopo il 1000 fosse quel

la adombrata dalla Sahler, è comunque inaccettabile il perentorio “si fece costruire”.

Qui non si può più parlare di particolare orientamento storiografico perché si

afferma, senza mezzi termini, che San Claudio fu costruita verso il 1030 dal

vescovo Uberto; l’autrice non adduce prove documentarie né potrebbe addurle

perché già a pag. 54 aveva affermato che le prime notizie di un “Ministerium” di

San Claudio datano dal 1089 e quelle di una chiesa di San Claudio dal 1092.

Nella redazione italiana del Sommario la Sahler insomma calca la mano e induce

l’incauto lettore italiano a credere che sia la data, sia il vescovo costruttore siano

dati di fatto e non sue illazioni o congetture.

Il lettore che vorrà farsi un’idea approfondita delle origini di San Claudio non

ha che da confrontare tali congetture con la corposa ricostruzione storico-archeologica

da me fornita sull’ascendenza carolingia del discusso edificio.

Comunque, poiché le mie ricerche si fermano pressappoco all’anno 1000 e

quelle della Sahler partono da tale data, le nostre due pubblicazioni si presentano,

per profilo cronologico, complementari. Peccato che della mia produzione la studiosa

tedesca non sembra conoscere le pubblicazioni del 1994 e 1996, ma solo

quella del 1993, come risulta dalla nota 14 di pag. 21, in verità troppo sbrigativa.

L’autore

                                                                                                                                   


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