martedì 12 giugno 2018

IL DITTICO DI RAMBONA



IL DITTICO DI RAMBONA



Il Dittico è l'unico oggetto, rimasto fino a noi, dello scomparso antico tesoro rambonense. Il primo a farne un particolareggiato studio è stato il Senatore Filippo Buonarruoti. Il prezioso oggetto, consta di due piccole tavole d'avorio unite con cerniera in modo da potersi chiudere, nella misura di ciascuna cm. 31 1/2 x cm. 14. Nella tavola a sinistra, la scena è illustrata da iscrizioni dichiarative. Tra l'immagine del Redentore sostenuta da due Angeli e il Crocifisso si legge EGOSVM IHS NAZARENVS. Nel vertice della Croce è la continuazione logica del titolo REX IVDEORVM secondo il testo dell'Evangelista S. Marco, mentre l'Evangelista S. Giovanni riferisce IESUS NAZARENUS REX JUDEORUM. L'artista ha voluto riunire insieme le due rappresentazioni di nostro Signore: in alto la figura trionfante di Cristo benedicente nella gloria degli Angeli, sotto, Cristo Crocefisso, ma nell'una e nell'altra rappresentazione è sempre il medesimo Cristo che proclama la Sua regalità. Sopra alle due estremità del braccio orizzontale della Croce, sono due figurette con una mano appoggiata al viso e con l'altra sorreggente lo strumento di flagello. Quella a sinistra porta scritto sopra il capo SOL quella a destra LUNA. Rappresentazione unica degli astri sotto figura umana, invece di due dischi che ordinariamente accompagnano la scena della Crocifissione, le due figure umane sono nello stato di dolore per esprimere l'oscurazione degli astri nella passione di Gesù. Nello stesso braccio orizzontale, immediatamente sotto le braccia di Cristo, a sinistra, in corrispondenza della figura della Vergine, è scritto MULIER EN sottinteso Filius tuus; a destra, in corrispondenza di S. Giovanni è scritto DISSIPULE ECCE sottinteso Mater tua. La Croce è piantata sopra un monte fiorito, nella ingenua rappresentazione stilizzata che si riscontra nei motivi araldici: è ben visibile il taglio di esso per conficcarvi la Croce. Su questa domina regalmente l'immagine di Cristo ancora vivente, non ancora colpito dalla lancia, con il capo circondato dal nimbo crucigero: più che d'aspetto di sofferente, Cristo, apre le braccia misericordiose per accogliere l'Umanità. È confitto con quattro chiodi secondo l'uso confermato dalle antichissime pitture, i piedi per maggior tormento non posano sopra un pezzo di legno triangolare. La figura della Vergine, con l'abito caratteristico delle imperatrici bizantine, con il capo circondato dal nimbo è nell'atteggiamento che gli artisti dei primi secoli hanno dato alla Vergine, con una mano appoggiata alla guancia e con l'altra alzata in atto impetratorio. Nell'altro lato, fa riscontro la figura di S. Giovanni Apostolo ed Evangelista, anch'esso nimbato, in proporzione leggermente minore di quella della Vergine, che, a sua volta, è minore rispetto a quella di Cristo, secondo l'uso degli artisti primitivi che raffiguravano in proporzioni più o meno grandi le immagini sacre secondo l'ordine gerarchico. Il Discepolo prediletto è in atteggiamento di vivo dolore: poiché la mano destra è sollevata e appoggiata al viso, come quella di chi sente nell'animo un grande strazio. L'Apostolo, con la sinistra, sorregge il libro del Vangelo: raffigurazione anche questa molto istruttiva e nuova nella iconografia di S. Giovanni sotto la Croce; l'artista ha voluto evidentemente far risaltare la doppia qualità di Apostolo ed Evangelista. Sotto il Monte del Calvario è rappresentata, in grandi proporzioni, la nutrita Lupa Romana, di aspetto feroce, per difendere i due gemelli attaccati alle sue poppe: richiama l'idea della lupa Capitolina, che. si mostra feroce allo spettatore. Sotto è scritto ROMULUS ET REMULUS A LUPA NUTRITI. Caratterista è l'onomastica del nome di Remo trasformato in Remolo ; cosa che dimostra come nel linguaggio del tempo così fosse chiamato il fratello di Romolo, per analogia del suo nome. La tavola destra è divisa in tre parti di diversa grandezza. In alto, in uno spazio quadrato, è raffigurata la Vergine in un ricco trono scolpito con il caratteristico cuscino. La Vergine sor regge, seduto nel suo grembo il divino Fanciullo che benedice. In quel tempo la figurazione della Vergine con il divin Figliolo era frequente per contrapporla a Nestorio siriaco che negava alla Vergine il titolo di Madre di Dio. Le due figure, trattate con maestosità di linea, s'impongono all'osservazione con una espressione di regalità della quale si riscontrano anche i piccoli accessori come il cuscino sotto i piedi della Vergine. Ai lati fanno corona due Cherubini in piedi avvolti da sei ali. Sotto di essi si trovano due motivi roteali simili a quelli che ricorrono nei plutei delle transenne marmoree delle Chiese dell'epoca e che l'arte bizantina poneva sotto i piedi dei Cherubini. Una iscrizione, su due righe, che continua sotto altre figure della scena centrale dice: CONFESSORIS DNI SCIS GREGORIVS SILVESTRO FLAVIANI CENOBIO RAMBONA AGELTRVDA CONSTRUXI. Nella parte centrale sono rappresentati i tre santi titolari della Badia, in abiti pontificali con sopra le spalle il pallio in mezzo a volute stilizzate di viti sulle quali si arrampica un lupetto. Da sinistra si seguono S. Silvestro, S. Flaviano e S. Gregorio Magno con le mani aperte sollevate all'altezza delle spalle nell'atteggiamento tipico delle oranti delle Catacombe. La figura centrale è indubbiamente quella di S. Flaviano a cui è dato il posto d'onore come primo Titolare della Badia. Il Santo è in atteggiamento di benedire secondo il rito orientale con la destra, mentre con la sinistra regge il messale; cosa che non lascia dubbi alla sua attribuzione essendo S. Flaviano Patriarca di Costantinopoli. L'ultima figura a destra è quella di S. Gregorio Magno ben determinabile dal volume degli scritti. La scritta sotto i piedi dei Santi dice: QUOD EGO ODELRIGUS INFIMUS DNI SERBUS ET ABBAS. Le parole continuano in una riga all'estremità della tavola, determinando l'ultimo scomparto minore degli altri, tutto occupato da una figura nella quale molti illustratori del Dittico hanno veduto la probabile rappresentazione dell'Angelo posto a guardia del paradiso terrestre. L'attribuzione non ci sembra esatta, perché l'Angelo guardiano non si può raffigurare in posizione orizzontale e senza ali. Tale atteggiamento, specialmente considerando che la figura nimbata ha, nella sinistra, la palma e, nella destra, una fiaccola, può facilmente riferirsi a un santo martire che abbia subìto il martirio del fuoco di cui la fiaccola è il simbolo sintetico. Sotto tale anonima figura si legge la continuazione e fine dell'iscrizione: SCULPIRE MINIBIT IN DOMINO AMEN. Le tavolette terminano con una orlatura a merli multipli e con una trina pendente che si ripete frequentemente nell'arte musulmana. La lupa, secondo il citato Hermanin, è la figura più interessante del nostro Dittico, ed è anzi quella che lo rende singolarmente importante. L'Autore dichiara che l'animale simbolico in tutti i monumenti medioevali e nei dittici classici c bizantini non apparisce che in due soli oggetti: nel Dittico di Rambona e in una cassetta d'osso nel Museo Britannico. È notevole poi che nei due oggetti monumentali, la lupa si trova associata con la Cristianità. Nel nostro Dittico serve ad indicare la Roma pagana vinta dalla Redenzione di Cristo. Il Dittico ha molti diretti rapporti coi caratteri dello stile scultoreo del tempio. Federico Hermanin, nel suo interessante studio scrive " L'esame stilistico delle sculture di questo Dittico non fa che confermare che esso sia contemporaneo di Ageltrude. Osservando i vari motivi ornamentali che decorano il nostro avorio, noi siamo subito tratti a riconoscervi la diretta derivazione dai dittici classici, e così pure il disegno delle figure, benché orribilmente scorretto, conserva ancora tutte le tracce " dell'arte bizantina, sicché si può dire che di barbarico non vi " sia che il segno materiale, mentre la composizione, il drappeggio " delle vesti, le mosse delle persone, sono di scuola bizantina, e " persino i poverissimi ornati appariscono come derivati dalle " ricche decorazioni floreali delle sculture dell'età d'oro di " quest'arte ". Il sullodato Autore accenna anche che gli ornamenti del Dittico sono uguali a quelli della copertina del sacramentario donato da Berengario I alla Cattedrale di Monza ed ancora conservato nel Tesoro di quella Chiesa. Tali ornamenti poi non sono comuni ad altri avori conosciuti. Secondo il pensiero dell' Hermanin il Dittico fu fatto eseguire dall'Abate Odelrigo per il Cenobio di Rambona a qualche artefice romano della fine dell'IX secolo, il quale aveva dinanzi agli occhi modelli bizantini. Questo Dittico, oltre l' Hermanin, ha interessato tutti i maggiori studiosi dell'arte medioevale, i quali però non sono tutti concordi nello stabilire l'epoca precisa. Alcuni lo datano alla fine del sec. X e con questa data è oggi indicato l'oggetto stesso, che è conservato nel Museo Sacro della Biblioteca Apostolica della Città del Vaticano in mezzo a tanti tesori, con tutta la nobile cura e disposizione tradizionale della S. Sede. Il prezioso cimelio si trova nel suddetto luogo alla visione e ammirazione pubblica del mondo, da quando si formò il primo gruppo di oggetti del Museo Cristiano, fondato nel 1755, da Benedetto XIV, il quale lo prelevò dalla raccolta dello stesso Buonarruoti in Firenze, dove si trovava da tempo imprecisato. Questo millenario oggetto all'importanza artistica unisce anche l'importanza liturgica. Nella liturgia che si praticava nelle Chiese in quel tempo e particolarmente in quelle Badiali, il Dittico veniva usato come reliquia più sacra. Infatti essendo diviso come è stato detto in due tavolette unite con cerniera in modo da potersi aprire e chiudere, doveva servire in tutte le sacre riunioni dei Monaci. Nelle Messe maggiori o solenni veniva preso dal Diacono il quale suggeriva al Sacerdote celebrante nel momento del Canone, i nomi dei Santi in esso scolpiti, il nome del Fondatore o benefattore e di altri. Era in quei tempi conservato quasi sempre, dopo le cerimonie nell'Altare principale della Chiesa Badiale. Del Dittico, recentemente, è stato fatto il calco che il regnante Pontefice Pio XI, con atto di vero mecenatismo, ha donato al nostro Comune e dall'Amministrazione Comunale destinato al Conservatorio di Memorie Patrie Pollentine.

tratto da "La Badia di Rambona in Pollenza nelle Marche" di Giuseppe Fammilume 1938

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