giovedì 28 giugno 2018

Come realmente Carlo Magno aggirò quelle che gli storici definiscono le "Chiuse di San Michele"

Papa Adriano nel 773 aveva richiesto con insistenza il soccorso di Carlo Magno contro i Longobardi, che avevano invaso alcune terre del Patrimonio di San Pietro,
 La storiografia ufficiale ci dice che il re dei Franchi scese con un esercito in Italia, senza però riuscire a sfondare la linea di fortificazioni erette dai Longobardi  in Val di Susa, dette Chiuse.
La leggenda, successivamente ripresa da Alessandro Manzoni nella tragedia Adelchi, narra che a guidare  Carlo Magno, sceso in Italia per portare aiuto al Papa e bloccato dall’esercito longobardo alle Chiuse di San Michele, fu il Diacono Martino, inviato da Leone , Arcivescovo di Ravenna.
Manzoni scrisse: “Carlo, disperando di superare le Chiuse, né sospettando che ci fosse altra strada  per isboccare in Italia, aveva già stabilito di ritornare, quando arrivò al campo de' Franchi un diacono chiamato Martino, spedito da Leone, arcivescovo di Ravenna; e insegnò a Carlo un passo per scendere in Italia”.
E’ significativo che a suggerire a Carlo un sentiero sconosciuto per baipassare le Chiuse di San Michele, in Val di Susa, sia stato un monaco di Ravenna e non un monaco dei vicini monasteri di Novalesa o San Bernardo. 
Sempre dalla storiografia “ortodossa” la successiva battaglia delle Chiuse Longobarde determinò la penetrazione dei Franchi in Piemonte e di lì a poco la fine del regno dei Longobardi nel nord Italia, dopo due secoli di dominio incontrastato.
La ubicazione della Prima Francia nel Piceno ci autorizza ad una più corretta lettura degli avvenimenti che hanno portato alla sconfitta di Desiderio ed alla conseguente caduta del regno longobardo.
Già nel dicembre del 768, alla morte di Carlomanno, i Franchi riconobbero Carlo e Ildegarda come unici sovrani, estromettendo i due figli del fratello defunto dal diritto ereditario che ripararono a Pavia con la loro madre Gerberga.
Nell’estate del 773, vi furono da parte di Carlo vari tentativi di risolvere diplomaticamente le tensioni create dai Longobardi nei confronti del papato. Carlo pose a Desiderio come condizione la consegna di Gerberga, vedova di suo fratello Carlomanno, e dei suoi figli  che a Pavia si erano posti  sotto la protezione di Desiderio ed inoltre la restituzione al Papa  dei territori della Pentapoli occupati dai Longobardi.
Porre sotto il suo controllo gli eredi di Carlomanno avrebbe evitato a Carlo problemi di successione o di spartizione del regno. Desiderio invece mirava alla rinuncia da parte di Carlo al sostegno della richiesta della restituzione dei territori avanzata dal Papa.  Tale rinuncia a sostenere le rivendicazioni della Chiesa di Roma avrebbe consentito ai Longobardi di fare di tutta la penisola un regno unitario. Questo obiettivo era talmente ambito da Desiderio da renderlo fermamente intenzionato a realizzare il suo progetto anche ricorrendo alla forza delle armi.
Già dal 772 era apparsa evidente la volontà di Desiderio di contrastare con la forza le aspettative del papato di ritornare in possesso  dell’esarcato. Il Re longobardo aveva bloccato il confine Nord della Francia Picena schierando l'esercito a presidio del “Fossatum Langobardorum”, l’odierno Fossato di Vico, che il Liber Pontificalis indica contiguo alle Clusae Francorum, oggi Cancelli nei pressi di Fabriano, confine della Francia Picena.
Come conseguenza di questa azione militare l'esercito Franco, per raggiungere Pavia, ed evitare lo sbarramento longobardo, avrebbe dovuto utilizzare la via a Sud della Francia Picena e così dalla via Salaria avviarsi verso Pavia. Quest’ultima soluzione avrebbe sguarnito il  confine nord, creando una situazione di estremo pericolo di invasione della Francia da parte dei Longobardi, accampati al Fossatum Langabardorum, ed esponendo a gravi rischi la popolazione franca e la stessa Francia Picena.
La incipiente situazione bellica spinse moltissimi abitanti dei territori di Rieti, del Ducato di Fermo, di recente staccato da quello di Spoleto, dei Ducati di Osimo e di Ancona, a fuggire e ripararsi a Roma.
Carlo stesso, in accordo col Papa Adriano, ordinò il trasferimento dell'intera popolazione Franca che percorrendo la via Salaria si rifugiò a Roma. Questo esodo è testimoniato dal Pontificale Romano all'anno 773 omnes habitatores ducatus Firmani Auximani, Anconetani dum a Clusis Langobardorum fuggente reversi sunt” si rifugiarono a Roma.
Roma tradizionale alleata dei Franchi li accolse ma Papa Adriano volle che gli giurassero fedeltà: iuramento, in fide ac servitio Beati Petri atque eius Vicarii fideliter permansuros, fu ordinato di compiere un atto di solenne di sottomissione, giurando fedeltà a San Pietro ed al Papa. Essi si romanizzarono anche nell’aspetto esteriore, facendosi tagliare le barbe e i capelli alla foggia romana more Romanorum tonsurati sunt.
Fu in questa drammatica situazione che il Diacono Martino, arrivato da Ravenna, indicò a Carlo Magno un sentiero sconosciuto ai Longobardi, che il monaco conosceva per averlo già percorso per raggiungere più rapidamente la Francia da Ravenna.




L’impervia gola del fiume Sentino














Il giallo indica la via vhe ha consentito ai Franchi di aggirare il blocco alle “Fossatum Langobardorum


Grazie a questa preziosa informazione a Carlo Magno fu possibile aggirare il blocco operato dall'esercito longobardo al Fossatum Langobardorum. Attraversa l’angusta gola del Sentino, Carlo si recò in Umbria e piombò alle spalle dell’esercito Longobardo che in parte fu decimato ed in parte si diede alla fuga. All’esercito Franco si aprì così la via per raggiungere ed assediare Pavia.
Nel 774, mentre il suo esercito assediava Pavia, il re Carlo decise di andare a Roma per trascorrere la Pasqua con i rifugiati Franchi  ospitati dal Papa.

Carlo voleva ringraziare Papa Adriano per l'ospitalità concessa ai Franchi e concordare con Lui l'aspetto da dare all'Italia dopo la resa ormai prossima di Desiderio.



Alberto Morresi

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