Unicam, primi
risultati dalle ricerche sul tardo antico e alto medioevo
Più discipline hanno
lavorato insieme in modo non invasivo con sorprendenti risultati
Il Rettore Claudio Pettinari
Ha introdotto i lavori il Rettore Claudio Pettinari, per il quale in questo
tempo in cui si parla continuamente di cittadinanza globale e di sostenibilità,
è necessario far comprendere a tutti che altrettanto importante, anzi
irrinunciabile, è la conservazione e la valorizzazione del proprio patrimonio culturale,
sull’esempio di Udine, ferita dal sisma del Friuli nel 1976, che ripartì dalla
cultura creando gruppi e centri di studio. Lo stesso si deve fare nella nostra
regione, che possiede una ricchezza unica di beni culturali e di bellezze
naturali.
Il responsabile del progetto Gilberto
Pambianchi
Gilberto Pambianchi è critico nei confronti dell’organizzazione classica
degli atenei in “compartimenti stagni”, cosa che non consente spesso una
visione completa della ricerca. Riportare l’Uomo al centro di tutto è
fondamentale e afferma che questo progetto è proprio fondato sulla
interdisciplinarietà allo scopo di restituire al nostro territorio la sua vera
identità. L’attenzione iniziale degli studi si è incentrata sulla vallata del
Chienti che conserva tracce d’insediamenti fin dal paleolitico, il che vuol
dire che è sempre stata abitata per essere da sempre fonte di risorse atte alla
vita. Qui ci sono testimonianze dall’età del ferro continuativamente fino al
tempo dei romani, per poi arrivare all’intervallo temporale oggetto degli
studi: dal tardo antico all’alto medioevo.
Marco Materazzi
Marco Materazzi ha mostrato i prospetti dell’evoluzione del paesaggio
nell’area del Chienti.
Dove non c’è protezione il paesaggio cambia continuamente, sia in area
montana che nelle valli dei fiumi, fatto che nella valle del Chienti non è
accaduto: ci sono aree come “congelate” quali la zona di San Claudio e quella
di Santa Maria a Piè di Chienti a Montecosaro. In questi luoghi l’area si è
conservata per duemila anni riportandoci intatta la sua storia, grazie al
lavoro dell’uomo che ha avuto cura del territorio. Per dinamiche naturali
certamente il corso del Chienti si è modificato ma ci sono tracce di reticoli
idrici creati dall’uomo per regimarlo, strutture a Sforzacosta come nell’Ete
Morto con palificazioni sia per difesa delle sponde che per ponteggi di
attracco per le imbarcazioni, essendo allora il fiume navigabile. Si è sempre
parlato di abbandono dopo la caduta dell’impero romano, ma nell’area del
Chienti questo non si riscontra: ci sono nel substrato canali e pozzi
individuati dai rilievi termometrici effettuati con l’uso di drone e di
georadar.
Giovanni Scoccianti
Il gruppo di lavoro messo in campo da Unicam ha il compito di raccogliere
dati e costruire la storia più plausibile, che malgrado sia ancora prematuro
definire, consente già qualche riflessione. L’interdisciplinarietà innovativa
va oltre le somme dei risultati dei vari gruppi di ricerca delle varie
discipline presi singolarmente. La interpretazione organica collega le
discipline e, non trascurando alcun singolo monumento o elemento, fa sì che la
ricostruzione storica diventi un vero e proprio racconto, affascinante e
comprensibile. Tra le varie analisi, quelle “proporzionali” sono determinanti
per capire la cultura del costruttore, il contesto politico, l’intento del
committente. Ogni particolare è determinante per la narrazione delle culture di
un territorio. Il Piceno, come luogo di incontro e comunicazione con il vicino
oriente e con il nord Europa, è tutto da indagare. Il lavoro mostrato
nell’odierno incontro è appena il 10% di quello eseguito, e solo l’1% di quello
ancora da fare.
Enzo Catani
L’area è un palinsesto, cioè una stratificazione pre-protostorica sino a
Roma, poi tardo antico e medioevo, per cui prima di andare a scavare, si
procede alle indagini con tutte le tecnologie non invasive a disposizione,
incluse fonti storiche/documentali, e questo spiega la necessità di operare in
multidisciplinarietà. Si è posta attenzione allo studio storico-archivistico su
Pausulae, e all’analisi climatologica. Nel tardo antico si verificò una
variazione climatica con aumento di umidità e con incremento della portata dei
fiumi, come gli storici hanno scritto. Ci furono inondazioni, modifica delle
foci: una conseguenza fu la migrazione delle popolazioni nelle alture. È stato
incentrato uno studio sul medio corso del fiume Chienti, evidenziando uno
strano angolo di confluenza tra il Fiastra e il Chienti, e mostrando come tra
Corridonia e San Claudio il fiume si divise in due corsi d’acqua creando
un’isola. Da reperti trovati questa dovrebbe essere Pausulae. Costantini di
Montesanto ne parlava già nel 1800 nel “Liber iurium” (parcella del 1143 della
diocesi di Fermo) descrivendo questo luogo che risulta chiamarsi proprio
“Isola” fino a quella data, ma non nei secoli successivi, e attraversato da una
antica strada che porta a San Claudio. Risulta nel 1700 un rischio di
alluvione, evitata grazie a lavori di regimazione a San Claudio testimoniati da
una lapide ancora presente su una parete dell’abbazia, gli stessi lavori furono
eseguiti a Santa Croce all’Ete. Il professor Catani ha anche affrontato
l’analisi dell’etimo Pausulae. Da più fonti il nome originario risulta essere
Pausulae mentre le forme Pausulas e Pausula sono un chiaro errore del copista
nelle trascrizioni. Interessante la teoria che il nome derivi da “pausare” cioè
fare sosta, suggerendo una zona di piccole stazioni di sosta intervallive del
Chienti (allora detto Flusor). La forma Pausulae plurale può far pensare a più
insediamenti piceni, un nodo viario dove si incrociavano percorsi vallivi e
intervallivi. Nei pressi di San Claudio c’è da scavare andando più in
profondità rispetto ai reperti romani: lo strato dei piceni non è stato mai
seriamente indagato.
Enrica Petrucci
Illustra il metodo di ricerca del gruppo di studio storia e architettura.
Partendo dall’archivio storico della soprintendenza, dove sono conservati i
documenti di cantiere dei restauri effettuati nel 1900, si cerca di ricostruire
i lavori eseguiti e le modifiche apportate alle strutture di tre costruzioni:
San Claudio, Santa Maria a Pié di Chienti e Santa Croce all’Ete. Individuate le
aree meno deturpate e relative letture delle caratteristiche originali anche
stilistiche, geometriche, si fa il confronto con le fonti archivistiche.
L’indagine inizialmente solo fotografica, serve a fornire una analisi
geometrica e materica, i cui risultati vengono riportati su schede, per avere a
disposizione una sintesi efficace dove si può notare la più varia composizione,
che fa supporre diverse maestranze, diversi materiali, diversi momenti di costruzione,
eventi di distruzione, eccetera. Interessante lo studio per determinare le
unità di misura usate: la rispondenza nelle strutture per descrivere le varie
parti delle fabbriche, in particolare nelle absidi, risulta essere il “piede
bizantino”.
Graziella Rosselli
Indagini diagnostiche su architettura e pittura, che forniscono dati di
supporto alla ricerca non invasivi: la termografia, che rileva differenze anche
minime di temperatura consentendo la mappatura di strutture interne,
individuando le differenze dei materiali, i particolari nascosti, le
manomissioni del fabbricato originale. Per esempio alla Collegiata di San
Ginesio si è evidenziata una nicchia tamponata a sinistra dell’altare
principale, e sulla facciata si vede una anomalia che corrisponde con
probabilità all’antico ingresso decentrato, mentre nella zona absidale c’è un
diverso spessore di muratura. Si sono fatte indagini multispettrali, con
diverse lunghezze d’onda, sui dipinti come nella cripta di San Biagio. Queste
rendono il tipo di pigmento usato, il che consente di risalire alla tecnica e
all’epoca di realizzazione, e anche a riconoscere restauri successivi. Invece
l’indagine a luce radente permette di riconoscere aggiunte, stratificazioni nei
dipinti murali, facendo riconoscere la più piccola differenza di spessore.
Infine la mensiocronologia, tecnica mai usata nelle Marche, crea una statistica
sulle dimensioni dei mattoni: la dimensione del mattone dà la datazione per cui
le anomalie fanno comprendere modifiche e ricostruzioni negli edifici
effettuate nel tempo.
Conclusioni
I gruppi di ricerca sono composti per la gran parte da giovani, che hanno
dimostrato di aver lavorato con perizia ed entusiasmo, alla luce delle scoperte
superiori alle aspettative, dopo queste indagini non invasive, si aspettano di
poter continuare con le fasi successive e passare alle analisi chimiche delle
malte e agli scavi, e così poter trarre delle conclusioni che potrebbero
stravolgere i libri di storia. Unicam, con la collaborazione di Unimc, intende
comunque – malgrado le difficoltà causate dal sisma – portare avanti le
ricerche avviate, sempre con il metodo della multidisciplinarietà e le
tecnologie oggi esistenti, allargando gli studi da Genga fino a Ponzano di
Fermo.
Simonetta Borgiani
2 luglio 2017
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