Filmato a cura di Giorgio Rapanelli
giovedì 30 marzo 2017
Il Dott. N. Graziosi presenta una sua riflessione su:"Sali (piceni?) in Provenza nel secondo sec a.C."
Sali
(piceni?) in Provenza nel secondo sec a.C.
Ci
hanno insegnato che la Salaria era la via del sale. La definizione non mi ha
mai convinto. Uscito dalle aule scolastiche, affetto dalla passione per i libri
antichi, affascinato dalla vastità d’informazioni desumibili da internet, ho
cercato smentite; ne ho trovate poche.
Quasi
sempre si legge che la Salaria (attuale
strada statale 4 Ascoli – Roma) era una “via di
scopo” (trasporto
del sale). Non
è colpa di Plinio il vecchio, (Como 23 – Stabiae 25 agosto 79 eruzione del Vesuvio), in Naturalis
historia, XLI, 89: “... sicut apparet ex nomine Salariae viae quoniam illa
salem in Sabinos portari convenerat…” Lodovico
Domenichi, pubblicato
in Venezia da Giuseppe Antonelli nel 1844, traduce: “come si vede nel nome
della via Salaria, così detta, perché per essa si portava il sale ai Sabini” (letteralmente: conveniva portare). Altri
hanno liberamente tradotto “così
chiamata perché attraverso questa i Sabini trasportavano il sale dal mare”. A
volte la fortuna aiuta gli audaci e più
spesso gli errori.
Certamente
ai Sabini il sale romano arrivava sulla Salaria, che non poteva essere via di
scopo esclusivo. Pur ammettendo che la Salaria partisse da Roma, non terminava
in Sabinia: il suo tracciato era ed è molto maggiore1.
Nelle
Marche c’erano e ci sono altre due vie Salarie la Picena (Adriatica) e la Gallica (Fossombrone,
Macerata, Urbisaglia, Arquata). Perché tante Salarie in una
piccola regione dove le colline si bagnano nell’Adriatico? Sembra razionale che
l’insieme delle tre Salarie possa individuare un popolo che intorno ad esse
viveva: i Sali (Salii, Salj, Salji, Saluvj, Salientes, Salici; dei vari storici). Questa ipotesi è
supportata anche dalle Tavole Eugubine2 “il più antico
testo rituale di tutta l’antichità classica” secondo Devoto. In esse è
codificato il rito della “Lustrazione (purificazione) dell’esercito”: in molti
testi di storia di Roma detto “Armilustrum dei Salii”, festa celebrata il 19
ottobre. Nella tavola 1.b.10-45 il celebrante ordina all’esercito di schierarsi “per curie e per centurie”: i Sali erano
molto numerosi, come si può desumere dalle vittime sacrificali: tre vitelle, tre giovenche mature – tre
verri rossi o neri, tre scrofe rosse o nere – si producano insaccati neri e bianchi2 – siano presenti prodotti della terra, sale, farina e
farro rostito. Il Vocabolario Della Lingua Italiana (1924) di Nicolò
Tommasseo per Banchetto saliare intende un
convivio ricco e sontuoso come confermato da Orazio Flacco in Odi I, 37.
Nella
storiografia classica i Sali sono come un fiume carsico: il più delle volte
sono sotterranei e/o vengono confusi con etnie ad essi vicine.
Sono
certo che molto altro si debba scovare; lascio il compito a quanti migliori di
me.
Resto
convinto che i Sali erano popoli forti, sviluppati, numerosi, evoluti e molto
antichi, preesistenti agli stessi romani; ne parleremo nel prossimo futuro. Ora
mi fa piacere riportare fedelmente quanto pubblicato in due volumi (ultra
centenari):
1 Dissertazione
Istorica Fregelli - Pasquale
Cayro Napoli I795 Stamperìa di Antonio
Paci:
“637 di R …”fu determinato di allontanare Fulvio da Roma e
fu inviato contro i Popoli Sali,
630 di R “Ma lo stesso Caio
Sestio (Calvino console nel 629 di R), allorché esercitava la carica di Proconsolo
, avendo soggiogato li popoli Salj della Gallia Transalpina ivi trasportò la riferita Colonia per popolare una
Città da lui destinata ſabbricarsi quale per essere stata edificata presso
alcune fonti di acque, riguardo a queste, ed al suo nome si appellò Aquae Sextia nobile citta di Provenza sotto il nome
di Aix, ora celebre”3
2 Roma descritta
e illustrata. .. volume unico – venezia – Tommaso Fontana Ed. 1844
“La prima di queste nazioni, che fu attaccata dai
romani sotto la condotta di Sestio, fu quella cui il commercio dei salumi2 lungo le spiaggie del Mediterraneo avea da
lunga pezza fatto distinguere col nome
di sali. Essa a quel tempo era retta da
un re chiamato Teutomalias, difesa da alta montagna sopra un
suolo generalmente poco fertile. Sestio a traverso di un paese frastagliato da
foreste e da dirupi, marciò fremente contro questi galli, cui il
solo aspetto rendeva terribili. La loro statura
vantaggiosa, la loro intrepidità, le lor armi, e la loro unione facevano
temere ai romani di trovar nell'occidente dei nemici ben più formidabili di
quelli da essi rinvenuti nell'oriente. Ma le legioni non perciò ristettero dall'avanzarsi
nella regione dei sali la più vicina a Marsiglia,
la quale pure
era appartenuta altra volta a que' popoli. Dal luogo più delizioso del paese
donde scaturivano molte fontane d'acqua calda, che intramezzavansi con altre
sorgenti di fredda, i romani scorsero le truppe nemiche ordinate in battaglia.
Sestio senza perdere un momento fece dar loro la carica, e le volse tostamente
in fuga. Questa prima vittoria riportata sui galli sali capitaneggiati dal loro stesso re Teutomalias, e sul loro medesimo
territorio, bastò al proconsole onde fare il conquisto dell'intera nazione.
L'armata romana, posto l'assedio alla capitale, la prese malgrado il numero de'
suoi difensori, e ridusse in ischiavitù gli abitanti. Teutomalias fu presso che il solo che abbia potuto salvarsi,
rifuggiandosi presso gli allobroghi
di lui vicini.
Solevano bene spesso i generali romani, quando miravano
ad assoggettare un popolo, e tenerlo a dovere, di segnalare le prime loro
imprese con qualche tratto di clemenza onde addolcire gli animi dei vinti.
Narra Diodoro di Sicilia che mentre Sestio faceva rendere gli abitanti di una
città di cui s'era impadronito giusta l'uso di que' tempi, un certo Cratone,
che veniva condotto incatenato cogli altri, si presentò a lui, rappresentando
che la sua costante amicizia pei romani, e il suo attaccamento per i loro
interessi gli avevano sovente fatto soffrire dei mali trattamenti per parte de'
suoi concittadini: il che udito il proconsole, e riconosciuta ch'ebbe la verità
del fatto, non solamente lasciò in libertà Cratone con tutta la sua famiglia, ma promise
altresì di francare dalla schiavitù novecento prigionieri. L'amicizia
cui Sestio testificò dipoi costantemente a Cratone provò ai sali la riconoscenza
de' nuovi loro padroni, e fu un legame che unilli ad essi.
Dopo avere stabilita la dominazione romana ben innanzi
nella Liguria transalpina, Sestio studiò come si potesse renderla permanente.
Egli credette, ed a ragione, non esservi mezzo migliore a contenere questo popolo
di carattere per natura incostante, che quello di fondere una colonia romana in
quel sito stesso, in cui avea egli ottenuta la sua prima vittoria. Un luogo sì
fecondo per chiare acque e calde e fredde, gli parve adattato a divenire una
città abitabile da' romani. Fe' perciò dar mano al lavoro, e mise in opera gli
stessi suoi legionari ad edificare abitazioni, ed erigere baluardi e torri:
finalmente impose il proprio nome alla novella città, chiamar facendola Aquae
Sestiae: essa sussiste ancora al giorno d'oggi sotto il nome Aix di Provenza. Questo proconsole rifinito dalle
fatiche di una penosa campagna, e dai dolori
della gotta, apprezzava meglio che ogni altro l'utilità de' bagni termali
la cui istituzione era d'altronde favorita dalla località… In questo mezzo Sestio purgò dai Sali tutte
le spiaggie da Marsiglia sino all'Italia, confinandoli a duemillecinquecento passi lungi dal
mare, e lasciò tutta cotesta costa ai marsigliesi, i quali si accorsero forse
della imprudenza commessa nell'aver chiamato a se vicini così pericolosi”3
CONSIDERAZIONI
Questi autori (ed anche altri) scrivono Popoli Sali, Sali, Galli Sali, Questi Sali, saluvi
salui considerandoli sinonimi; se questi vari nomi individuano lo
stesso popolo, si deve dedurre che hanno la stessa origine; non ho ancora
trovato un testo che ne parli chiaramente. Erano italici (gravitanti intorno alle vie Salarie?),
rifugiati
al nord dopo la conquista romana dell’Italia centrale e/o preesistenti.
Da quanto sopra, è documentato che i
Sali hanno lungamente vissuto in Provenza, aldiquà e aldilà delle Alpi, sia
prima sia dopo i sette anni di guerra con Roma. Se si evidenziano riti,
tradizioni e linguaggi italici è pienamente normale; sarebbe strano il
contrario.
Il re di questi Sali o Galli Sali era Teutomalias, il quale ottenne da
Sestio la potestà di francare dalla schiavitù novecento dei suoi. Non è dato sapere come poi si siano
chiamati. Forse Franchi Teutones
(perché francati di Teutomalias)
anche se erano Sali, Galli Sali, popoli Salj della Gallia Transalpina. Nel capitolo “Della liberalità” in Roma Antica e Moderna – Roisecco Roma 1765
si
afferma l’uso sfrenato, dei romani, di francare i popoli vinti: “rendendosi con un tal atto tributari per
sempre gli animi di quelli (i
prigionieri vinti),
che dalle contribuzioni, ed aggravi
servili erano stati generosamente assoluti”. I francati
(Franchi) dovevano essere una moltitudine. I romani hanno poi accertato che la
gratitudine, ammesso che esista, ha vita incerta; è un fiore caduco, presto
appassisce e avvelena l’aria di chi l’ha custodito. La storia è (dovrebbe essere)
maestra
di vita. Invece…
1 vedi: strade
romane nel piceno
3 questa deportazione, descritta da altri storici, viene dimostrata non
vera dallo stesso Cayro
mercoledì 15 marzo 2017
lunedì 13 marzo 2017
sabato 11 marzo 2017
La sindaca di Corridonia consegna la cittadinanza onoraria al prof. Giovanni Carnevale
L'oliva "Carlo Magno", con ripieno di ciauscolo, è stata creata per l'occasione della cerimonia di consegna della Cittadinanza onoraria al prof. Carnevale. Come si vede è già in trono.
venerdì 10 marzo 2017
Alla ricerca dei luoghi in cui è vissuto ed ha acquisito il potere il duca Federica III di Svevia (Barbarossa). Ricerca di Massimo Orlandini
Da oltre 10 anni l'amico Massimo Orlandini effettua una ricerca puntuale sulla Marca di Ancona e la conseguente carica che la storiografia ufficiale ha assegnato a Federico e Guarnerio.
La notevole quantità di documenti che l'Orlandini ci presenta dimostrano che fino al tredicesimo secolo nelle fonti non vi è stata mai traccia di una Marca di Ancona e quindi del suo duca e marchese.
Esistono però nello stesso periodo due personaggi: Federico e Guarnerio a cui viene attribuito il titolo di duca e marchese.
Secondo la tesi di Orlandini tali cariche di duca e marchese, attribuite in particolare a Federico, si riferiscono a controllo di una area del centro-orientale dell'Italia e derivano solo dallo stretto vincolo di parentela con gli imperatori regnanti negli stessi anni.
La tesi è avvalorata soprattutto dalla evidente autorità dimostrata da costoro ad esempio nel concedere l'esenzione del "fodrum" al monastero di Fonte Avellana.
La notevole quantità di documenti che l'Orlandini ci presenta dimostrano che fino al tredicesimo secolo nelle fonti non vi è stata mai traccia di una Marca di Ancona e quindi del suo duca e marchese.
Esistono però nello stesso periodo due personaggi: Federico e Guarnerio a cui viene attribuito il titolo di duca e marchese.
Secondo la tesi di Orlandini tali cariche di duca e marchese, attribuite in particolare a Federico, si riferiscono a controllo di una area del centro-orientale dell'Italia e derivano solo dallo stretto vincolo di parentela con gli imperatori regnanti negli stessi anni.
La tesi è avvalorata soprattutto dalla evidente autorità dimostrata da costoro ad esempio nel concedere l'esenzione del "fodrum" al monastero di Fonte Avellana.
lunedì 6 marzo 2017
domenica 5 marzo 2017
Come da noi anticipato con la relazione del Prof. Enzo Mancini anche "il Resto del Carlino" ci informa che "Hitler cercava prove sugli ariani" a Jesi
L'articolo sotto riportato sul Resto del Carlino ci fa credere che le storie, che ancora circolano nel maceratese, su quanto accadde alla fine della seconda guerra mondiale e da noi pubblicate lo scorso anno, hanno una solida base di attendibilità.
Per facilitarvi la lettura riportiamo integralmente i nostri due articoli.
martedì 22 novembre 2016
Fatti
misteriosi a San Claudio durante l’occupazione tedesca (1943-1944).
Wolfgang
Hagemann fu un famoso studioso del Medioevo, principalmente delle relazioni
intercorse fra la dinastia degli Hohenstaufer e la città di Jesi e alcuni
centri comunali del fermano e del maceratese. Già nel 1937 ne aveva visitato gli
archivi storici senza essere controllato. Durante l’occupazione tedesca, a San
Claudio, oltre ad un contingente di militari tedeschi, una importante
delegazione di alto livello ispezionò la chiesa. Non sappiamo se per
disposizione di Hagemann o dallo stesso guidata. Cosa cercava e cosa ha portato
via? Mistero. Mistero che aveva eccitato la curiosità del giovane parroco don
Benedetto Nocelli da indurlo a chiedere, nei primi anni Sessanta, alle persone
più anziane notizie sulla famosa mummia e su altri fatti
strani avvenuti durante l’occupazione tedesca. Mistero che tenteremo di
chiarire.
Lino
Martinelli (1923) ricorda, che durante le incursioni aeree delle forze alleate
sulla tratta ferroviaria Civitanova – Tolentino, la popolazione di San Claudio
trovava un sicuro rifugio nella chiesa, con la certezza che non sarebbe stata
colpita.
Di
quel periodo turbolento e tragico, le fonti bibliografiche e documentali, le
testimonianze, sebbene lacunose e talvolta contraddittorie, ci permettono
di proporre con una certa attendibilità gli avvenimenti e di avanzare alcune
ipotesi interpretative. Abbiamo tratto informazioni dal manoscritto inedito Vita
vissutadel dott. Costantino Lanzi, primo sindaco di Corridonia dopo la
Liberazione, daL’ultima guerra in val di Chienti (1940-1946)di Aldo
Chiavari, da Guerra ai nazisti il racconto di un patriota chiamato
“Verdi” di Mario Fattorini, dai documenti del Cln comunale, da varie
testimonianze, le più significative quelle di don Benedetto Nocelli, parroco di
San Claudio dal 1962 al 2011, di Claudio Principi e dei nipoti di don Giovanni
Michetti, pievano e parroco di San Claudio dal 1923 al 1956.
A
supporto della nostra ipotesi, brevemente proponiamo qui soltanto le uccisioni
di soldati tedeschi, tralasciando gli altri avvenimenti.
Il
ten. Mario Taglioni (1918) era il comandante partigiano di Corridonia, Mogliano
e Petriolo.
Dopo
l’inutile assassinio del fascista Goliardo Compagnucci per mano di Guglielmo
Palombari, (rappresaglia della milizia fascista evitata per l’intervento del
segretario del fascio locale), le azioni d’attacco dei partigiani si
concentrano nel mese di giugno 1944, quando ormai è imminente dell’arrivo
dell’armata polacca.
Assaltano
nella zona di Cigliano una colonna tedesca. Tre soldati uccisi. Mario Taglioni
da solo uccide nel campo d’aviazione di Sarrocciano una sentinella tedesca,
asporta parti di una mitragliatrice e taglia i fili della linea
telefonica.
Guglielmo
Palombari ( Gugliè de Panara) accoppa a casa Spalletti, con un
colpo alla nuca, un soldato tedesco intento a suonare il pianoforte. Carica il
cadavere su una carriuola in uso ai muratori e lo fa scomparire. Un altro
tedesco viene ucciso il 19 giugno sotto il ponte di Chienti. Al riguardo non
esistono altre informazioni. Un soldato tedesco di guardia al comando tedesco
installatosi nella scuola di San Claudio, situata lungo la nazionale e vicino
al mulino Franceschetti, di notte è ucciso da due sedicenti partigiani di
Corridonia. Su questo delitto, per molti aspetti emblematico della guerra
civile, non esiste documentazione. Ne siamo, tuttavia, venuti a conoscenza per
la testimonianza dei fratelli Foresi, allora poco più che ragazzi. Storia che
racconterò nel prossimo libro.
Per
queste uccisioni non si hanno rappresaglie da parte del comando tedesco. Per
l’uccisione della sentinella della scuola, il comando tedesco si astenne avendo
ottenuto prove incontrovertibili della non colpevolezza degli abitanti della
zona. Più complessa la questione relativa all’uccisione della sentinella di
Sarrocciano. La rappresaglia fu evitata grazie ai buoni rapporti tra la
popolazione della contrada e i soldati che compresero come l’attacco notturno
fosse da attribuirsi ad elementi partigiani. Gli agricoltori della tenuta di
Sarrocciano ricordano e sottolineano infatti la forma di pacifica convivenza
tra le loro famiglie i reparti germanici costituiti in maggioranza da elementi
di religione cattolica…
Si
registra un’altra uccisione di un soldato tedesco sempre nel mese di giugno.
Claudio Principi ( ci riferì di sapere il nome dell’autore del delitto, che mai
però avrebbe rivelato nemmeno sotto tortura), don Benedetto Nocelli, i nipoti
di don Giovanni Michetti hanno affermato che il sacerdote riuscì a evitare una
rappresaglia perché convinse il comandante tedesco a rispettare il quinto
comandamento non uccidere.
Non
è possibile con esattezza accertare se questo sia un nuovo delitto o faccia
riferimento agli altri.
Certamente,
così come riferita da più testimoni, appare verosimile la motivazione di
carattere religioso.
Il
ragguardevole interesse, tuttavia, di Hagemann e delle gerarchie tedesche per
l’abbazia di San Claudio e per le ricerche effettuate negli archivi dei nostri
comuni ci suggeriscono un’ipotesi diversa.
Nei
lavori di restauro del 1924-1926, sotto l’altare della chiesa fu rinvenuto la
salma mummificata di un guerriero dai capelli biondo rossicci e con a fianco
una spada. Don Giovanni Michetti, in quel periodo pievano di San Claudio, dà
testimonianza scritta del suo ritrovamento, ma non sa dove sia stata portata.
Ed è una grossa bugia. Sapeva benissimo, come la maggior parte dei
parrocchiani, dove era stata deposta. Le testimonianze, poi, concordi di almeno
tre giovanotti del tempo, ripetute infinite volte alle persone della zona e
giunte fino a noi, hanno indicato il luogo esatto dove trovarla: vicino alla
prima colonna a destra della chiesa. Anzi ne hanno perfino indicato il punto
preciso.
La
nostra ipotesi è che don Giovanni Michetti abbia potuto impedire la
rappresaglia non tanto perché il comandante tedesco era un fervente cattolico
quanto bensì perché gli aveva consegnato la mummia. Può sembrare
una ipotesi suggestiva, ma non meno credibile di quella fondata sulla
magnanimità, ispirata da motivi religiosi, del comandante tedesco. Le memorie
testimoniali di don Giovanni sono pressoché inesistenti. Quella dettata a don
Benedetto negli anni Sessanta lascia intendere la volontà di negare una verità
scomoda.
Un
altro tragico fatto rende più credibile la nostra ipotesi. Il 22 giugno 1944 a
San Claudio ( i polacchi erano il giorno precedente entrati a Corridonia) il
siciliano Gaetano Paci ex paracadutista viene fucilato dal comando tedesco.
Costui aveva trovato una sistemazione presso la famiglia Re, che conduceva a
mezzadria un terreno di proprietà Olivieri di Sarrocciano. Gaetano, detto
anche Salvatore, aveva familiarizzato con i tedeschi, che presidiavano l’area
del costruendo campo di aviazione.
Intercettato
da una pattuglia tedesca fu fermato e perquisito: gli furono trovate una
bussola militare e l’uniforme da gustatore. Condotto presso il comando, a S.
Claudio, dopo un sommario processo fu condannato alla fucilazione, avvenuta la
sera stessa della cattura, poco lontano dalla chiesa, dietro la casa di
Martinelli. Riferiscono poi le testimonianze e le
fonti documentali: A nulla era valso il tentativo di evitargli la
fucilazione effettuato dal parroco don Giovanni Michetti, bruscamente
allontanato dai tedeschi.
Il
comandante quindi non era più quel fervente cattolico convinto da don Giovanni
Michetti ad evitare addirittura una rappresaglia? Forse nel frattempo era
cambiato. Ma a distanza di pochi giorni?
C’è
ancora un’ultima annotazione. L’Iriae nel settembre del 2014 ha effettuato un
carotaggio interno alla chiesa in un punto in cui il GeoRadar aveva indicato un
vuoto sul lato destro della chiesa, più precisamente nel punto dove era stata
deposta la famosa mummia. A circa un metro di profondità la telecamera
ha confermato la presenza di una larga camera rettangolare con volta a botte
riempita di ossa umane. Non si è riusciti, tuttavia, a distinguere la presenza
di materiale di diversa tipologia. La mummia quindi non c’è.
Ma lì era stata posta nel 1925.
Non
siamo depositari di alcuna verità, ma le tesi del prof. Giovanni Carnevale e di
altri studiosi che ripropongono dell’Alto medioevo una storia profondamente
diversa da quella tradizionale, le ricerche dei tedeschi, prima durante e dopo
il secondo conflitto mondiale, per scoprire nella nostra terra le gloriose
origini della loro nazione, impongono una seria riflessione.
Dott. Piero Giustozzi
lunedì 10 ottobre 2016
MEN IN BLACK
Nella vicenda di Aquisgrana a san Claudio vengono fuori inattesi
risvolti: la presenza degli uomini in nero, non nella fantasia ma nella più
dura realtà: si staglia sinistra su questa storia l'ombra delle SS.
Mio fratello mi ha riferito la testimonianza di Claudio Franceschetti,
fratello di Annibale Franceschetti, i proprietari dell'antico mulino di san
Claudio.
Ho avuto modo di parlare spesso con Annibale, meno con Claudio.
Annibale mi raccontò un fatto interessante: prima di abbandonare la
posizione i tedeschi, allo scopo di rallentare l'avanzata degli alleati non
minavano solo i ponti, anche i mulini.
E il mulino di san Claudio stava per essere fatto saltare. La mamma di
Annibale e Claudio si era messa a piangere e poco dopo anche i figli. Ma c'era
un comandante tedesco, che parlava l'italiano, che aveva preso a benvolere
questi bambini: ebbe compassione e ordinò di rimuovere le carica esplosive.
Così il mulino restò in piedi e dette ai due fratelli la possibilità di
lavorarci fino alla pensione.
Solo adesso, dopo che i due fratelli sono morti, ho realizzato che il
comandante tedesco era Wolfgang Hagemann.
Dopo la guerra questo signore tornò in Italia e tenne la carica di
direttore del DHI,
l’istituto storico tedesco che ha sede in Roma.
Si interessò soprattutto di Federico II, cercando i risvolti delle sue
vicende negli archivi dei paesi ( a quei tempi risultava strano) del fermano
soprattutto.
Chi si interessa di storia locale di questa regione conosce benissimo
questo autore.
Io mi sono spesso domandato come facesse questo tedesco a sapere tutto dei
nostri paesetti. Ora me lo spiego.
Ma torniamo al periodo della seconda guerra mondiale.
Mio fratello Ennio ha raccolto, quasi per caso, la testimonianza di Claudio
Franceschetti, pochi mesi prima che morisse, che i Tedeschi nel 1944 mandarono
a san Claudio una delegazione di alto livello, che ispezionò l’interno della
chiesa, non certo sotto gli occhi di tutti.
Ora passo alle logiche supposizioni, altro non si può fare.
Questa delegazione era sicuramente costituita dalle SS di Heinrich Himmler,
mandate a Iesi sulle tracce del Codex Aesinas: dovevano trovare l’unica copia
antica dell’opera di Tacito “Germania”, custodita nella villa dei conti
Baldeschi – Balleani, perché dovevano cambiare un’inezia: un tamquam con
un quamquam.
Questa inezia dava ai nazisti l’alibi morale per proclamare la supremazia
della razza ariana! Troppo lungo da spiegare, ma fidatevi, è così, cioè, era
così.
Questa spedizione non trovò il codex aesinas, ma credo che non tornò a casa
a mani vuote. Si portò a casa la mummia di Ottone III.
Erano passati diciotto anni dal suo ritrovamento sotto l’altare di San
Claudio.
Il parroco don Giovanni Michetti conservava lo spadino ritrovato sopra la
mummia, sapeva dove era stata ritumulata, come lo sapeva metà dei parrocchiani:
Secondo me uno come Wolfgang Hagemann aveva capito che quella mummia era di
Ottone III, molto prima di Giovanni Carnevale.
Ma se i nazisti se la sono presa nel 1944, che andiamo a cercare noi oggi,
le farfalle?
Ora qualcuno mi dirà: dove sono i documenti, dove sono le prove di quello
che scrivi?
Che devo rispondere? Ma Himmler e le SS sono realmente esistiti?
I tedeschi non scherzano mai, recita una nota pubblicità per una auto
tedesca, però dicono un sacco di bugie.
Provate a pensare allo scandalo della Volkswagen: con 15 miliardi di euro
la storia verrà chiusa e chi s’è visto s’è visto.
Ma è veramente curioso che i molti ingegneri inventori del dispositivo
fraudolento si sono laureati tutti ad Aachen, tanto che i giornali che parlano
di questa frode titolano “Aachen connection”.
Per chiudere il discorso, che sarebbe troppo lungo e complicato, quello che
mi preoccupa è che forse da qualche parte in Germania questa mummia potrebbe
saltar fuori da un momento all’altro.
Allora l’intelligentone milanese potrà dire tranquillamente: “ Io lo
avevo detto che questi valdichientisti arroganti e visionari erano da
rinchiudere in un manicomio.”
Enzo Mancini
Il Prof. Giovanni Carnevale cittadino onorario della Città di Corridonia
Sabato
11 marzo alle ore 16,30 nella sala consiliare in p.zza Corridoni 8 il sindaco,
Nelia Calvigioni, alla presenza del Consiglio Comunale, consegnerà al prof. Giovanni
Carnevale la cittadinanza onoraria di Corridonia per i suoi rivoluzionari studi
sull’abazia di San Claudio.
Il
professore si è laureato nel ’53 con una tesi sull’archeologia cristiana
ravennate del V e VI secolo e, già trent’anni fa, ha individuato un collegamento
tra la chiesa di S. Claudio e la chiesa di Germigny des Prés,
attualmente Comune con 730 abitanti nel dipartimento della Loira.
Questa
chiesa francese è universalmente riconosciuta come imitazione di quella di
Aquisgrana, secondo quanto già il vescovo Théodulf scrisse a Carlo Magno
dopo la sua costruzione. Ancora oggi, nella zona circostante, numerosissimi
cartelli stradali la indicano proprio come oratorio carolingio. La chiesa è a
pianta quadrata con 5 absidi (una sesta è stata aggiunta nel 1870 durante la
guerra franco-prussiana) e 4 pilastri, pianta quindi identica a quella di S. Claudio.
Chiunque
può invece constatare facilmente che l'attuale chiesa di Aachen in
Germania, che i tedeschi pensano erroneamente che sia Aquisgrana, oltre ad
essere a struttura ottagonale, è, all'interno e all'esterno, totalmente
differente da quella di Germigny des Prés. D’altronde gli stessi studiosi
germanici nel 2010, in seguito ai loro scavi stratigrafici, hanno dovuto
ammettere che nel sottosuolo non ci sono tracce di chiese precedenti e quindi
il confronto può riguardare solo l'attuale edificio ottagonale.
Nell’enciclopedia
Treccani viene detto, inoltre, che la chiesa di Germigny rivela un sicuro
influsso orientale sassanide ed omayyade: “Tale influsso - ha sempre affermato il
nuovo cittadino onorario di Corridonia - si ritrova e si riconosce anche a S.
Claudio ma non ad Aachen”.
Questa
importante scoperta nel 2011 è stata vista con simpatia dal segretario del
Pontificio Comitato di Scienze Storiche Città del Vaticano, prof. Cosimo
Semeraro, che, nel presentare “THE SCHOLA PALATINA AND THE CAROLINGIAN
RENAISSANCE IN VAL DI CHIENTI”, dice di Carnevale: “…ben noto nel più serio
segmento della storiografia picena su Carlo Magno fa presagire il contenuto ….:
far chiarezza e rendere giustizia sull’esistenza, sul significato e sul ruolo
di Aquisgrana in Val di Chienti”. Altrettanta simpatia ha mostrato il docente
di Storia medievale alla Pontificia Università Gregoriana, prof. Giulio
Cipollone, che è voluto intervenire alla presentazione dello stesso libro.
Ora,
alla veneranda età di 93 anni, il prof. Carnevale
riceverà un nuovo significativo riconoscimento, prezioso tributo alle sue
ricerche sempre più conosciute e apprezzate in Italia e all’estero.
Albino Gobbi
mercoledì 1 marzo 2017
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