mercoledì 4 marzo 2020

Riprendo un intervento del Prof. Enzo Mancini per inserire dei riferimenti che spiegano la nascita della Scuola sicilana.

- Nel trattato Osservazioni sopra le famiglie nobili d’Italia, le loro arme, ed Imprese di Francesco Antonio Marcucci (1717-1798), si riporta questa testimonianza:
«Nella venuta nel 1187 in Ascoli di luglio di Henrico VI re dei Romani Filio di Federico I Barbarossa, imperatore, gli furono fatti archi trionfali oranti con varie Imprese & Insegne & Inscrizioni, dalli Ascolani, come si cava da un antichissimo manoscritto e gli fu recitata una orazione panegirica in lingua nostra italiana allora nascente e rozza e si suppone recitata dal nostro arcidiacono Berardo, poi vescovo di Messina; e un carme italiano o sia cantico encomiastico, recitato dal nostro Vuillielmo poi Pacifico poeta, il quale nella sua età avanzata fu frate e discepolo di San Francesco… Quando la recita del carme fu fatta il 22 luglio1187, Guglielmo aveva 29 anni: il carme era di 100 versi precisi e furono sufficienti perché Guglielmo fosse dichiarato nobile paladino e poeta di corte. Ventuno anni dopo, nel 1208, a Palermo Federico II ancora ragazzo lo proclamò solennemente suo maestro e re dei versi italiani per essere stato il primo di tal professione in Italia. Gli altri poeti furono tutti allievi della scuola guglielmina. Passano altri quattordici anni e Guglielmo fa la strepitosa risoluzione che tutti conosciamo».
- Guglielmo Divini da Lisciano, dopo il 1187,fu accolto da Enrico VI e Costanza di Sicilia  alla corte palermitana.
- Anche le cronache ascolane (Andreantonelli, 1673, IV, p. 288) riportano come Guglielmo, insieme con altri scelti cittadini, venisse condotto dalla città marchigiana (in Sicilia ndr) alla corte imperiale per i suoi meriti letterari, mostrati nella composizione di un carme encomiastico nei confronti dei sovrani.
- In un documento del 1194, Costanza si riferisce a Divini come al «fidelis noster attendentes cum fidem et devotionem» (Franchi, 1995, pp. 174 s. n. XIII).
- Infine Federico II nel 1208 a Palermo proclamò Divini “Rex versuum”.
   E’ necessario evidenziare come Guglielmo Divini, già autore di testi lirici nell’idioma linguistico dell’Italia mediana prima che questo venisse definito dalla letteratura in volgare, fosse presente da protagonista all’interno della cerchia letteraria federiciana, insieme ad altri valenti “marchigiani”, indica che nella Scuola siciliana ebbe un ruolo non secondario, non solo perché venne incoronato come il primo dei poeti già prima della piena fioritura della Scuola ma soprattutto perché è del tutto evidente che il gruppo motore della Scuola formatosi nel Piceno, dove si era già affermato come precursore della nuova lingua, fu ospitato a Palermo ed è ricordato come "Scuola siciliana"
Guglielmo Divini, già autore di testi lirici nell’idioma linguistico dell’Italia mediana prima che questo venisse definito dalla letteratura in volgare, poi attivo da protagonista all’interno della cerchia letteraria federiciana, insieme ad altri valenti “marchigiani”, ci dimostra che nella Scuola siciliana ebbe un ruolo non secondario. Venne infatti incoronato come il primo dei poeti già prima della nascita della Scuola. E’ inoltre del tutto evidente che il gruppo motore della Scuola si era già formato nel Piceno, dove si era affermato come precursore della nuova lingua, successivamente accolto a corte a Palermo acquisì il titolo di “Scuola siciliana”.
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dal sito nel 27/02/2016:

Il Prof. Enzo Mancini aggiorna la sua precedente relazione su "La nascita della lingua italiana e la questione francescana", con questo articolo che contiene risvolti clamorosi.

Fra Pacifico
(Alias Guglielmo Divini, alias re dei versi, alias padre di Federico II, alias co-autore del Cantico delle creature):

Nell’articolo precedente, in cui parlavo della nascita della lingua italiana e della questione francescana, mi è scappata una piccola gaffe, o grande, se preferite, riguardo a Fra Pacifico, scrivendo che era di San Severino.
Non posso non tornare su questo personaggio, che ha un ruolo chiave sia  per la nascita della lingua italiana sia per la questione francescana.
 Guglielmo Divini è nato a Lisciano, sotto colle san Marco e sopra Ascoli Piceno, sembra nel 1158. Non è stato fatto santo, resta Beato Pacifico da Lisciano.
Il san Pacifico di san Severino è posteriore, vissuto dal 1653 al 1721, anche lui frate minore, anche lui, curiosamente, di cognome Divini.
Ma a noi interesse il Beato Pacifico, quello che a  San Severino nel 1212, (o 1213), si convertì a
 san Francesco, letteralmente da un giorno all’altro, come riporta Tommaso da Celano ( Vita seconda, cap. LXXII ) .
Quando aveva 29 anni Guglielmo recitò un carme encomiastico di sua composizione di fronte a Enrico VI , in visita ad Ascoli, fresco sposo di Costanza d’Altavilla. Il poeta impressionò tanto bene la coppia regale che se lo portarono in Sicilia, dove soggiornò fino al 1211. Ma, da cavalier servente, seguiva la regina. La Gran Costanza, erede del regno di Sicilia, il 26 dicembre del 1194, nella piazza di Jesi, dette alla luce  Federico II.
Ma ascoltate che gossip: osserva Benedetto Leopardi di Monte San Pietrangeli, quasi un secolo fa, che nove mesi prima Enrico VI non era con la moglie, più vecchia di lui di 11 anni, ma in Germania. Costanza stava a Spoleto, con le sue dame e il suo cavalier servente, Guglielmo Divini.
L’ipotesi dell’amor galeotto è clamorosa, ma non inverosimile. Il matrimonio era stato combinato, capolavoro politico ma non affettivo. Questo imperatore era un uomo crudele: costrinse Costanza ad assistere alla esecuzione con tortura di Guglielmo Monaco, signore di Castro Giovanni (Enna), a cui fece inchiodare sul capo una corona di ferro rovente. Enrico VI morì poi in circostanze misteriose, nel 1197, a soli 32 anni, secondo malelingue avvelenato dalla moglie, ma forse dicevano la verità.
Anche lei morì di lì a poco, il 27 novembre 1198, lasciando il piccolo Federico sotto la tutela del papa Innocenzo III.
Nel 1208, quando Guglielmo Divini aveva 50  anni, Federico II adolescente lo incorona “re dei versi”, ignaro certamente ( o no, chi può saperlo?) che fosse suo padre.
Alla corte di Federico II nacque poi la scuola poetica che Dante chiamò “siciliana”.
Ma questi siciliani da chi impararono l’arte se non dal nostro Guglielmo Divini?
Che poi diventò fra Pacifico in fretta e furia, a 54 anni: certamente si sarà convertito, ma quanto sarebbe valsa la sua pelle se gli fosse sfuggito il suo grande segreto?
Quindi fra Pacifico seguì san Francesco, era presente quando al santo fu donato il monte della Verna, soprattutto era con lui dal 1223 al 1226.
Il che giustifica l’ipotesi che il “ Cantico di frate Sole” sia stato composto a quattro mani. Il “Poverello” era cieco, malato, ignaro di metrica. Nel Cantico lui ci mise l’ispirazione, fra Pacifico ci mise le parole giuste, in volgare italiano.
E’ curioso che Francesco Salvatore Attal, autore di una biografia del santo di Assisi fra le più dettagliate, scriva: “Una vecchia leggenda … vuole che san Francesco abbia fatto venire fra Pacifico, l’antico re dei versi, per dar forma perfetta alla metrica del canto, arricchendolo di cadenze musicali. E’ una leggenda assurda. Fra Pacifico morì nel 1220, mentre si recava in Francia”.
Ma assurdo è quello che scrive Attal, perché fra Pacifico morì nel 1234, all’età di 76 anni!
Ma non me la voglio prendere troppo con Attal, che scrive con il dente avvelenato contro Paul Sabatier, il principale responsabile della nascita della questione francescana.



Perché anche Attal, circa novanta anni fa, era convinto che l’Italiano come lingua nasce dai frati minori di san Francesco.
Riporto testualmente quello che leggo nella sua biografia di san Francesco d’Assisi, edita dal Messaggero di S. Antonio, Padova:
…Ma quando i fraticelli allargarono la loro cerchia, spingendosi ovunque in Italia, si impose la necessità di fissare epoche determinate in cui tutti i compagni potessero ritrovarsi insieme…Così nacquero quelle riunioni periodiche che, con espressione tolta al linguaggio cavalleresco, furono dette “Capitoli”… Per la Pentecoste (maggio)… e per san Michele (29 settembre)…
…L’Italia del 1200 aveva una sua civiltà originale, fastosa, brillante. Le corti degli imperatori, dei re di Sicilia, dei marchesi d’Este e di Monferrato, le città lombarde, le grandi repubbliche marinare, Firenze, Roma, celebravano le loro solennità con feste, giostre, tornei di poesia, da cui uscì quel linguaggio che Dante chiamerà” illustre, aulico e curiale”( De Vulg. Eloq. I, XVII,1) e che sarà il linguaggio della Divina Commedia.
A partire dal 1216 si vide ogni anno nel piano di Assisi un’altra solennità caratteristica, una corte plenaria come non se ne erano mai vedute, differente da tutte le giostre di amore celebrate fin allora e superiore ad esse di tutta la distanza che corre fra l’amore umano e il divino”.

Dal momento che ho citato questo autore, mi si permetta di citare anche un altro passo significativo di questo libro:
Nel capitolo del 1217 dice san Francesco ( Speculum Perfectionis LXV ):
“Fratelli miei carissimi, a me si conviene essere modello ed esempio di tutti i frati…Adunque… io eleggo la provincia di Francia ove ha cattolica gente, in specie perché meglio degli altri cattolici fa grande riverenza al corpo di Cristo, il che mi è cosa graditissima…”

Come poteva il Santo parlare della Provenza, dove era in corso la crociata contro gli Albigesi, i Catari che non erano proprio cattolici, ma dichiaratamente contrari all’Eucaristia?
Parlava della Francia del Piceno, parlava di noi.

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