San Francesco e la
Francia Picena
di
Gianfranco Baleani
Io non sono uno storico, sono una
persona a cui piace indagare quando nota delle incongruenze quindi, ciò che in
sostanza faccio, è pormi delle domande e cercare ipotesi più probabili (o, se
volete, meno improbabili) di quelle comunemente accettate. Obiettivo di questo
mio intervento, è pertanto quello di stimolare, in chi mi ascolta, la messa in
discussione dei presupposti e la ricerca di ipotesi alternative e più
convincenti per meglio capire determinati avvenimenti o periodi storici. E’ in
quest’ottica che deve essere considerato quanto sto per esporre.
Per quanto riguarda la scelta del
nome Francesco (relativamente a San Francesco d’Assisi) la biografia
comunemente accettata (basta consultare internet per rendersene conto) afferma
quanto segue:
- Il padre (Pietro di Bernardone)
commerciava con la Francia
(intendiamo l’attuale Francia che a quel tempo nei documenti ufficiali si
chiamava ancora Gallia, oppure la si indicava col nome delle varie regioni:
Provenza, Aquitania, …) e Provenzale era la moglie (la Signora Pica) che discendeva
dalla nobile famiglia dei Bourlemont, quando San Francesco nacque, il padre era
in viaggio per lavoro e la madre lo fece battezzare col nome di Giovanni;
quando il padre tornò decise che si sarebbe chiamato Francesco (che significava
Francese) in onore della moglie (secondo alcuni) o di quel paese che l’aveva
fatto arricchire (secondo altri).
In questo mio intervento cercherò di
dimostrare la poca attendibilità di quanto appena riportato ed indicherò altre
ipotesi ben più probabili riguardo alla scelta del nome Francesco.
La prima domanda da porsi è: perché
Francesco? Ovvero, perché il figlio di Pietro di Bernardone nato ad Assisi nel
1182 e battezzato col nome di Giovanni fu sempre chiamato Francesco?
Considerata però la poca
attendibilità delle fonti (che mescolano storia e leggenda) ci dovremmo anche
domandare: è proprio vero che fu battezzato come Giovanni e poi il nome fu
cambiato in Francesco oppure il nome fu da sempre Francesco ed è soltanto
un’invenzione “ex post” degli agiografi quella di dargli lo stesso nome del
Battista?
E’ necessario a questo punto aprire
una breve parentesi per far notare il forte collegamento tra i due santi (San
Giovanni Battista e San Francesco) che trova una conferma non solo nei quadri
in cui vengono raffigurati insieme, bensì anche nel fatto che entrambi vivevano
in povertà e che vestivano ruvide vesti.
Oltre a ciò, è utile analizzare
quanto scrive Tommaso da Celano, suo primo biografo, nel libro “Vita seconda di
San Francesco d’Assisi”:
“… Francesco ebbe questo nome dalla
divina Provvidenza, affinché per la sua originalità e novità si diffondesse più
facilmente in tutto il mondo la fama della sua missione. La madre lo aveva
chiamato Giovanni (…) quella donna presentava nella sua condotta, per così
dire, un segno visibile della sua virtù. Infatti, fu resa partecipe, come
privilegio, di una certa somiglianza con l’antica santa Elisabetta, sia per il
nome imposto al figlio, sia anche per lo spirito profetico (…) perciò il nome
di Giovanni conviene alla missione che poi svolse, quello invece di Francesco
alla sua fama (…) al di sopra della festa di ogni altro santo, (San Francesco
ndr) riteneva solennissima quella di Giovanni Battista (…) Tra i nati di donna non sorse alcuno maggiore di quello, e nessuno
più perfetto di questo tra i fondatori di Ordini religiosi. E’ una coincidenza
degna di essere sottolineata. Giovanni profetò chiuso ancora nel segreto
dell’utero materno, Francesco predisse il futuro da un carcere terreno, ignaro
ancora del piano divino”. E’ utile sapere che il Celano, nella sua “Vita prima
di San Francesco d’Assisi” (scritta qualche anno prima) non fa menzione alcuna
al fatto che la madre lo avesse battezzato col nome di Giovanni, così come più
tardi avverrà per la Legenda Maior
di San Bonaventura il quale inserirà questo fatto soltanto nello scritto
successivo: la Legenda
minor.
Chiudiamo questa parentesi nella
quale viene messa in luce la forte analogia attribuita ai due santi dagli
scritti agiografici e riprendiamo la nostra analisi.
In via preliminare, facciamo rilevare
che “Francesco” (che, come abbiamo già detto, nella lingua medioevale del luogo
significava “Francese”) era, in ogni caso, un nome a quel tempo raro ed insolito
(come pure ci suggerisce il Celano che addirittura lo definisce nuovo ed
originale) anche se il Fortini afferma che c’erano già stati alcuni “Francesco”
ad Assisi prima della nascita del Santo
(v.nota a pag. 38 del libro”La vie de Saint Francois d’Assise” – autore l’abbé
Omer Englebert -edizioni Albin Michel S.A. –Paris 1947 – All.englebert_2). A
conferma della rarità del nome si può notare che la storia è piena di
personaggi famosi che si chiamano Francesco (o Francois, Francisco, ecc…) ma
sono tutti nati dopo il 1200: non c’è nessun personaggio storico col nome
Francesco nato prima del Santo. Ciò non esclude che siano esistite persone di
nome Francesco già in precedenza, ma questo
accadeva di rado visto che, statisticamente, tale nome è fra i più frequenti
dopo il 13° secolo mentre è sconosciuto prima. In realtà, c’era un’area
geografica dove esso era relativamente diffuso già da prima, ma di questo
parleremo più avanti; per ora ci basti far notare che il suo uso era alquanto
circoscritto, altrimenti si sarebbero sicuramente conosciuti personaggi storici
con tale nome.
Ritornando a quanto affermato dalla
biografia ufficiale, cominciamo a smontarne i pezzi iniziando col dimostrare
che l’origine francese (inteso nel senso sopra indicato) della signora Pica non
ha alcun fondamento.
Innanzitutto facciamo notare che il cognome
Bourlemont fa riferimento ad una nobile famiglia che aveva i suoi possedimenti
nella Francia nord-orientale (il bosco di Bourlemont era quello in cui Giovanna
D’arco, più di due secoli dopo la nascita di San Francesco, ovvero intorno al
1425, sentiva “le voci”) quindi, era alquanto improbabile che Pietro l’avesse
potuta conoscere in Provenza (che si trova a sud). Inoltre, i primi scritti
sulla vita di San Francesco non dicono che la madre era francese; uno dei
principali assertori di tale origine è P.Claude Frassen, francescano, che lo
afferma nel suo libro”La règle du tiers-ordre de la Pènitence” scritto nel
1680. Questo sostiene addirittura di
aver visto, tra i documenti antichi della famiglia Bourlemont, un antico
manoscritto in cui risulta che Pica apparteneva a tale casata, ma non ha mai
prodotto tale documento quindi, come fa notare anche l’abbé Omer Englebert a
pagina 36 del suo libro”La vie de Saint Francois d’Assise” edizioni Albin
Michel S.A. –Paris 1947, l’asserzione è completamente fantasiosa. Qui di
seguito riportiamo il passo citato in cui, con riferimento al Frassen, egli
scrive: <>. Malheuresement, nul n’ayant jamais vu
de fameux manuscrit, on peut considérer l’assertion de Frassen et de ceux qui
la répètent comme entièrement fantaisiste.
(Pica - egli scrive - proviene
dall’illustre casata dei Bourlemont,
come risulta da un antico manoscritto conservato negli archivi di
questa nobilissima famiglia >>. Purtroppo,
non avendo nessuno mai visto il famoso
manoscritto, possiamo considerare l'affermazione di Frassen
e di coloro che la ripetono come del tutto fantasiosa).
Sul perché P.Claude Frassen abbia
voluto scrivere (ma possiamo anche dire “inventare”, visto che non mostra le
prove di ciò che afferma) non ci è dato sapere, ma forse ci può essere d’aiuto
il fatto che proprio nel 1680,
in Provenza, vescovo della diocesi di Fréjus-Toulon era,
guarda caso, Luis D’Anglure de Bourlémont, membro appunto di tale potente
famiglia, al quale avrebbe fatto sicuramente piacere scoprire che fra i suoi
avi c’era anche la madre di San Francesco.
Pica, quindi, non era provenzale e
ancor meno poteva essere (come una minoranza afferma) originaria della Picardia
poiché questa regione si trova al nord della Francia, quasi ai confini con
l’attuale Belgio.
Come sopra accennato, inoltre, non si
deve dimenticare che a quel tempo il territorio dell’attuale Francia era
chiamato Gallia e si iniziò a chiamarlo Francia in maniera ufficiale solo a
partire dal 1190, quando Filippo Augusto iniziò ad essere denominato, nei
documenti ufficiali, con la formula di rex
Franciae invece di rex Francorum
e nel 1190 San Francesco aveva già otto anni. Oltre a ciò, è difficile ipotizzare
che da quel momento in poi tutti improvvisamente abbiano iniziato a chiamarla
Francia, basti pensare che il nome Gallia resisterà ancora per quasi tutto il
medioevo negli scritti in latino e che nel greco moderno viene ancora chiamata
Gallia. E’ pertanto improbabile che si usi un soprannome facendo riferimento ad
un nome geografico ancora poco in uso.
Escluso quindi che la madre
provenisse dall’attuale Francia (al riguardo invito a leggere anche la nota n.4
a pag.36 del già citato libro di Englebert dove viene riportato un passo tratto
da “Studi inediti” di P.Sabatier in cui l’autore fa rilevare quanto segue: nell’affermare che Pietro di Bernardone, nel
voler chiamare suo figlio Francesco voleva onorare sua moglie che sarebbe stata
di origine francese, afferma una cosa che non è basata sulla benché minima
prova) prendiamo ora in esame altre incongruenze dell’ipotesi sopra
esposta.
Il padre, si afferma, nel suo lavoro
di mercante di stoffe si spingeva fino in Provenza, ma tale affermazione è
tutta da provare poiché non c’è nessun elemento che lo dimostri e, in mancanza
di prove, è probabile desumere che i viaggi all’estero fossero tipici dei
mercanti della costa (Pisa, Genova, Venezia, Amalfi, …) mentre quelli
dell’interno commerciassero, per lo più, tra il Tirreno e l’Adriatico, senza
escludere che potessero effettuare, a volte, lavorazioni sui prodotti e quindi
essere non soltanto puri mercanti.
Non si riesce inoltre a comprendere
come mai, se Pietro faceva tutti questi viaggi oltralpe, abbia smesso
improvvisamente di farli quando il figlio
era cresciuto e lo aiutava nel suo lavoro, visto che nessuna fonte
riporta di simili viaggi fatti da Francesco insieme al padre o da solo (si
parla soltanto di viaggi in Italia).
Possiamo quindi affermare, con
ragionevole certezza, che rapporti diretti tra il padre di San Francesco e la Gallia, ovvero l’attuale
Francia, erano estremamente improbabili.
Un’altra cosa che il buonsenso fa
giudicare poco probabile è il fatto che un genitore dia al figlio un soprannome
che faccia riferimento ad una località geografica che gli ha fatto fare buoni
affari: chi chiamerebbe oggi il proprio figlio Americano se fa buoni affari con
l’America o Russo se li fa con la
Russia?
Dopo aver smontato l’ipotesi espressa
all’inizio, resta però la domanda: perché, se il suo nome di battesimo era
Giovanni (ammesso che così fosse), tutti (inclusi i genitori) lo chiamavano
Francesco?
L’enigma appare a questo punto
irrisolvibile, ma lo è soltanto se non si mette in discussione la premessa
secondo cui, quando si parla di Francia, si intende sempre e soltanto quella
che attualmente viene così chiamata. In realtà, le aree geografiche prendono
spesso il nome di chi le abita, ad esempio: la Normandia deriva dai Normanni
che vi si erano stabiliti, l’Inghilterra dagli Angli che l’avevano occupata, la Scozia dagli Scoti che la
abitavano, … .
Una prima domanda che ci possiamo
porre è quindi: c’era nel medio evo un’area geografica in Italia che era
abitata in maniera consistente dai franchi?
La storia ci dice che l’area
dell’attuale Piceno marchigiano era caratterizzata da una forte presenza
franca. Ne resta una traccia addirittura nel nome stesso della regione che da
“Regio Picena”, con il franco Mark che significa Marca (il Markgraf in franco
era il Margravio o Conte della Marca, intesa quest’ultima come terra di
confine, in opposizione al Landgraf che era il Langravio o Conte territoriale,
ovvero di un territorio non di confine) è divenuta (essendoci nel territorio
più di una Marca) al plurale Marche.
La seconda domanda da porci è quindi:
tale presenza era talmente importante da far chiamare quell’area Francia?
Per rispondere a questa domanda è
utile analizzare alcuni scritti che, trattando di cose umbro-marchigiane, fanno
riferimento alla Francia.
Uno di questi è il capitolo 13° dei
“Fioretti di San Francesco” che parla del santo che, insieme ad un suo
confratello, dalla valle di Spoleto andavano a piedi nella “provincia di
Francia”, ad un certo punto del viaggio, decidono di cambiare itinerario e di
recarsi a Roma che raggiungono in poco tempo, quindi far ritorno nel luogo da
dove erano partiti. Dalla lettura di tale racconto, che vi invito a fare, si evincono
abbastanza chiaramente due cose:
1) che la “provincia di Francia” era un
luogo non lontano dall’Umbria
2) che, essendo denominata “provincia”
non si poteva certo riferire al territorio dell’attuale Francia, che anche a
quel tempo era una delle nazioni più grandi d’Europa.
Un’altra testimonianza della Francia
Picena è riportata nel sito web del Centro Studi Val di Chienti” in un articolo
(siete invitati a leggere anche questo) che analizza il passo del Telesforo
Benigni che nella sua opera “SANGINESIO ILLUSTRATA” (che tratta di questioni
alquanto locali, addirittura di una ristretta area del maceratese) riporta che
il detto, riferito alla guerra tra San Ginesio e Ripe vinta dal primo: “costa più che le Ripe a San Ginesio” in
Francia era notissimo. Questa Francia non poteva certo essere quella al di là
delle alpi.
Ulteriori indizi si possono ritrovare
negli studi fatti dal professor Febo Allevi (docente di Storia delle tradizioni
popolari e di Storia della critica letteraria all’Università di Macerata dal
1971 al 1981) considerato uno dei massimi conoscitori della storia del
territorio marchigiano.
Nel saggio “I Franchi e le tradizioni
epico-cavalleresche nella Marca” contenuto in “Tra storia leggende e poesia”
pubblicato postumo (nel 2005) sulla base di appunti che il professore aveva lasciato
(e che i curatori dell’opera hanno riordinato) si illustra, documentandola, la
forte presenza franca nel territorio Piceno già dalla fine del VII secolo e
l’utilizzo del nome “Francesco” quale nome proprio di persona. Oltre a questo,
troviamo quello di “Via Francesca” con il quale venivano chiamate ben due
strade, quello di “Val di Francia” (dalle parti di Cancelli nel Fabrianese) nonché
quello dato ad un tipo di moneta: “Solidos Franciscos” che si ritrova in
diversi documenti dell’alto medioevo e potremmo continuare ancora.
Ma quale fu la causa principale di
questa forte presenza franca?
La risposta la troviamo nella storia
dell’Abbazia Benedettina di Farfa che era ubicata nella Sabina, ma aveva grandi
possedimenti nel Piceno dove, per diversi anni a partire dalla fine del IX
secolo, i monaci addirittura trasferirono la loro sede (più esattamente a Santa
Vittoria in Matenano).
Ciò avvenne quando Farfa fu distrutta
ed incendiata dai saraceni e, a conferma del legame fra questa abbazia ed i
franchi, è interessante notare cosa viene riportato riguardo al gruppo di
monaci che non si diresse a Santa Vittoria, ma andò a Roma (fonte wikipedia): “Uno dei tre gruppi di monaci fuggiaschi, trovò riparo a
Roma. Restò traccia della presenza dei monaci nell'insula francese di Roma: nei
pressi della chiesa di San Luigi dei Francesi e nei luoghi che avevano ospitato
le Terme di Nerone furono ritrovate - durante i lavori di restauro dei
sotterranei di palazzo Madama, ad opera dell'amministrazione del Senato alla
fine degli anni Ottanta del XX secolo - tracce di un cimitero appartenente al
capitolo degli abati di Farfa”.
Nell’ Abbazia di Farfa, come è
documentato, quando fu riorganizzata a partire dalla fine del VII secolo, i
primi abati furono tutti di origine franca. Come riportato anche
dall’Enciclopedia Treccani on-line: I primi abati che si susseguirono al governo dell'abbazia erano
tutti originari dell'Aquitania, a quell'epoca in preda alle scorrerie arabe
provenienti dai territori del regno visigoto. È possibile che il cenobio
sabino, abitato fin dalle origini da monaci transalpini, sia diventato punto di
riferimento in Italia per i profughi, vittime delle incursioni musulmane; a
conferma di ciò le fonti attestano come gli abati Auneperto, Fulcoaldo,
Wandelperto e Alano, avvicendatisi al governo dell'abbazia dal 720 al 769,
appartenessero ad alcune tra le più importanti famiglie di Tolosa, che già da
alcuni decenni si erano stabilite nella regione sabina.
A riprova del radicamento dei franchi
in queste terre, inoltre, non si deve dimenticare il fatto che dal 891 al 898
presero il titolo di imperatore: prima Guido (della famiglia dei Guidoni,
collaterali dei Carolingi) duca di Spoleto e marchese di Camerino, poi suo
figlio Lamberto.
L’argomento è interessante e, in
questa sede, per i nostri fini è già stato trattato abbastanza, chi volesse fare
ulteriori approfondimenti può consultare l’opera sopra citata. E’ doveroso però
specificare che, così come indico tale testo utile per gli indizi che cercavamo,
allo stesso tempo, per rispetto del compianto professor Allevi, è necessario
sottolineare che, non avendolo pubblicato in vita, egli forse non riteneva
ancora pronto il lavoro preparatorio da lui sviluppato, si invita pertanto a
leggerlo senza cadere in interpretazioni superficiali e poco rispettose della
sua memoria. Quello che ci deve interessare, infatti, non è difendere
aprioristicamente una teoria o un’altra strumentalizzando i lavori altrui,
bensì progredire nella conoscenza.
Della Francia Picena, infine, ha
ampiamente parlato il Prof. Giovanni Carnevale nei suoi ormai numerosi libri.
Tali scritti non sono sintetizzabili in poche righe, quindi invitiamo a
leggerli anche perché spiegano come mai ci sia stata una vera e propria
“damnatio memoriae” per quanto riguarda la presenza franca nelle Marche.
Con la Francia situata nel Piceno
marchigiano, molte tessere del mosaico trovano la loro collocazione:
1) La signora Pica poteva a questo punto
essere anche francese (nel senso di Francia Picena)
2) Il padre di San Francesco commerciava
sicuramente con la Francia Picena
e qui avrebbe potuto conoscere sua moglie.
3) Si potrebbe ipotizzare che Giovanni
potesse, fin da piccolo, aver preso dalla mamma l’accento “francese”, usare
espressioni verbali tipiche di tale idioma ed avere comportamenti che, ad
Assisi, venivano associati ad una provenienza dalla Francia Picena, ma a mio
avviso ci sono altre due ipotesi che reputo più probabili e sono quelle che
vado ad illustrare nel punto successivo
4) Capita ancor oggi che si voglia dare
al proprio figlio il nome di un suo avo scomparso e capita altresì che, se
l’avo (o più in generale una persona cara) viene a mancare poco dopo che il
bimbo è stato battezzato, in famiglia si inizia a chiamarlo col nome della
persona defunta. Ora, se la signora Pica veniva dalla Francia Picena, poteva
avere un padre o un familiare (o una persona cara a lei o a suo marito) di nome
Francesco (nome che, come abbiamo visto, era diffuso in quella zona) che è
venuto a mancare poco dopo il battesimo di Giovanni ed a questo, da quel
momento, hanno iniziato a chiamarlo Francesco. Oppure, l’altra ipotesi è che,
vista la vicinanza ed il forte interscambio tra Assisi ed il Piceno, il nome Francesco
sia iniziato ad essere usato, ancorché non diffusamente, nella valle di Spoleto
ed il Santo sia stato sin dall’inizio battezzato col nome di Francesco (in
questo caso, la storia secondo cui fu battezzato col nome Giovanni sarebbe
un’invenzione fatta “ex post” dagli agiografi per rafforzare il collegamento con
il Battista).
Se non altro, per esclusione, sembrano
essere queste ultime due (e soprattutto l’ultima) le spiegazioni più probabili
perché, se si fosse trattato di un soprannome legato al comportamento o
all’accento, questo sarebbe stato dato in età almeno preadolescenziale e non
sarebbe riuscito a cancellare completamente il nome di battesimo, inoltre,
difficilmente un genitore chiamerebbe il proprio figlio con un soprannome
affibbiatogli da altri.
Riepilogando, quindi, risulta priva
di adeguato fondamento la tesi maggiormente accreditata, riguardo al perché del
nome Francesco mentre, le due ipotesi maggiormente probabili, si basano entrambe
sull’esistenza di una Francia Picena che era, se non l’unico, certamente uno
dei pochissimi territori in cui era
diffuso il nome Francesco.
Ciò, oltre a dare una risposta più
adeguata al quesito posto inizialmente (perché Francesco?) prova anche a
rompere quel muro di indifferenza e a volte di scherno che impedisce la
divulgazione di conoscenze storiche documentate che indicano nel Piceno
marchigiano il territorio in cui, perlomeno a partire dalla fine del VII
secolo, si assiste ad una forte presenza franca ed impedisce altresì che si
studi in maniera approfondita il contributo che tale presenza ha dato allo
sviluppo della dinastia Carolingia.
Detta in altri termini, quando si
studiano fenomeni o periodi storici difficili da comprendere anche per mancanza
di informazioni certe, spesso è necessario mettere in discussione le teorie comunemente
accettate per poter avanzare nella conoscenza.
Inoltre, nel caso in cui si formulino
delle ipotesi basate, in parte su prove certe ed in parte su indizi,
l’eventuale dimostrazione che gli indizi sono errati, non fa venir meno la
parte che si basa su prove certe; in altri termini: se si venisse a scoprire
con certezza un motivo diverso da quelli qui ipotizzati circa il nome di San
Francesco, ciò non fa assolutamente venir meno la veridicità delle prove
riguardanti la Francia Picena,
così come tale veridicità non sarebbe messa in discussione dall’eventuale
confutazione delle teorie riguardanti Aquisgrana in val di Chienti.
Sarebbe auspicabile che gli storici
di professione, invece di rifiutare in blocco tutta la teoria del professor
Carnevale, ripartano dalla base certa relativa alla presenza Franca nel Piceno
e sviluppino i loro studi per capire fino a che punto tale presenza contribuì all’ascesa
Carolingia.