nell'Alto Medioevo carolingio
fu la "Francia" delle origini
e la culla dell'Europa.
Pubblicato nel 2003
Esule ad aquas Grani, Carlo Martello si appropriò delle terre della diocesi di Pausulae e le distribuì in feudo ai Franchi profughi dall'Aquitania.
Fu l'arrivo dell'esule Carlo Martello ad aquas salvias o ad aquas Grani a causare la definitiva eclissi della diocesi di Pausulae e di altre contigue diocesi picene. Inconsciamente Plectrude era incorsa in un grave errore politico inviando Carlo Martello in esilio nel Piceno. Truppe islamiche erano da poco penetrate dalla Spagna nel sud della Gallia, e quando Carlo Martello giunse nel 714 ad aquas Grani, vi stavano già affluendo in massa Franchi in fuga dall'Aquitania, nella speranza che i franchi della Pentapoli, il conterraneo abate di Farfa e il farfense Marciano, divenuto vescovo di Fermo, potessero alleggerire ai profughi le sofferenze dell'esilio.
Carlo Martello si fece carico del disagio e del rancore dei profughi aquitani e stabilì rapporti di amicizia con Liutprando, re dei Longobardi dal 712. Per aiutare i profughi espropriò la Chiesa picena di terre da lei possedute, con un procedimento già largamente attuato dai suoi avi alla corte dei Merovingi, e le distribuì come feudi (NOTA 1) ai nuovi venuti. A soffrire di queste espropriazioni fu in particolare la diocesi di Pausulae che, già rarefatta in popolazione per gli eventi del passato, cessò di esistere. Assunto il controllo militare del territorio col favore di Liutprando e col supporto armato dei profughi, dopo un solo anno di esilio Carlo Martello rientrò in Gallia alla testa dei suoi fideles, per muovere guerra a Plectrude e riappropriarsi del potere che già era stato del padre Pipino di Héristal. I mariti in guerra lasciarono in Val di Chienti le proprie famiglie. Liutprando prese sotto la sua protezione come figlio adottivo Pipino il Breve, secondogenito di Carlo Martello e di Rotrude sua consorte, nato nel 715, e dunque ad aquas Grani. Il padre, in guerra in Gallia contro Plectrude, fu così liberato da ogni preoccupazione familiare e nel 717 costrinse Plectrude a consegnargli il tesoro reale.
L'entente cordiale di Liutprando con Carlo Martello rientrava nei suoi piani di strategia politica. Il duca di Spoleto era restio ad accettare la supremazia di Pavia e ricercava l'alleanza col ducato bizantino di Roma, ove era papa Gregorio II (715-731). I Franchi nuovi arrivati indebolivano il potere dei bizantini e costituivano una spina nel fianco per il duca di Spoleto.
Negli anni 737-738 Liutprando portò il suo esercito in Provenza per schierarsi a fianco dei Franchi contro i Saraceni, che già Carlo Martello aveva fermato a Poitiers nel 732. La gestione unitaria dei due eserciti contro i Saraceni, si rivelò difficile. In Gallia Carlo Martello si riteneva indipendente dall'autorità di Liutprando. Il re longobardo a sua volta si allarmò nel constatare che in Gallia Carlo Martello e i suoi fideles costituivano ormai un esercito nazionale, unitario, disciplinato, di pronto impiego e di eccezionale potenza. Una così formidabile macchina di guerra avrebbe potuto prendere ordini, nel futuro, da Aquisgrana, annidatasi nel cuore stesso dell'Italia longobarda, i cui re erano alla mercé dei duchi, dislocati in periferia.
NOTA
1. La prova che già Carlo Martello concesse in Aquisgrana villae in feudo ai propri fideles è data dal seguente passo di Thegan in cui si dice che ad Aquisgrana l'imperatore Ludovico il Pio cedette in possesso ereditario ai suoi fideles feudi pervenutigli in eredità dal bisnonno Carlo Martello, dal nonno Pipino e dal padre Carlo Magno: Inde revertens domnus imperator (Ludovico il Pio), venit Aquisgrani palatium ad sedem suam. In tantum largus, ut antea nec in antiquis libris nec modernis temporibus auditum est, ut villas regias, quae erant patris sui (Carlo Magno) et avi (Pipino) et tritavi (Carlo Martello), fidelibus suis tradidit eas in possessionem sempiternam. Thegan, Vita Hludovici imperatoris, ed G.H. Pertz, in: MGH, SS. II. Hannover 1829; rist. Stuttgart 1976, cap.19, pag. 594.
La Val di Chienti divenne "prima sedes Franciae"
Con la riorganizzazione del territorio attuata dai Franchi, la Val di Chienti si andò ripopolando e divenne Francia, terra dei Franchi, per l'afflusso e il proliferare dei profughi franchi, per il suo articolarsi in feudi franchi attuato da Carlo Martello, per l'impiantarsi di abbazie franche fondate nel Piceno dall'abate di Farfa. L'ampia piana della Val di Chienti si apriva sul mare amena, solatia, irrigua, fertile, con clima mite sia in inverno che in estate. Risalendo dalle spiagge dell'Adriatico alle alte vette dell'Appennino, il paesaggio si arricchiva del profilo scenografico di dolci colline. Tutto ciò contribuì a radicare nelle famiglie di Carlo e dei profughi un profondo rapporto affettivo col territorio, che giustifica l'appellativo di douce France -dolce Francia- della Chanson de Roland.
Nell‘Alto Medioevo, l‘attuale Francia era ancora Gallia, ma sui documenti ci si imbatte spesso anche nel termine „Francia“. L‘equivoco di Aachen ha fatto interpretare tale termine come sinonimo di Gallia, ma poiché una tale interpretazione è a volte improponibile, si è in genere sostenuto che gli scrittori dell’epoca adoperassero il termine in modo non univoco (NOTA 2) . Questo può anche valere dal trattato di Verdun (843) in poi, quando l‘Impero creato da Carlo Magno fu scisso in tre regni franchi dai figli di Ludovico il Pio: ad est la Germania, ad ovest la Gallia e intermedia fra le due la Lotaringia, che partendo da Roma e Aquisgrana, conglobava l‘Italia longobarda, e si incuneava al di là delle Alpi tra gli altri due regni (NOTA 3) .
Agnello, nato in Ravenna verso l‘805, scrive che nel 801 (NOTA 4) Carlo Magno fece trasportare da Ravenna ad Aquisgrana, in Francia, la statua equestre in bronzo di Teodorico. Dal contesto risulta implicitamente che sia Aquisgrana che la Francia erano lungo l‘Adriatico. Riferisce infatti la seguente curiosità: nella pancia del cavallo nidificavano uccelli che uscivano dalle narici bucate e dalla bocca, qui non credit, sumat Franciae iter, eum aspiciat! Chi non ci crede, imbocchi la strada di Francia e vada a vederlo!(NOTA 5) . La Francia era contigua alla Pentapoli bizantina e per raggiungerla da Ravenna bastava imboccare a Rimini la via Flaminia. È anche inverosimile che il cavallo fosse stato trasportato ad Aachen. Vi erano le Alpi di mezzo, la Germania era ancora priva di vere strade, e le difficoltà per il trasporto sarebbero state gigantesche. Non altrettanto, con un trasporto via mare da Ravenna ad Aquisgrana, in Francia.
Sappiamo da Notker che Carlo Magno, nel ricevere a corte un’ambasceria bizantina, si lasciò sfuggire che se non ci fosse stato “quello stagno” a separarlo da Bisanzio, avrebbe potuto mettere le mani sulle ricchezze dell’Oriente: O ! utinam non esset ille gurgitulus inter nos; forsitan divitias orientales aut partiremur, aut pariter participando communiter haberemus (NOTA 6). La frase avrebbe senso solo se pronunciata da Aquisgrana col braccio teso a indicare l’Adriatico.
Notker riferisce anche che Carlo Magno rifornì di frumento, vino e olio ambasciatori venuti dalla Libia a chiedere soccorsi alimentari, per fronteggiare l‘endemica carestia di cui il paese soffriva, e continuò per il resto della vita a inviare loro questi prodotti alimentari, ricevendone in cambio tributi (NOTA7) . A me pare assurdo che si mandino navi dalla Libia a caricare olio, vino e frumento in un porto sul mare del nord, e il regolare invio in Libia di prodotti agricoli mediterranei è concepibile solo se attuato all‘interno del Mediterraneo.
Nitardo, nato sul finire del sec.VIII, morto nel 844, l'anno dopo il trattato di Verdun (843), scrive che Aquisgrana era stata sedes prima Franciae (NOTA 8) , e Notker, riconoscendo che si era ormai generalizzato un uso non più univoco del termine "Francia", precisa, nella sua biografia di Carlo Magno, che col termine Francia egli fa riferimento ai soli Franchi d‘Italia, Franciam vero interdum cum nominavero, omnes cisalpinas provincias significo (NOTA 9) e chiarisce le ragioni di questa sua scelta: ai tempi di Carlo Magno, Galli et Aquitani, Aedui et Hispani, Alamanni et Baioarii si sentivano gratificati se solo potevano fregiarsi del titolo di servi dei Franchi! È lo sfogo amaro di chi aveva conosciuto gli splendori di Aquisgrana nella Francia delle origini e non riusciva a „digerire“ le conseguenze del trattato di Verdun.
Ancora dopo il Mille la tradizione popolare italiana continuava a chiamare Francia il Piceno: la madre di San Francesco (1181-1226) veniva dalla Francia, Bernardone andava spesso da Assisi in Francia per vendervi stoffe, per ragioni di commercio vi inviava spesso il figlio Francesco(NOTA 10) il quale era in grado di esprimersi in "francese" senza avere mai attraversato le Alpi. Particolarmente significativo a questo proposito è il contenuto di un episodio dei Fioretti, il XIII, in cui si narra che San Francesco si recò con Frate Masseo a Roma, in Francia, e andò a pregare nella chiesa di San Pietro. Ne cito i brani più significativi: Francesco con frate Masseo per compagno, prese il cammino verso la provincia di Francia. E pervenendo un dì a una villa assai affamati, andarono, secondo la Regola, mendicando del pane per l' amor di Dio…Fatta orazione e presa la refezione corporale di questi pezzi di pane e di quella acqua, si levarono per camminare in Francia…Giunsono a Roma ed entrarono nella chiesa di santo Pietro, e santo Francesco si puose in orazione. Il Fioretto si conclude raccontando che san Francesco in Francia, in San Pietro (NOTA 11) , fu assicurato dagli apostoli Pietro e Paolo che Dio concedeva a lui e ai suoi seguaci il tesoro della santissima povertà. Dopo di che pieni di letizia determinarono di tornare nella valle di Spulito, lasciando l'andare in Francia" (NOTA 12) . È evidente che si tratta della Francia e della Roma (NOTA 13) picene, testimoni, con i loro recenti, eloquenti ruderi, che tutto è vanitas vanitatum. Dall'implicito confronto tra la povertà evangelica e 'Roma' in Francia, già Urbs aurea in comitatu Camerino(NOTA 14) , ora in rovina, derivava che tesoro indistruttibile era la povertà francescana (NOTA 15).
NOTE
2- Va anche messo in conto che dopo il sec. XII gli amanuensi, nel copiare antichi codici, li alterarono in buona fede con interpolazioni e correzioni, pensando che ciò che riguardava Aquisgrana fosse da ambientare al di là delle Alpi. (Vedine un probabile esempio al cap. VIII).
3- Si chiamò Lotaringia perché riservata a Lotario, primogenito di Ludovico il Pio e imperatore. Con Carlo Magno e fino ai primi trent'anni di regno di Ludovico il Pio, la gestione dell‘impero carolingio era stata unitaria e suo unico centro amministrativo e politico era stato il Palatium ad aquas Grani. Il territorio era anche idoneo e attrezzato a farvi svernare truppe franche. In Francia, ad ogni primavera l'esercito si concentrava nel Campo Maggio, prima di recarsi in Sassonia per affrontarvi le usuali campagne estive, o per altre spedizioni di guerra. Ancor oggi, nella bassa Val di Chienti, una vasta pianura è chiamata 'Campo Maggio'.
4- A Natale del 800 Carlo Magno era stato incoronato imperatore a Roma. Nel 801, a febbraio, rilasciò in Aquisgrana un documento alll’abate di Farfa. Avrebbe quindi varcato le Alpi nel cuore dell'inverno e, sempre in inverno, le avrebbe rivarcate a marce forzate, perché negli Annales Regni Francorum a Pasqua è documentata la sua presenza a Roma, nell’aprile a Spoleto e subito dopo a Ravenna e Pavia.. Evidentemente non era uscito dall’Italia. Vedi: Giorgi e .Balzani , Il Regesto di Farfa compilato da Gregorio di Catino. Vol. II, nota 1, pag. 225.5-
5- Agnelli Liber pontificalis ecclesiae Ravennatis, MGH, Scriptores rerum langobardicarum et italicarum (saec. VI-IX), ed.Societas aperiendis fontibus rerum germanicarum Medii Aevi, Hannover 1878, rist.1964, cap.94, p. 338.
6- Notker Balbulus, Gesta Karoli Magni Imperatoris, I, 26, p. 743.
7- Liberalissimus Karolus Libicos iugi penuria confectos, Europae divitiis, frumento videlicet, vino et oleo, non solum tunc, sed et omni tempore vitae suae remunerans, et larga manu sustentans, subiectos sibi atque fideles in perpetuum retentavit, et ab eis non vilia tributa suscepit. Notker Balbulus II, 9, p.752.
8- Nithardi historiarum libri IV, MGH, SS. IV,1. Ed. Philippe Lauer, p. 668.
9- Notker, Gesta Karoli Magni Imperatoris, ed. Hans Haefele, Berlin 1959. Rist. 1962 MGH SS. I, 10, p.735.
10- Fonti Francescane. Editrici Francescane, Padova-Assisi 1980, p.1956.
11- A Corridonia (già Mons Ulmi, Montolmo) c'è una chiesa dedicata a S.Pietro, di antichissime origini, ma demolita e ricostruita nel 1750. Una tradizione assicura che vi pregò san Francesco e vi si conservano due mattoni su cui si sarebbe inginocchiato il santo. È probabilmente quella che Pipino, verso il 750, aveva fatto costruire da monaci di Stablo, dedicata a San Pietro. In essa, nel 754 papa Stefano II lo aveva unto di sua mano re dei Franchi, insieme alla consorte Berta e ai figli.
12- Fonti Francescane. Editrici Francescane, Padova-Assisi 1980, cap. XIII dei Fioretti, a pag. 892.
13- Per la nuova Roma carolingia vedi Vedi in Archeopiceno, 31/32, numero doppio, anno VIII, l'articolo alle pp. 7-9: G.Carnevale, Carlo Magno fece sorgere in Val di Chienti una "nuova Roma". Ed. Fotochrom, Fermo, Luglio-settembre 2000.
14- D.Pacini, I Ministeria nel territorio di Fermo, Centro di studi storici maceratesi, Macerata 1976, pag. 134.
15- Fu un marchigiano di Montegiorgio, Ugolino, a stendere in latino la prima redazione dei Fioretti, col titolo di Actus beati Francisci et sociorum eius, in Fontes Franciscani, a cura di E.Menestò et alii, ed. Porziuncola, Assisi, 1995. Anche Dante ricavò dalle rovine di 'Roma' un messaggio, non di natura religioso: perché meravigliarsi se nel recente passato grandi famiglie fiorentine si erano dissolte nel nulla? Se tu riguardi Luni ed Urbisaglia come son ite…non ti parrà cosa nova né forte, poscia che le cittadi fine hanno. (Par. XVI). Come se dicesse:" Nella Lunigiana e nel Piceno si sono addirittura dissolte nel nulla due intere città". Dante non allude a Urbs Salvia romana. L‘abbinamento di Urbisaglia è fatto con Luni, una città che aveva avuto recentemente un identico tragico destino di ascesa e di morte, lo stesso che „di retro ad esse“ si stava abbattendo su Chiusi e Senigallia. La chiama „Urbisaglia“ perché il termine 'Roma' era ormai geograficamente equivoco, politicamente compromettente. Il guelfismo aveva ormai sostituito l‘antico nome 'Roma' con Urbs Salvia, né Dante aveva obiezioni da fare. Non era mai stato un „ghibellin fuggiasco“, come lo definì il Foscolo nei Sepolcri, ma un guelfo bianco di Firenze, quindi alieno dal favorire rivendicazioni territoriali dell‘Impero in Italia.
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