G I O V A N N I CARNEVALE
La scoperta di
AQUISGRANA
in VAL DI
CHIENTI
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IL TERMINE PALATIUM
INDICA L’AREA DEL POTERE DI AQUISGRANA. IL PALATIUM
ERA NEL PICENO.
Eginardo e Claudio di Torino usano, come si è visto, il solo termine di Palatium per indicare il Palazzo di Aquisgrana.
Il Palatium lo troviamo, localizzato nel
Fermano, in un documento del 787
redatto per ordine di Hildeprand, duca di Spoleto. (14) Il
documento fa anche riferimento
a Guarino, genero di Hildeprand e conte dello stesso Palatium,
cosicché
questo Palatium nel Fermano ha tutti i
requisiti per essere Aquisgrana, ubi regis
comitatus erat. (15) Un conte di Palazzo poteva
infatti esserci solo ad Aquisgrana.
La presenza del Palatium nel Fermano
comporta un massiccio insediamento di
Franchi nel Piceno. Che ceppi di popolazione franca
abitassero nel Piceno è
indubbio, perché ancora dopo il Mille, nei contratti locali
o nelle disposizioni
testamentarie si specificava a quale legislazione i traenti
intendessero attenersi, se
alla franca, o alla longobarda, o alla romana. Non si è però
mai indagato né sull’origine
né sulla consistenza di tali insediamenti.
Ciò premesso, do in traduzione il documento che la
cancelleria del Palatium
redasse nel 787 per volontà di Hildeprand, duca
di Spoleto.
In nome del Signore Dio Gesù Cristo nostro Salvatore.
Regnando i signori nostri Carlo e Pipino suo figlio,
re dei Franchi e dei
Longobardi e patrizio dei Romani, nell’anno del loro
regno in Italia per grazia di
Dio XIV e VI.
In nome di Dio Onnipotente io Hildeprand, glorioso e
sommo duca del Ducato
di Spoleto.
Sono noti i fatti per cui Rabenno, figlio del conte
Rabenno della città di
Fermo, prese in moglie Haleruna che Hermifrid per
diabolica ispirazione rapì con
violenza e sposò. In seguito a ciò Rabenno denunciò il
fatto qui “in Palatio” e
successivamente si celebrò il processo a carico dello
stesso Hermifrid. Secondo la
legge longobarda ambedue furono
consegnati nelle mani di Rabenno. Poi Rabenno
di sua volontà fece loro dono della vita e alla sua
presenza fece indossare ad
Haleruna l’abito di monaca e la fece consacrare da un
sacerdote. E pur essendo
stato fatto tutto ciò, dopo se la riprese di nuovo in
moglie. Di conseguenza tutti i
possedimenti della stessa Haleruna divennero di proprietà
pubblica, secondo la
legge. Perdonò ugualmente ogni colpa allo stesso
Hermifrid e lo restituì spontaneamente
a suo padre Spentone in seguito a “launigildo”. Dopo
però, poiché stavano
di nuovo per cadere in peccato, lo stesso Rabenno lo
uccise di sua mano. Perciò, in
base alle disposizioni di legge riportate dall’editto, il
predetto Rabenno fu cacciato
da tutti i suoi possedimenti e la metà di essi divenne di
dominio pubblico.
Perciò noi, suddetto glorioso e sommo duca, a nome dei
suddetti re nostri
signori e nostro, doniamo e concediamo al Monastero di
Santa Maria Madre di
Dio sito nella Sabina, nel luogo denominato Acuziano,
dove lo stesso Rabenno si
è volontariamente fatto monaco, ossia a te,
reverendissimo Altpert, abate santissimo,
nostro oratore, e a tutti i monaci dello stesso santo Monastero,
tutta la suddetta
proprietà di costoro, quale è stata secondo diritto e
ragione devoluta alla
proprietà pubblica, cioè le case, le terre, le vigne, i
prati, le selve, i saliceti, gli
alberi fruttiferi e infruttiferi, i campi coltivati e
incolti, i servi e le serve, i beni
mobili e immobili, tutto in blocco quale è divenuto di
proprietà pubblica per diritto
e per ragione secondo la legge, e quale essi stessi prima
avevano posseduto a
buon diritto, tutto insomma concediamo in possesso del
detto Monastero. Perciò a
partire da oggi resti saldo e stabile possesso del detto
Monastero e dei suoi abati
e non venga mai rivendicato da nessuno, conte, gastaldo o
nostro “actore”. Io
Halifred diacono e notaio ho scritto ciò per ordine della
suddetta autorità.
Rilasciato “in Palatio” per ordine di
Spoleto nell’anno XIV della nostra elezione
a duca in nome di Dio, nel mese di agosto, indizione X.
Sotto il conte Guarino, nostro genero.
Il documento offre lo spunto per varie riflessioni:
** Carlo Magno nell’agosto del 787 era impegnato in Baviera
contro il ribelle
duca Tassilone, ma dal documento risulta che in sua assenza
Hildeprand aveva o si
arrogava il diritto di inviare da Spoleto ordini alla
cancelleria del Palatium nel
Fermano, cui presiedeva un Conte di Palazzo. Hildeprand
insomma agiva in nome
di Carlo Magno stesso. Il riconoscimento della carica di
Guarino (sub Guarino
comite genero nostro) è quasi solo un atto di
cortesia del suocero nei confronti del
genero. Eppure i procedimenti giudiziari rientravano nelle
competenze del conte
di Palazzo. Eginardo al c. 24 riferisce che Carlo Magno se,
mentre si vestiva, il
Conte di Palazzo gli riferiva che c’era una lite che non
poteva essere risolta senza
una sua decisione, faceva subito introdurre i litiganti e
pronunciava la sentenza.
Evidentemente, di fronte alla personalità e all’invadenza
del suocero, il genero
lasciava fare.
** I Rabenno senior e junior erano conti di Fermo, ma
Hildeprand li liquida con
uno sbrigativo filius cuiusdam Rabennonis comitis
civitatis firmanae. Evidentemente
i conti Rabenno erano nobili longobardi senza più potere.
A Rabenno
junior Hermifrid aveva potuto rapire la moglie; Hildeprand,
in nome di Carlo
Magno, gli aveva sottratto metà dei beni e tutti quelli
della moglie, fino a spingerlo
a trovar rifugio, come monaco, nell’abbazia di Farfa. Per il
longobardo Rabenno
era stato senz’altro un’umiliazione e un errore aver
chiesto ai Franchi del Palatium
che contro Hermifrid si istruisse un processo secundum
legem longobardorum.
** Nel Palatium era attiva una
cancelleria tanto qualificata che Hildeprand
attraverso essa poté fare, in nome di Carlo Magno, ciò che
da Spoleto non avrebbe
potuto fare. Era cioè la cancelleria del Regno.
** Il documento la dice lunga sull’arroganza dei metodi con
cui i Franchi si
andavano impadronendo del territorio fermano a danno dei
Longobardi. Forse per
reazione a tutto ciò il longobardo Paolo Diacono maestro
nella scuola palatina di
Aquisgrana fino al 787, dopo tale anno non volle più restare
ad Aquisgrana, ma se
ne andò a Montecassino.
** La cancelleria del Palatium, dopo
aver redatto il diploma per ordine di
Hildeprand, in chiusura, quasi a scanso di responsabilità,
ci tiene a precisare che il
documento era stato redatto ex iussione
suprascriptae potestatis, cui evidentemente
non si poteva dire di no. Come se non bastasse si aggiunge
che è stato redatto
In Palatio ma per ordine di
Spoleto, iussione Spoleti.
** Il tribunale del Palatium è il
tribunale di suprema istanza del Regno. Non
dipende da Fermo perché ne giudica i conti e non dipende da
Spoleto perché la
stessa Spoleto deve far ricorso al Palatium per
rendere esecutivo in nome dei re
Carlo e Pipino un provvedimento preso dal duca.
** Indubbiamente Hildeprand aveva calcato pesantemente la
mano nei confronti
dei Rabenno di Fermo e questo poteva aver suscitato
resistenze locali e perplessità
sull’effettiva validità giuridica del documento rilasciato
su pressioni del duca
di Spoleto, ma In Palatio e a nome dei re
Carlo e Pipino. Trovo infatti anomalo
che Carlo, sette mesi dopo, abbia dovuto emettere un secondo
documento, sulla
falsariga del primo, a integrazione dell’opera di
Hildeprand. Il beneficiario abate
Altpert nel proprio interesse, ma anche la cancelleria del
Regno, a scanso di
responsabilità, si rivolsero a Carlo, perché al
provvedimento di Hildeprand venisse
riconosciuta indiscussa validità giuridica. E Carlo, da buon
diplomatico, per arginare
la debordante invadenza di Hildeprand e precludergli un
ulteriore uso personalistico
della cancelleria del Palatium non
ne riconobbe esplicitamente la validità
giuridica ma emise un nuovo diploma identico al primo nella
sostanza, per cui
l’abbazia di Farfa entrò in possesso dei beni di Rabenno per
diretto conferimento
di Carlo Magno. Così facendo Carlo Magno riconobbe che il
processo contro
Rabenno e Haleruna si era svolto legalmente, nel rispetto
del diritto longobardo,
ma non riconobbe la validità del documento “estorto” da
Hildeprand alla cancelleria
del Regno.
Do in traduzione il nuovo documento emesso direttamente da
Carlo Magno,
pratica dichiarazione di nullità giuridica del primo, anche
se ne ripete pressoché
alla lettera i contenuti. (16)
Carlo per grazia di Dio Re dei Franchi e dei Longobardi e
Patrizio dei Romani.
Tutto ciò che per amore di Nostro Signore Gesù Cristo
cediamo e doniamo ai
luoghi dei venerabili santi, riteniamo che in nome di Dio
abbia pertinenza con la
prosperità e la stabilità del nostro regno.
Sia perciò noto a tutti i nostri fedeli presenti e futuri
che il venerando Abate
Altpert e i monaci del Monastero di Santa Maria Madre di
Dio e sempre Vergine,
che è situato nel luogo chiamato Acuziano, nella Sabina,
hanno richiesto alla clemenza
del nostro regno alcuni beni che il duca Hildeprand,
nostro fedele, ha
requisito o acquisito in seguito a processo, da un uomo
di nome Rabenno e da sua
moglie Haleruna in base all’editto dei Longobardi, a
causa di alcuni atti illeciti
da essi perpetrati, e cioè la metà di tutto il patrimonio
del suddetto Rabenno e per
intero la proprietà di Haleruna: che tutto quel che
possedevano nella città di
Fermo o nel suo territorio lo donassimo in elemosina o lo
confermassimo al detto
Monastero di Santa Maria. Come a ciascuno dei nostri
fedeli che presentano giuste
richieste, non abbiamo voluto dire di no alle loro
richieste. Ordiniamo perciò e
comandiamo, che tutto ciò che il ricordato duca
Hildeprand acquisì a giusto titolo,
secondo la legge, dal predetto Rabenno e da sua moglie
Haleruna, sia in terre,
case, edifici, campi, selve, prati, pascoli, acque e
corsi d’acqua, sia in vigne, alberi
fruttiferi e infruttiferi, luoghi colti e incolti, beni
mobili e immobili, servi e
serve, tutto e in tutto lo tengano e lo posseggano per
sempre, per conto del suddetto
monastero di Santa Maria, il prefato e venerabile abate
Aldepert e i suoi
successori che saranno rettori del suddetto monastero, in
virtù di quest’ordine,
come dono di sostegno da parte della serenità nostra. Se
ne servano per l’illuminazione
della chiesa e il mantenimento dei monaci che ivi servono
a Dio, per
sempre, come elemosina nostra e della consorte e dei
nostri figli. Perché questo
documento abbia più valore e sia meglio conservato nei
tempi futuri, lo abbiamo
sottoscritto di propria mano e lo abbiamo fatto sigillare
col nostro anello. Firma
del gloriosissimo Carlo. Hercambald in sostituzione di
Radone.
Rilasciato il 28 marzo negli anni XX e XIV del nostro
regno. Redatto a
Ghilinheim nella nostra “villa”. In nome di Dio,
felicemente.
Per concludere, il Palatium di Aquisgrana
sul territorio di Fermo non può essere
fantomatico, anche perché possibili resti del Palatium sono
già emersi dal sottosuolo
nelle immediate vicinanze di San Claudio al Chienti.