mercoledì 13 novembre 2024

Tante chiacchiere ma hanno trovato solo qualcosa costruito dai romani. Nulla di più!

 

questo è il sito da dove sono prese le seguenti informazioni:

             http://www.ulis-nachschlag.de/2020/20200215_schaub-andreas.php



Il profano vede solo pietre e macerie. L'archeologo della città Andreas Schaub con un taglio profondo circa un metro, che è stato messo in sicurezza nel 2011 durante gli scavi sotto il vestibolo della cattedrale di Aquisgrana. La sezione mostra più di 500 anni di storia degli insediamenti di Aquisgrana, dal basso verso l'alto (1) il terreno coltivato dal Neolitico ai primi Romani, (2) l'"orizzonte romano di calpestio", cioè la pianura su cui camminò il primo Öcher. Lo strato (3) è il primo manto stradale romano intervallato da massi di selce. Il livello (4) è stato creato in connessione con la costruzione delle Münsterthermen. Contiene un gran numero di schegge di grovacca che sono state create quando le pietre sono state tagliate. Nello strato (5) c'è un sacco di scarto di mattoni. Le tracce di grovacca nello strato (6) suggeriscono che in questo periodo fossero in corso importanti lavori di ristrutturazione delle terme, forse anche ampliamenti. Il livello (7) contiene nuovamente rifiuti edili. Il livello (8) ha una composizione simile a (3). Dalla costruzione della prima strada (3), erano stati lasciati in giro e ricostruiti così tanti rifiuti urbani che è stato necessario aumentare il livello della strada. Infine, lo strato (9) contiene le macerie di demolizione delle terme della cattedrale, che furono abbandonate alla fine del IV/inizio del V secolo. Al suo posto, Carlo Magno pose la prima pietra della sua chiesa di Santa Maria, l'ottagono della cattedrale di Aquisgrana, nel 795. (Se vuoi visualizzare l'immagine senza numeri che distraggono, sposta semplicemente il mouse al suo interno. Per gli utenti di iPad: toccando l'immagine si fanno scomparire i numeri, toccando all'esterno si fanno scomparire.) Foto: Ulrich Simons

 

Febbraio 15, 2020

L'archeologo della città Andreas Schaub:
Mi sarebbe piaciuto averlo nella storia

Vivere l'uomo è un colpo di fortuna per chiunque sia interessato alla storia. L'archeologo cittadino Andreas Schaub non solo ha una conoscenza quasi inesauribile, soprattutto sui Celti e sui Romani, ma anche il raro dono di essere in grado di trasmettere questo ricco tesoro di conoscenze in un modo così emozionante e divertente che viene voglia di ascoltarlo per ore.

Se avete mai letto l'annuncio di una conferenza pubblica (di storia) con lui: andateci! L'argomento non ha importanza: l'uomo è semplicemente buono.

L'ho incontrato in una fredda mattina di inizio dicembre in una fossa di costruzione in Lothringer Straße, dove il Regionetz si era imbattuto nei resti di un vecchio tubo dell'acqua romano a una profondità di circa tre o quattro metri. Almeno sulle parti che all'epoca non erano in legno.

I romani non erano solo brutali attaccabrighe con armature sferraglianti. Sulla loro scia hanno avuto, tra le altre cose, architetti e ingegneri che hanno portato qualcosa di simile alla "civiltà" nei territori conquistati in molte aree. E poiché le vecchie pietre laggiù nel buco in Lothringerstraße non potevano più raccontare la loro storia, Andreas Schaub lo fece.

Il pezzo di canale apparteneva a un tubo dell'acqua che terminava in un collettore all'incirca dove oggi si trova l'Elisabethhalle. Tra le altre cose, l'acqua (fredda) veniva utilizzata per raffreddare l'acqua calda fino a 70 gradi delle sorgenti termali nell'antico quartiere balneare del Duomo e di Büchel a temperature piacevoli per il bagno.

Il "refrigerante" proveniva dal Wurm, che proveniva da Diepenbenden sul lato dell'odierna Wilhelmstraße di fronte alla città e scorreva all'incirca nella zona di Bachstraße. I Romani l'avevano sfruttata e convogliata parte della sua acqua verso l'odierna Elisenbrunnen.

Gli altri corsi d'acqua, come Pau o Johannisbach, ha detto Andreas Schaub, svolgevano in parte altre funzioni nell'antichità. "Il Johannisbach", l'archeologo della città stupì i suoi ascoltatori, "era largo fino a cinque metri in alcuni punti ed era quasi certamente navigato da chiatte pesanti a fondo piatto".


mercoledì 23 ottobre 2024

DOVE E’ AQUISGRANA?

                                           LO INDICA IL CAPITULARE DE VILLIS

            “Capitulare” È un termine carolingio che indica le prescrizioni di una legge.
La legge o “Capitulare” che vogliamo prendere in considerazione è definita: “De Villis vel Curtis Imperii”
. Essa è stata emanata intorno all’anno 770; indica quali sono le proprietà della famiglia di Carlo Magno, inoltre ordina che queste  siano preservate e mantenute esclusivamente per il sostentamento della famiglia reale.
            Il “Capitulare de Villis” descrive in modo dettagliato l'organizzazione dell’Ager di proprietà di Carlo Magno, ne sottolinea la struttura che si presenta in forma piramidale con “Ministeria”,Curtis” e “Villae”. Specifica in modo dettagliato ed esaustivo ciò che deve essere prodotto ed allevato in ciascun “Ministerium”: vengono elencati i prodotti da coltivare e quali animali devono essere allevati, specificandone anche il numero da mantenere sempre nelle stalle.

         Il “Capitulare” è così dettagliato da ordinare di rendere piacevoli ed eleganti i cortili delle “Villae” con la presenza di pavoni, fagiani ed altri animali incantevoli.
La gestione del “Ministerium” è affidata ad un  “Judex”, che deve esercitare sia il potere amministrativo che giudiziario,nominato direttamente da Carlo Magno.
Agli iudices competevano anche altri doveri: dovevano servire a turno nel Palazzo e potevano essere incaricati di ambascerie o partecipare a spedizioni militari. Erano evidentemente i grandi del regno, legati al re da un giuramento di fedeltà.


            Il “Capitulare de Villis” ha sempre destato, da parte degli storici, grande interesse e anche tanta confusione a causa dell’elenco dei prodotti che devono essere coltivati nei “Ministeria”. L’identificazione di Aachen con Aquisgrana e quindi la sua ubicazione nel nord Europa ha disorientato gli storiografi, i quali basandosi sulla coltivabilità dei prodotti descritti nella legge, considerando che questi nella quasi totalità possono essere coltivati esclusivamente nell’area del Mediterraneo, non sono in grado di definire dove venivano coltivati i prodotti elencati. Il “Capitulare” afferma che solo Carlo Magno o in sua assenza la sua consorte ha il potere di dare ordini in tutto l’Ager.

            Il nostro interesse è rivolto non solo alla individuazione dell’ubicazione nella quale devono essere realizzate le colture descritte nella legge, ma principalmente all’approfondimento e all’analisi della struttura del’Ager descritta nel “Capitulare”. 

Dall’analisi del documento  ricaviamo  importanti considerazioni:

-      L’Ager di proprietà di Carlo Magno, per la tipologia di ciò che nello stesso deve essere coltivato,  è ubicato nell’area del Mediterraneo.

-      Aquisgrana  con il suo “Palatium”, cioè la sua area di potere, analizzando i dettagli delle attività in esso svolte, risulta  ubicata all’interno dell’Ager e quindi anche Aquisgrana è ubicata  nell’area del Mediterraneo.

-      Dall’analisi dei documenti dell'alto Medioevo a noi pervenuti, risulta che fino nel XI e XII secolo, solamente in quelli relativi ad avvenimenti del Maceratese  e dell’Ascolano è indicata la presenza dei  “Ministeria”, “Curtis” e “Villae”, cioè la ripartizione del territorio di Aquisgrana descritto nel “Capitulare de Villis”.

            Ribadiamo che del “Capitulare de Villis” solo la tipologia dei prodotti agricoli elencati nella legge, ha sempre interessato gli storici. Questi, avendo ubicato Aquisgrana, intesa come Aachen, nel nord della Germania, hanno avuto grande difficoltà nell’individuare i luoghi del “Capitulare”.  Poiché la collocazione di questa proprietà di Carlo Magno è strettamente legata alla collocazione di Aquisgrana, ma ad Aachen alcune colture erano impraticabili, gli storici hanno considerato Aquisgrana  una capitale diffusa presenziata da una Corte itinerante.

            Riteniamo quindi che il “Capitulare de Villis” non sia stato analizzato mai dagli storici nella sua completezza, lo abbiamo riletto, ponendo l’attenzione sulla funzione fondamentale della  organizzazione dell’Ager con i suoi dei vari “Ministeria”, che è rivolta esclusivamente al sostentamento della famiglia allargata del Re ed alla produzione e conservazione di derrate alimentari fondamentali per il sostegno delle campagne militari che venivano sostenute tutte le estati.

            Il numero dei capi di bestiame l’abbondanza dei vari prodotti agricoli coltivati denotano un  diffuso benessere e soprattutto una grande disponibilità di vettovaglie, da utilizzare nelle continue azioni militari.  L’efficienza della organizzazione militare la riscontriamo anche dalle prescrizioni per costruire i carri per il trasporto delle vettovaglie, che devono essere leggeri ed impermeabili per attraversare indenni i corsi d'acqua, senza arrecare danni alle derrate trasportate.
            Il   “Capitulare” definisce chiaramente che L’Ager”, o “Latifondo”: descrive un territorio sufficientemente circoscritto, come si evince dal fatto che, in caso di conflittualità fra cittadini o tra cittadino e autorità o quando il cittadino deve essere richiamato per un cattivo comportamento deve recarsi digiuno a piedi dal Re. Questo testimonia che l’Ager è un’area ben definita e circoscritta.

            Ogni “Ministerium” è anche gestito da un judex, il quale  è un uomo di stretta fiducia di Carlo Magno a cui il re affida la gestione sia amministrativa che legale del Ministerium. Ciò ci conferma che con Carlo Magno non vi è ancora traccia di Feudalesimo, bensì un rapporto diretto e fiduciario tra il Re e chi gestisce la sue proprietà, lo Judex.

            La indicazione del tipo e quantità di  prodotti agricoli da coltivare, di quali e quanti animali allevare, delle peschiere da gestire, dei mulini da costruire, del vino cotto da produrre ci presenta una economia florida e ben gestita, e la vitalità delle varie “Curtis” o Villae”.

            Particolarmente interessante è la figura del “Comes Stabuli” descritta nel “Capitulare”. Questa autorità presiedeva lo STABULUM, cioè l’area dove erano ubicate le strutture atte all’allevamento dei vari tipi di animali.  La concentrazione nell’alto maceratese di una nutrita serie di toponimi di origine faunistica, tipo: Pieve Bovigliana, Pieve Taurina, Capriglia, Monte Cavallo e altri toponimi attestano come questi luoghi siano stati luoghi privilegiati per alcune tipologie di allevamenti prescritti nel “Capitulare”. Riteniamo che per alcuni edifici di questa area dell’alto maceratese, che presentano caratteristiche architettoniche syriache, si possa retrodare l’origine. Uno di questi è senz’altro il castello di Beldiletto, nella sua parte più antica. Si tratta di un vasto quadrilatero, poco lontano dalla corrente del fiume, la cui struttura sembra studiata per l’allevamento del bestiame.

            I documenti sono fondamentali per la ricostruzione della Storia, ma spesso accade che gli storici partono da un assunto e si sforzano di adattare le fonti, senza averle analizzate scrupolosamente, a ciò che danno per scontato, accettato da tutti e conveniente per il mondo accademico che non ama stravolgimenti della tradizione storica. Gi storiografi rifuggono le contestazioni che richiederebbero ulteriori studi e approfondimenti per confrontarsi scientificamente con chi osa affermare nuove tesi.

  

Il documento: “CAPITULARE DE VILLIS” (Tradotto dal Prof. Giovanni Carnevale)

l)          Vogliamo che le nostre villae, che abbiamo impiantato perché servano ai
nostri bisogni, siano totalmente al nostro servizio e non di altri uomini.

2)        Vogliamo che la nostrafamilia sia ben trattata e non ridotta in miseria da nes-
suno.

    3)    Gli iudices si astengano dal porre la nostrafamilia al proprio servizio, .......

mercoledì 16 ottobre 2024

Dagli scavi archeologici di Sanseverino viene alla luce la precedente fase costruttiva di una chiesa identica a San Claudio al Chienti

 Il libro di Luca Maria Cristini ci rivela una scoperta architettonica che è passata sotto troppo silenzio presso gli studiosi del medioevo:

“Il Santuario di San Severino in occasione delle recenti opere di restauro conseguenti al sisma del 1997, è stato fatto oggetto di scavi archeologici al di sotto del pavimento…… In una delle configurazioni (dello scavo ndr) dovette essere del tutto analoga, almeno per quanto concerne lo sviluppo in pianta, all’abbazia di San Claudio al Chienti.”













sabato 12 ottobre 2024

FULDA o FARFA? Il Prof. Enzo Mancini lo spiega analizzando i documenti.

 
    Avendo sottomano il "Chronicon farfense" di Gregorio di Catino, nell'edizione a cura di Ugo Balzani, mi ha incuriosito quello che Balzani scrive a pag. 20, nota 3: “Mi pare opportuno riprodurre qui la lettera che Alcuino diresse all'abate Mauroaldo, ( natione francus, abate di Farfa dal 790 all'802 circa), chiedendogli di essere ascritto alla fratellanza farfense: Ideo me vestrae familiaritati adiungere desideravi...vestram suppliciter obsecro unanimitatem, ut me, licet indignum, vestris animis atque manibus acciper dignemini. non quasi ignotum sed quasi fratrem."
    Non è chiaro cosa abbia capito Ugo Balzani con quella "fratellanza farfense". Sembra che Alcuino chieda una amicizia a distanza come si fa oggi sui "social". Sembra evidente che per Balzani, che scrive nel 1903, questa richiesta, fatta da Aachen al monastero di Farfa, risulta inverosimile. 
Ma il testo di Alcuino  è chiaro e limpido: con il termine manibus il dotto monaco chiede esplicitamente di essere accolto fisicamente nel monastero di Farfa.
    Nelle lunghe giornate di clausura, durante la pandemia di Covid, ho avuto tempo di leggere le lettere di Alcuino, almeno quelle riportate in stampa da Frobenius Forster, principe abate di sant'Emmerammo, presso Ratisbona. L'abate Frobenius (1709 - 1791 ) nell'introduzione al suo libro afferma di aver cercato di fare una collezione ancora più completa di quella che prima di lui aveva pubblicato Andrea Duchesne, detto il Quercetano, ( 1584 - 1640 ), considerato il padre degli storici francesi. Ma neanche Frobenius trascrisse tutto di Alcuino, perché poi sono comparse altre lettere di Alcuino, soprattutto dall'Inghilterra.
    Per farla breve, questa lettera citata da Ugo Balzani la leggo solo ora.
    L'abate Frobenius scrisse anche una "Vita di Alcuino", basata sugli scritti del grande erudito e dalle testimonianze di alcuni suoi discepoli. In questa biografia si dice che Alcuino, ormai avanti con gli anni, stanco della vita di corte, voleva ritirarsi in monastero, ma Carlo Magno non voleva privarsene come consigliere. Anzi il Frobenius scrive che voleva andare a Fulda e solo dopo aver insistito nella richiesta gli fu concesso di ritirarsi a Tours, continuando ad essere consultato e visitato personalmente da Carlo Magno.
    Già tre anni fa, in un articolo pubblicato in questo Centro Studi, datato 6 gennaio 2021, sottolineai l'incongruenza: da Aachen Fulda è molto più vicina di Tours.
    Come, prima non lo lascia andare e poi gli permette di andare più lontano di dove aveva richiesto?
    Mi sembra di aver già scritto che il monastero dove si ritirò Alcuino era dedicato a san Martino di Tours. Questo non significa che il monastero stava a Tours, come intende l'abate Frobenius e tanti altri.
    Ma se Aquisgrana stava in val di Chienti e Alcuino chiese di ritirarsi a Farfa, Carlo Magno gli concesse di andare a Monte San Martino, dove poteva andare e tornare in giornata al suo palazzo, tutto diventa molto chiaro.
    Cosa mi viene da pensare? Che anche prima degli MGH gli storici d'oltralpe hanno cominciato a creare "fakes" per far tornare i loro conti.
    Io una lettera di Alcuino all'abate di Fulda non l'ho vista nella collezione di Frobenius Forster, che ricalca quella del Quercetano. E come mai la lettera all'abate di Farfa Frobenius non me l'ha fatta leggere? Sono io che non l'ho trovata o è stato lui a metterla in disparte?
    Che gli storici d'oltralpe abbiano preso FULDA  per FARFA come si prendono fischi per fiaschi? Tanto cominciano tutte e due con la effe.
    Poi ho pensato che in una pergamena cambiare Farfa con Fulda è un gioco da ragazzi. Entrambe le parole sono di cinque lettere. Una grattatina qua, un trattino aggiunto là e il gioco è fatto.
    Forse il Quercetano e l'abate Frobenius erano in buona fede e la "Damnatio memoriae" era cominciata prima di loro.
    A questo punto, se si degna, chiederei il parere di Alessandro Barbero Magno, quello che "diligit veritatem", solo lui può sciogliere il dubbio. 
    Mi aiuto nella richiesta con le parole del sommo poeta:
"Ma dilmi, e dimmi s'i' vo bene al varco; 
e tue parole fier le nostre scorte."

Mancini Enzo 12 ottobre 2024

domenica 29 settembre 2024

Aquisgrana è in Italia! Lo studio delle fonti realizzato su mia insistenza dal Prof. Ezo Mancini lo dimostra ed anche il Muratori deve ammetterlo

 

Chronicon farfense

Dopo trenta anni buoni, su invito di Alberto Morresi, sono tornato a leggere questo libro di Gregorio di Catino, vissuto all'incirca fra il 1066 e il 1133. Non certo le pergamene originali, ma nell'edizione del 1903 a cura di Ugo Balzani, che a quanto sembra è l'unica in circolazione. Credo che studiosi capaci di leggere le pergamene originali siano una razza in estinzione. Peccato, perché le pergamene possono fornire particolari interessanti, come cancellature, inserzioni, delezioni, strappi in punti strategici, eccetera.

Di documenti originali del periodo carolingio, al di fuori degli MGH, avevo trovato solo questo nella biblioteca Mozzi Borgetti di Macerata. Sfogliando questo libro ammuffito ricordo chiaramente che mi sorprese trovare in poche pagine tre o quattro diplomi con la dicitura " actum in aquis palatio ", sarebbe a dire ad Aquisgrana.                                     

Fu uno dei motivi che mi spinsero a dar ragione a Giovanni Carnevale: come facevano dal Nord della Germania, a quei tempi, ad occuparsi degli "scatafossi" sparsi per l'Italia centrale?

Perché poi, se questi documenti sono stati redatti a corte dell'Imperatore non sono stati inseriti negli MGH?  E' possibile che Pertz e compagnia bella non conoscessero il "Chronicon farfense"?                                                     

La risposta che oggi mi sorge spontanea è che questi documenti avrebbero dato ai teutonici parecchie gatte da pelare.                             

Prendiamo ad esempio il diploma riportato a pag. 191 "actum Aquis palatio... IIII kalendas martii... anno imperii Domni Karoli... unctionis suae primo" alla presenza del notaio Inquirino e del vicecancellario Liutgardo, "et de anulo nostro supter eam iussimus sigillari", fornito cioè non solo della firma ma anche dell'impronta dell'anello del grande Capo.                                                                                                         

Sembrerebbe chiaro che in data 26 febbraio 801 l'abate Ingoaldo ottiene da Carlo Magno la conferma dei benefici rilasciati al monastero di Farfa dai re Longobardi.

Ma c'è un problema.                                     

Nel Natale dell'800 Carlo Magno fu incoronato a Roma, che sta in Italia. Il 29 marzo 801, partito da Roma, si trovava a Spoleto, attesta Eginardo, dove fu testimone di un disastroso terremoto. Anche Spoleto sta in Italia. Dato che il documento ha tutti i crismi per essere veritiero, il Grande Carlo avrebbe a Roma preso il titolo di "Imperatore", attraversò le Alpi in pieno inverno per mettere il suo sigillo sul diploma in questione ad Aachen in meno di due mesi, sempre in inverno avrebbe di nuovo attraversato le Alpi per stare a Roma neanche un mese dopo, per essere poi puntuale a prendere la strizza del terremoto di Spoleto.

Carlone fu buttato giù dal letto all'ora seconda della notte, più o meno verso le 22, forse interrotto sul più bello di una prestazione amorosa di cui era ancora capace, dopo aver pasteggiato a formaggio pecorino, specialità del posto.                                                                   

Il Mabillon, racconta Balzani, trovò la cosa inverosimile, per cui scrisse che il Carlo del documento doveva essere il nipote, quello detto "il Grasso" e che l'anno era l'881. Ma per dire questo si è dovuto inventare un abate Ingoaldo II che non risulta da nessuna parte, che Gregorio di Catino, di solito così preciso, avrebbe dimenticato di inserire nell'elenco degli abati.                                                          

Anche il Muratori, come Mabillon, attribuì il diploma a Carlo III il Grosso ma avendo scoperto che a quella data il personaggio stava in Italia, cercò una "Aquis" a Sud delle Alpi.

In un primo momento gli andò bene Aquiterme nel Monferrato, ma poi scoprì che proprio in quel giorno Carlo III risultava essere a Siena, per cui l'enigma gli rimase insoluto.

Insomma per insigni storici come Mabillon, Muratori e Balzani il documento è rimasto un rompicapo senza soluzione, perché per loro Aquisgrana non poteva essere che Aachen.                                           

Con la teoria di Giovanni Carnevale tutte le elucubrazioni di insigni storici si sciolgono come neve al sole.                                                     

La soluzione è Aquisgrana nella Francia Picena 

Enzo Mancini              29 settembre 2024