Il libro di Luca Maria Cristini ci rivela una scoperta
architettonica che è passata sotto troppo silenzio presso gli studiosi del medioevo:
“Il Santuario di San Severino in occasione delle recenti opere di restauro conseguenti al sisma del 1997, è stato fatto oggetto di scavi archeologici al di sotto del pavimento…… In una delle configurazioni (dello scavo ndr) dovette essere del tutto analoga, almeno per quanto concerne lo sviluppo in pianta, all’abbazia di San Claudio al Chienti.”
Avendo sottomano il "Chronicon
farfense" di Gregorio di Catino, nell'edizione a cura di Ugo Balzani, mi
ha incuriosito quello che Balzani scrive a pag. 20, nota 3: “Mi pare opportuno riprodurre qui la
lettera che Alcuino diresse all'abate Mauroaldo, ( natione francus, abate di
Farfa dal 790 all'802 circa), chiedendogli di essere ascritto alla fratellanza
farfense: Ideo me vestrae familiaritati adiungere desideravi...vestram
suppliciter obsecro unanimitatem, ut me, licet indignum, vestris animis atque
manibus acciper dignemini. non quasi ignotum sed quasi fratrem." Non è chiaro cosa abbia capito Ugo
Balzani con quella "fratellanza farfense".Sembra che Alcuino chieda
una amicizia a distanza come si fa oggi sui "social". Sembra evidente
che per Balzani, che scrive nel 1903, questa richiesta, fatta daAachen al monastero di Farfa, risulta inverosimile.
Ma il testo di Alcuino è chiaro
e limpido: con il termine manibusil dotto monaco
chiede esplicitamente di essere accolto fisicamente nel monastero di Farfa. Nelle lunghe giornate di clausura,
durante la pandemia di Covid, ho avuto tempo di leggere le lettere di Alcuino,
almeno quelle riportate in stampa da Frobenius Forster, principe abate di
sant'Emmerammo, presso Ratisbona. L'abate Frobenius (1709 - 1791 )
nell'introduzione al suo libro afferma di aver cercato di fare una collezione
ancora più completa di quella che prima di lui aveva pubblicato Andrea
Duchesne, detto il Quercetano, ( 1584 - 1640 ), considerato il padre degli
storici francesi. Ma neanche Frobenius trascrisse tutto di Alcuino, perché poi
sono comparse altre lettere di Alcuino, soprattutto dall'Inghilterra.
Per farla breve, questa lettera citata
da Ugo Balzani la leggo solo ora. L'abate Frobenius scrisse anche una
"Vita di Alcuino", basata sugli scritti del grande erudito e dalle
testimonianze di alcuni suoi discepoli. In questa biografia si dice che
Alcuino, ormai avanti con gli anni, stanco della vita di corte, voleva
ritirarsi in monastero, ma Carlo Magno non voleva privarsene come consigliere.
Anzi il Frobenius scrive che voleva andare a Fulda e solo dopo aver insistito
nella richiesta gli fu concesso di ritirarsi a Tours, continuando ad essere
consultato e visitato personalmente da Carlo Magno. Già tre anni fa, in un articolo
pubblicato in questo Centro Studi, datato 6 gennaio 2021, sottolineai
l'incongruenza: da Aachen Fulda è molto più vicina di Tours. Come, prima non lo lascia andare e poi
gli permette di andare più lontano di dove aveva richiesto? Mi sembra di aver già scritto che il
monastero dove si ritirò Alcuino era dedicato a san Martino di Tours. Questo
non significa che il monastero stava a Tours, come intende l'abate Frobenius e
tanti altri. Ma se Aquisgrana stava in val di Chienti
e Alcuino chiese di ritirarsi a Farfa, Carlo Magno gli concesse di andare a
Monte San Martino, dove poteva andare e tornare in giornata al suo palazzo,
tutto diventa molto chiaro. Cosa mi viene da pensare? Che anche
prima degli MGH gli storici d'oltralpe hanno cominciato a creare
"fakes" per far tornare i loro conti. Io una lettera di Alcuino all'abate di
Fulda non l'ho vista nella collezione di Frobenius Forster, che ricalca quella
del Quercetano. E come mai la lettera all'abate di Farfa Frobenius non me l'ha
fatta leggere? Sono io che non l'ho trovata o è stato lui a metterla in
disparte? Che gli storici d'oltralpe abbiano preso
FULDA per FARFA come si prendono fischi per fiaschi? Tanto cominciano
tutte e due con la effe. Poi ho pensato che in una pergamena
cambiare Farfa con Fulda è un gioco da ragazzi. Entrambe le parole sono di
cinque lettere. Una grattatina qua, un trattino aggiunto là e il gioco è fatto. Forse il Quercetano e l'abate Frobenius
erano in buona fede e la "Damnatio memoriae" era cominciata prima di
loro. A questo punto, se si degna, chiederei
il parere di Alessandro Barbero Magno, quello che "diligit
veritatem", solo lui può sciogliere il dubbio.
Mi aiuto nella richiesta
con le parole del sommo poeta:
Dopo trenta anni buoni, su invito di Alberto Morresi, sono tornato
a leggere questo libro di Gregorio di Catino, vissuto all'incirca fra il 1066 e
il 1133. Non certo le pergamene originali, ma nell'edizione del 1903 a cura di
Ugo Balzani, che a quanto sembra è l'unica in circolazione. Credo che studiosi
capaci di leggere le pergamene originali siano una razza in estinzione.
Peccato, perché le pergamene possono fornire particolari interessanti, come
cancellature, inserzioni, delezioni, strappi in punti strategici, eccetera.
Di documenti originali del periodo carolingio, al di fuori degli
MGH, avevo trovato solo questo nella biblioteca Mozzi Borgetti di Macerata.
Sfogliando questo libro ammuffito ricordo chiaramente che mi sorprese trovare
in poche pagine tre o quattro diplomi con la dicitura " actum in aquis
palatio ", sarebbe a dire ad Aquisgrana.
Fu uno dei motivi che mi spinsero a dar ragione a Giovanni
Carnevale: come facevano dal Nord della Germania, a quei tempi, ad occuparsi
degli "scatafossi" sparsi per l'Italia centrale?
Perché poi, se questi documenti sono stati redatti a corte dell'Imperatore
non sono stati inseriti negli MGH? E' possibile che Pertz e compagnia
bella non conoscessero il "Chronicon farfense"?
La risposta che oggi mi sorge spontanea è che questi documenti
avrebbero dato ai teutonici parecchie gatte da pelare.
Prendiamo ad esempio il diploma riportato a pag. 191 "actum Aquis palatio... IIII
kalendas martii... anno imperii Domni Karoli... unctionis suae
primo" alla presenza del notaio Inquirino e del
vicecancellario Liutgardo, "et
de anulo nostro supter eam iussimus sigillari", fornito
cioè non solo della firma ma anche dell'impronta dell'anello del grande Capo.
Sembrerebbe chiaro che in data 26 febbraio 801 l'abate Ingoaldo
ottiene da Carlo Magno la conferma dei benefici rilasciati al monastero di
Farfa dai re Longobardi.
Ma c'è un problema.
Nel Natale dell'800 Carlo Magno fu incoronato a Roma, che sta in
Italia. Il 29 marzo 801, partito da Roma, si trovava a Spoleto, attesta
Eginardo, dove fu testimone di un disastroso terremoto. Anche Spoleto sta in
Italia. Dato che il documento ha tutti i crismi per essere veritiero, il
Grande Carlo avrebbe a Roma preso il titolo di "Imperatore", attraversò
le Alpi in pieno inverno per mettere il suo sigillo sul diploma in questione ad
Aachen in meno di due mesi, sempre in inverno avrebbe di nuovo attraversato le
Alpi per stare a Roma neanche un mese dopo, per essere poi puntuale a prendere
la strizza del terremoto di Spoleto.
Carlone fu buttato giù dal letto all'ora seconda della notte, più
o meno verso le 22, forse interrotto sul più bello di una prestazione amorosa
di cui era ancora capace, dopo aver pasteggiato a formaggio pecorino,
specialità del posto.
Il Mabillon, racconta Balzani, trovò la cosa inverosimile, per cui
scrisse che il Carlo del documento doveva essere il nipote, quello detto
"il Grasso" e che l'anno era l'881. Ma per dire questo si è dovuto
inventare un abate Ingoaldo II che non risulta da nessuna parte, che Gregorio
di Catino, di solito così preciso, avrebbe dimenticato di inserire nell'elenco
degli abati.
Anche il Muratori, come Mabillon, attribuì il diploma a Carlo III
il Grosso ma avendo scoperto che a quella data il personaggio stava in Italia,
cercò una "Aquis" a Sud delle Alpi.
In un primo momento gli andò bene Aquiterme nel Monferrato, ma poi
scoprì che proprio in quel giorno Carlo III risultava essere a Siena, per cui
l'enigma gli rimase insoluto.
Insomma per insigni storici come Mabillon, Muratori e Balzani il
documento è rimasto un rompicapo senza soluzione, perché per loro Aquisgrana
non poteva essere che Aachen.
Con la teoria di Giovanni Carnevale tutte le elucubrazioni di
insigni storici si sciolgono come neve al sole.
Era appena passato il mio primo capodanno da pensionato quando, i primi giorni del 2016, ebbi modo di leggere un gossip molto datato.
Un giovane e brillante professore del fermano, Cesare Catà, in una conferenza aveva citato uno storico locale, Benedetto Leopardi di Monte San Pietrangeli, che nel 1939 aveva scritto una sorprendente curiosità. Aveva osservato che nove mesi prima della nascita di Federico II sulla pubblica piazza di Jesi, l'augusto consorte della " gran Costanza", Enrico VI, risultava essere in Germania e non a Spoleto con la moglie legittima. A Spoleto risultava invece presente Guglielmo Divini da Lisciano, cavalier servente della regale coppia, il più noto menestrello del periodo. Sarebbe stato più probabile quindi che il futuro "stupor mundi" fosse il figlio naturale del menestrello che dell'imperatore del Sacro Romano Impero.
Riportai questo gossip in un articolo, anzi due, pubblicati nel sito del Centro Studi san Claudio al Chienti nel marzo del 2016.
Parlavo anche dell'importanza del "Re dei versi", principale componente della Scuola poi detta "siciliana", nella nascita della lingua italiana. Anche perché il personaggio, diventato "frate Pacifico", contribuì sicuramente alla stesura del "Cantico delle creature" di san Francesco, considerato il primo componimento completo in volgare italiano.
Intendevo sostenere la tesi che la lingua Italiana è nata a cavallo dei monti Sibillini e non sulle rive dell'Arno, tesi che si appoggia anche sulla "Francia Picena" di Giovanni Carnevale.
Pochi giorni orsono alla voce "fra Pacifico" su Wikipedia trovo, datati agosto 2023, tutti quei concetti che avevo pubblicato in era pre - Covid, nel marzo 2016.
Wikipedia fra le varie fonti cita Cesare Catà, cita Benedetto Leopardi, ma non cita né Enzo Mancini né il Centro Studi san Claudio al Chienti.
Il motivo che per me è evidente è che ciò comporterebbe citare anche la teoria di Giovanni Carnevale, soggetta a spietato ostracismo nei media, chiaramente scomoda in ambiente accademico.
Voglio concludere che Wikipedia è scorretta; da oggi la chiamerò WIKIKOPIA.
Circa nove mesi prima di morire a Umberto Eco fu
conferita una, delle tante, laurea honoris causa, da parte del rettore
dell'Università di Torino, prof. Gianmaria Ajani. Valutando i pro e i contro di
Internet Umberto Eco disse testualmente:
"...D'altro canto fa sì che dà diritto di parola a legioni
di imbecilli i quali prima parlavano solo al bar dopo due o tre bicchieri di
rosso e quindi non danneggiavano la società... e adesso hanno lo stesso diritto
di parola di un premio Nobel... intanto come posso esser sicuro che un
messaggio è davvero di papa Francesco... quando uno può fingere di essere Rita
Hayworth e invece è un maresciallo dei carabinieri."
Oggi leggo su un giornale locale on line: "Scacco
matto a Carlo Magno... etc etc.”
Scacco matto vuol dire partita chiusa, fine definitiva. No
signori miei, la partita è aperta più che mai. Perché la verità ha in sé, per
legge fisica, la forza di venire a galla in un liquame di bugie, nel quale
qualcuno sembra sentirsi nel proprio elemento naturale. La verità che Giovanni
Carnevale ha fatto intravedere verrà a galla prima o poi, è solo questione di
tempo. La chiusura di un Centro Studi a San Claudio può solo allungare un poco
questo tempo. E sarà probabilmente più merito dei Tedeschi, quando si
libereranno definitivamente delle scorie nazionalsocialiste che ancora
annebbiano la loro cultura.
Perché gli Italiani stanno evidenziando nel momento attuale di
possedere una cultura succube sia in Europa sia verso gli Stati Uniti.
Comunque a questa diatriba su Aquisgrana a san Claudio sono
disposto a partecipare con chi accetta un corretto confronto, ma non con chi
insulta o dice falsità.
Se qualcuno poi mi dimostra che ho sbagliato tutto e che sto
seguendo un falso percorso dando ragione al professor Giovanni Carnevale, mi fa
un grosso favore.
Janet L. Nelson, docente emerita di storia medievale al King's College di Londra, nel suo Carlo Magno, edito in italiano dalla Mondadori nel 2022, alla p. 258, scrive dell'eclisse del 16 settembre 787 dicendo: " gli annali di Lorsch iniziano l'insolitamente breve resoconto del 787 con l'eclisse solare... Fu visibile a nord di una linea che va da Parigi a Monaco." Ho contattato il prof.Mancini Enzo per studiare questo evento il quale, dopo aver consultato il manuale del noto Oppolzher, mi ha riferito che l'eclisse solare della mattina del 16/09/787 NON é avvenuta al nord delle Alpi. Il sole, quel giorno, si é oscurato completamente in Campania e poi in Puglia. Nelle Marche l'eclisse é avvenuta al 90%. Quindi, nelle Marche, l'eclisse é stata quasi totale.
Albino Gobbi
Torniamo sull'eclisse solare della mattina del 16 settembre 787. Secondo gli annali di Lorsch si é verificata a nord di una linea che va da Parigi a Monaco. Secondo gli astronomi si é verificata in Campania. Il prof.Florian Hartman, dell' Università di Aachen, e il prof.Alberto Meriggi, dell' Università di Urbino se la sentono di scrivere che quell'eclisse, secondo gli astronomi, si é verificata sulla Senna e non sul Volturno? Theodor: Praga 1841/ Vienna 1886 professore di Geodesia dal 1876 Presidente dell'associazione geodetica internazionale. Ha studiato tutta la determinazione delle orbite delle comete e dei pianeti dal 1207 a.C. al 2163 d.C. Grazie a lui negli ultimi 150 anni sono state previste tutte le eclissi senza alcun errore. ***** Una serie di annali scritti a Fulda riporta per l'810: Carlo Magno giunse in Sassonia. Ci fu un'eclisse di sole il 30 novembre. Secondo i calcoli fatti dal prof. Enzo Mancini in questo caso effettivamente l'eclisse é avvenuta in Sassonia a differenza di quella del 16 settembre del 787 che non é avvenuta tra Parigi e Monaco ma in Campania. Albino Gobbi
Tra le numerose fonti storiche troviamo un diploma a favore
dell’abbazia di Farfa la cui datazione è definita esclusivamente dalla seguente
indicazione:
DATUM IV
KALENDAS MARTII, ANNO,CHRISTO PROPITIO, IMPERII DOMNI KAROLI PRAEPOTENTIS
AUGUSTI UNCTIONIS SUAE PRIMO, INDICTIONE XIV. ACTUM AQUIS PALATIO.
Da una enciclopedia on line molto seguita sulle maestranze specializzate provenienti dal vicino Oriente leggiamo:
"L'Esarcato di Ravenna, solida testa di ponte bizantina in Italia fino al 751, divenne dunque la valvola di sfogo degli artisti dissidenti, soprattutto monaci, duramente perseguitati dal generale bizantino Michele Lacanodracone in patria negli anni 760, che fuggivano da Bisanzio e dall'Iconoclastia. Queste specializzate (ed apprezzate) maestranze vennero subito fagocitate dalla committenza romana, ormai unica latrice dell'eredità culturale bizantina sulla terraferma italiana e, tramite essa, dai Franchi di Pipino il Breve, nuovo braccio armato secolare del Papa (v.si Promissio Carisiaca). Carlo Magno, figlio e successore di Pipino, seppe servirsi di tali maestranze per creare le opere della sua Schola palatina."
Chiediamo a questi storici di affermare che esperti in costruzione di edifici arrivati dal vicino Oriente nel Piceno hanno realizzato la chiesa di San Claudio al Chienti, seguendo tecniche strutturalmente identiche a quelle utilizzate per costruire il frigidarium di Kirbet al Mafjar, presso Gerico.
Sarebbe una ammissione deontologicamente corretta e apprezzabile
2 aprile 742 - Aquisgrana, Germania, 28 gennaio 814
Appartenente alla dinastia dei Carolingi, era figlio di Pipino il Breve e di Bertrada di Laon. Tradizionalemnte si ritiene sia nato il 2 aprile 742. Alla nascita viene chiamato semplicemente Carolus, cioè Carlo. Solo in seguito, per le sue imprese, si guadagnerà il soprannome di “Magno”, in latino “il Grande”.Alla morte di suo padre, gli succedette al trono come Re dei Franchi il 24 settembre 768. Carlo di fatto comincia a regnare insieme a suo fratello, Carlomanno. Tre anni dopo, quando anche Carlomanno muore, Carlo diventa l’unico Re dei Franchi. Inoltre dal 10 luglio 774 divenne anche Re dei Longobardi. La notte di Natale dell'800 fu incoronato primo Sacro Romano Imperatore nella basilica di San Pietro in Roma dal Papa Leone III. Nella medesima basilica campeggia oggi una sua splendida statua equestre. Un poeta rimasto anonimo saluta in lui ‘il padre dell’Europa’. Ebbe cinque mogli. Il 28 gennaio 814 morì ad Aquisgrana, in Germania, e nelal cattedrale di tale città venne sepolto. L'8 gennaio 1166 Carlo Magno venne canonizzato dall'antipapa Pasquale III, culto poi ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa, seppur a livello locale. La sua liturgia propria è ancora celebrata dalla diocesi di Aquisgrana nel cui calendario diocesano ricorre al 28 gennaio. Oggi che i popoli del nostro continente sono avviati all’integrazione in un’Europa sovranazionale, la figura di Carlo Magno risulta di sorprendente attualità.
Patronato: Scuole francesi
Emblema: Corona, Scettro, Globo, Spada, Modellino di Aquisgrana, Manto d'ermellino
La canonizzazione di Carlomagno nel 1165 da parte dell'antipapa Pasquale III non è che un momento dello straordinario destino postumo dell'imperatore d'Occidente. Qui si ricorderà brevemente ciò che, nella sua vita e nella sua opera, ha fornito occasione a un culto in alcune regioni cristiane. Nato nel 742, primogenito di Pipino il Breve, gli succedette il 24 settembre 768 come sovrano d'una parte del regno dei Franchi, divenendo unico re alla morte (771) del fratello Carlomanno. Chiamato in aiuto dal papa Adriano I, scese in Italia, contro Desiderio, re dei Longobardi, nell'aprile 774. In cambio d'una promessa di donazione di territori italiani al sommo pontefice, riceve il titolo di re dei Longobardi quando lo sconfitto Desiderio fu rinchiuso nel monastero di Corbie. Nel 777 iniziò una serie di campagne per la sottomissione e l'evangelizzazione dei Sassoni, capeggiati da Vitichindo. Dopo una cerimonia di Battesimo collettivo a Paderborn, la rivalsa dei vinti fu soffocata, nelle campagne del 782-85, con tremendi massacri, fra i quali quello di molte migliaia di prigionieri a Werden. Spintosi oltre i Pirenei, nella futura Marca di Spagna, Carlomagno subì nel,778 un grave rovescio a Roncisvalle. Nelle successive discese in Italia (781 e 787) stabilì legami con l'Impero d'Oriente (fidanzamento di sua figlia Rotrude col giovane Costantino VI), e s'inserì sempre più a fondo, attraverso i missi carolingi, nella vita di Roma. Consacrato re d'Italia e spinto a occuparsi del patrimonio temporale della Chiesa, non trascurò il suo ruolo di riformatore, continuando l'opera iniziata dal padre col concorso di S. Bonifacio. Nel 779, benché occupatissimo per le rivolte dei Sassoni, promulgò un capitolare sui beni della Chiesa e i diritti vescovili, e accentuò la sua azione riformatrice sotto l'impulso dei chierici e dei proceres ecclesiastici e, soprattutto, di Alcuino e di Teodulfo d'Orleans. La celebre “Admonitio generalis” del 789 mostra a pieno la concezione di Carlomagno in materia di politica religiosa, richiamandosi all'esempio biblico del re Giosia per il quale il bisogno più urgente è ricondurre il popolo di Dio nelle vie del Signore, per far regnare ed esaltare la sua legge. Nascono da questa esigenza il rinascimento degli studi, la revisione del testo delle Scritture operata da Alcuino, la costituzione dell'omeliario di Paolo Diacono. Al concilio di Francoforte del 794, Carlomagno si erge di fronte a Bisanzio come il legittimo crede degli imperatori d'Occidente, promotori di concili e guardiani della fede. Non è un caso che i testi relativi alla disputa delle immagini (Libri Carolini), benché redatti da Alcuino o da Teodulfo, portino il nome di Carlomagno. Pertanto, l'incoronazione imperiale del giorno di Natale dell'anno 800 non fu che il coronamento d'una politica che il papato non poté fare a meno di riconoscere, sollecitando la protezione del sovrano e accettandolo, nella persona di Leone III, come giudice delle sue controversie.Ma Carlomagno (come mostrano le origini della disputa sul “Filioque”) estese la sua influenza fino alla Palestina. La sua sollecitudine per il restauro delle chiese di Gerusalemme e dei luoghi santi mediante questue (prescritte in un capitolare dell'810) gli valse più tardi il titolo di primo dei crociati. Del patronato esercitato sulla Chiesa dalla forte personalità di Carlomagno restano monumenti documentari ed encomiastici negli “Annales”, che ricordano i concili da lui presieduti, le chiese e i monasteri da lui fondati. La vita privata di Carlomagno fu obiettivamente deplorevole. E non si possono certo dimenticare due ripudi e molti concubinati, né i massacri giustificati dalla sola vendetta o la tolleranza per la libertà dei costumi di corte. Non mancano, tuttavia, indizi di una sensibilità di Carlomagno per la colpa, in tempi piuttosto grossolani e corrotti. Il suo biografo Eginardo informa che Carlomagno non apprezzava punto i giovani, sebbene li praticasse, e, per quanto la sua vita religiosa personale ci sfugga, sappiamo che egli teneva molto all'esatta osservanza dei riti liturgici che faceva celebrare, specialmente ad Aquisgrana (odierna Aachen), con sontuoso decoro. Cosi, quando mori ad Aquisgrana il 28 gennaio 814, Carlomagno lasciò dietro di sé il ricordo di molti meriti che la posterità si incaricò di glorificare. La valorizzazione del prestigio di Carlomagno assunse il carattere di un'operazione politica durante la lotta delle Investiture e il conflitto fra il Sacerdozio e l'Impero. La prima cura di Ottone I, nel farsi consacrare ad Aquisgrana (962), fu quella di ripristinare la tradizione carolingia per servirsene. Nell'anno 1000, Ottone III scopri ad Aquisgrana il corpo di Carlomagno in circostanze in cui l'immaginazione poteva facilmente sbrigliarsi. Nel sec. XI, mentre Gregorio VII scorgeva nell'incoronazione imperiale di Carlomagno la ricompensa dei servigi da lui resi alla cristianità, gli Enriciani esaltarono il patronato esercitato dall'imperatore sulla Chiesa. Quando l'impero divenne oggetto di competizione fra principi germanici, Federico I, invocando gli esempi della canonizzazione di Enrico II (1146), di Edoardo il Confessore (1161), di Canuto di Danimarca (1165), pretese e ottenne dall'antipapa Pasquale III la canonizzazione di Carlomagno col rito dell'elevazione agli altari (29 dic. 1165). Egli pensò di gettare in tal modo discredito su Alessandro III, che gli rifiutava l'impero, e, insieme, sui Capetingi che lo pretendevano. E se più tardi Filippo Augusto, vincitore di Federico II a Bouvines nel 1214, si richiamò alle analoghe vittorie di Carlomagno sui Sassoni, lo stesso Federico II si fece incoronare ad Aquisgrana il 25 luglio 1215 e dispose, due giorni dopo, una solenne traslazione delle reliquie di Carlomagno. Intanto Innocenzo III, risoluto sostenitore della teoria delle “due spade”, ricordava che è il papa che eleva all'impero e dipingeva Carlomagno come uno strumento passivo della traslazione dell'impero da Oriente a Occidente. La grande figura di Carlomagno venne piegata a interpretazioni opposte almeno fino all'elezione di Carlo V. Ma a parte le utilizzazioni politiche contrastanti, il culto di Carlomagno appare ben radicato nella tradizione letteraria e nell'iconografia. Il tono agiografico è già evidente nei racconti di Eginardo e del monaco di S. Gallo di poco posteriori alla morte dell'imperatore. Rabano Mauro, abate di Fulda e arcivescovo di Magonza, iscrive Carlomagno nel suo Martirologio. La leggenda di Carlomagno è soprattutto abbellita dagli aspetti missionari della sua vita. A Gerusalemme, la chiesa di S. Maria Latina conservava il suo ricordo. Alla fine del sec. X si credeva che l'imperatore si fosse recato in Terrasanta in pellegrinaggio. Urbano II, nel 1095, esaltava la sua memoria davanti ai primi crociati. Nel 1100 l'avventura transpirenaica dei paladini si trasfigurò in crociata, attraverso l'interpretazione della Chanson de Roland. Ognuno ricorda la frequenza di interventi soprannaturali nelle “chansons de gestes”: Carlomagno è assistito dall'angelo Gabriele; Dio gli parla in sogno; simile a Giosué, egli arresta il sole; benché il suo esercito formicoli di chierici, benedice o assolve lui. stesso i combattenti, ecc. Dal sec. XII al XV si moltiplicano le testimonianze di un culto effettivo di C., connesse da un lato con la fedeltà delle fondazioni carolingie alla memoria del fondatore, dall'altro con l'atteggiamento dei vescovi verso gli Staufen, principali promotori del culto imperiale. A Strasburgo si trova un altare prima del 1175, a Osnabruck e ad Aquisgrana prima del 1200. Nel 1215, in seguito alla consacrazione di Federico II e alle cerimonie che l'accompagnarono, si stabilirono due festività: il 28 genn. (data della morte di C.), festa solenne con ottava, e il 29 dic., festa della traslazione. Roma rispose istituendo la festa antimperiale di S. Tommaso Becket, campione della Chiesa di fronte al potere politico; ma nel 1226 il cardinale Giovanni di Porto consacrò ufficialmente ad Aquisgrana un altare “in honorem sanctorum apostolorum et beati Karoli regis”. A Ratisbona, il monastero di S. Emmerano e quello di S. Pietro, occupato dagli Irlandesi, adottarono, nonostante l'estraneità dell'episcopato, il culto di Carlomagno che, secondo M. Folz, si andò estendendo in un’area esagonale con densità più forti nelle regioni di Treviri, di Fulda, di Norimberga e di Lorsch. Nel 1354, Carlo IV fondò presso Magonza, nell'Ingelheim, un oratorio in onore del S. Salvatore e dei beati Venceslao e Carlomagno. Toccato l'apogeo nel sec. XV, il culto di Carlomagno non fu abolito neppure dalla Riforma, tanto da sopravvivere fino al sec. XVIII in una prospettiva politica, presso i Febroniani. In Francia, nel sec. XIII, una confraternita di Roncisvalle si stabilì a S. Giacomo della Boucherie. Carlo V (1364-80) fece di Carlomagno un protettore della casa di Francia alla pari di S. Luigi, e ne portò sullo scettro l'effigie con l'iscrizione “Sanctus Karolus Magnus”. Nel 1471, Luigi XI estese a tutta la Francia la celebrazione della festa di Carlomagno il 28 genn. Nel 1478, Carlomagno fu scelto come patrono della confraternita dei messaggeri dell'università e, dal 1487, fu festeggiato come protettore degli scolari (nel collegio di Navarra si celebrò fino al 1765, il 28 genn., una Messa con panegirico). Per queste ragioni il cardinale Lambertini, futuro Benedetto XIV, indicò nel caso di Carlomagno un tipico esempio di equivalenza fra una venerazione tradizionale e una regolare beatificazione (De servorum Dei beatificatione, I, cap. 9, n. 4). Oggi il culto di Carlomagno si celebra solo ad Aachen, con rito doppio di prima classe, il 28 genn. con ottava; la solennità è fissata alla prima domenica dopo la festa di S. Anna. A Metten ed a Múnster (nei Grigioni) il culto è “tollerato” per indulto della S. Congregazione dei Riti.
Janet L. Nelson, docente emerita di storia medievale al King's College di Londra, nel suo Carlo Magno, edito in italiano dalla Mondadori nel 2022, alla p. 258, scrive dell'eclisse del 16 settembre 787 dicendo: " gli annali di Lorsch iniziano l'insolitamente breve resoconto del 787 con l'eclisse solare... Fu visibile a nord di una linea che va da Parigi a Monaco." Ho contattato il prof.Mancini Enzo per studiare questo evento il quale, dopo aver consultato il manuale del noto Oppolzher, mi ha riferito che l'eclisse solare della mattina del 16/09/787 NON é avvenuta al nord delle Alpi. Il sole, quel giorno, si é oscurato completamente in Campania e poi in Puglia. Nelle Marche l'eclisse é avvenuta al 90%. Quindi, nelle Marche, l'eclisse é stata quasi totale.
In risposta alla petizione di studiosi e
parrocchiani al vescovo di Feermo
Maggio 2010: La tomba di Carlomagno non è nell’atrio della cattedrale di Aquisgrana (Il
giornale); Grave of Charlemagne remains a
mystery(Medial News); Germania:archeologi
smentiscono leggenda su tomba di Carlomagno (Adn Kronos); La tomba di Carlo Magno? Non esiste (Avvenire);
Carlo Magno non abita qui (La
stampa).
La tomba originaria di Carlo Magno non
si trova nell’atrio della cattedrale di Aquisgrana. Questa la notizia. Un
gruppo di archeologi guidati da Andreas Schaub per tre anni ha cercato invano
tracce della sepoltura dell’imperatore, morto nel 814. Le tracce più antiche
trovate risalgono al XIII secolo, quattrocento anni dopo lasua morte.
San Claudio al Chienti e la Cappella
palatina di Aquisgrana sono la stessa cosa. Storicamente e architetturalmente.
Questa la tesi del prof. Giovanni Carnevale, resa pubblica nel 1993 e
sviluppata in altre quattordici pubblicazioni. Tesi ignorata dagli studiosi. In
verità c’è stata qualche sporadica manifestazione di dissenso senza tuttavia specificarne
i motivi. Desta meraviglia che dopo molto tempo e soltanto dopo la sua morte la
tesi del professore sia ritenuta storicamente infondata. Questi studiosi li hanno
letti i libri del prof. Carnevale ? Onestà intellettuale richiede che la
contrarietà ad una teoria sia resa manifesta con prove, argomentazioni e
considerazioni storiche. Proponiamo alcuni esempi.Il prof. Carnevale mette a fondamento della
sua teoria l’affermazione di Theodulf, alto prelato alla corte di Carlo
Magno,che ha fatto costruire a Germigny
des Prés una cappella instar eius quae in
Aquis est, ossia simile alla cappella di Aquisgrana. Se questa poi non è
minimamente rassomigliante a quella di Aachen che ha pianta ottagonale e non
quadrata, qualche interrogativo si pone.
Nel Capitulare
de villis, straordinario documento carolingio, si fa riferimento a specie
vegetali tipiche del clima mediterraneo e non nordico. In due capitoli si cita
il vino cotto, prodotto tipico della nostra terra. Le vigne non crescevano ad
Aachen per la piccola glaciazione del dal V al IX secolo.
Gli insigni studiosi firmatari della
petizionenon debbono preoccuparsi se
vacilla la tradizione che vuole Aquisgrana ad Aachen. Non è questione tale da
minare i rapporti italo tedeschi e gli equilibri europei.
Tra gli illustri firmatari della
petizione anche il famoso divulgatore storico Alessandro Barbero. Per contro
rammentiamo che nel manuale scolastico di Gillo Dorfles, uno dei maggiori
storici del’arte italiana, è citata la tesi del prof. Giovanni Carnevale.
Ai numerosifirmatari parrocchiani, alcuni dei quali
ignorano che San Claudio dal 1986 non è più pievania maparrocchia,ricordiamo che la loro terraha
avuto un passato ben più importante di Aachen.Ivi insisteva la città romana di Pausulae,
una vasta area archeologica, uno dei primi insediamenti cristiani d’Occidente
sede di diocesi con un proprio vescovo.
In conclusione auspichiamo il confronto
sugli argomenti trattati, di grande utilità più delle polemiche e petizioni.
Dott. Nazzareno Graziosi ha lasciato tutti noi orfani di un grande amico, un ricercatore storico , uno scrittore, un appassionato sostenitore e collaboratore della nostra Associazione .
Sentite condoglianze alla sua Teresa ed ai suoi famigliari.
Resterà sempre nei nostri cuori la sua vitalità, il suo altruismo, la sua saggezza e la sua cultura.
Alberto Morresi con il suo libro: LA CONGIURA DI SANTA CROCE vi spiega perché il corpo di Carlo Magno, conservato in Germania, è invece quello di Carlo il Grosso.
Nell’ambito di un Convegno del Centro Studi Storici Maceratesi, svoltosi all’Abazia di Fiastra il 19/11/2022, Furio Cappelli, volendo ironizzare sul Centro Studi San Claudio al Chienti, ha tenuto una relazione dal titolo provocatorio: “Una pieve in Val di Chienti, tra storia, metastoria e magia”. Se la relazione orale si poteva considerare rozza e superficiale, molto diverso è stato il testo scritto, pubblicato l’anno successivo sugli Annali del prestigioso sodalizio. Tra l’esposizione orale e la pubblicazione lo Storico ascolano ha studiato e approfondito seriamente l’architettura maceratese, lasciando nella versione scritta solo il titolo e la parte finale della relazione del 2022.
Se non si fosse dilungato troppo su una struttura sostanzialmente moderna come il Taj Mahal (del XVII sec.), però, avrebbe potuto approfondire maggiormente San Claudio e quindi non fare errori grossolani, come quando afferma a p. 26: “la chiesa rientra tuttora nell’ambito di quella distrettuazione, e l’arcivescovo in persona ne è il titolare, affidando la cura delle anime a un parroco locale che funge da vicario” (Cappelli Furio, Atti del LVII Convegno Centro studi storici maceratesi editore, 2023; stampato con il contributo di Regione Marche). No, San Claudio è parrocchia. Un Decreto Ministeriale del 19/12/1986 in G.U. n. 4 del 7/1/1987 la definì ente ecclesiastico civilmente riconosciuto. La parrocchia fu annotata nel registro delle persone giuridiche del Tribunale di Macerata al n. 53 il 03/04/1989. Dopo mille anni, il vicario abbaziale perdeva il suo titolo per acquisire quello di parroco. (Giustozzi Piero, Da Montolmo a San Claudio amici per il fiume e altrestorie, p.124, Corridonia, 2023).
A pag. 24 (ibidem) Cappelli afferma che Germigny-des-Prés ha una ripartizione degli spazi in 9 quadrati. No. E, se Cappelli avesse studiato Gillo Dorfles, non avrebbe fatto un simile errore: è comunque comprensibile che non possa segnalare quello studioso triestino che ha osato citare in un suo manuale scolastico l’Innominabile (Carnevale Giovanni n.d.r.). Non è comprensibile, invece, che Cappelli non abbia letto, magari di nascosto, ciò che il prof. Dorfles ha scritto a p. 69 del secondo volume “Dall’arte paleocristiana all’arte gotica” (Dorfles G. Ragazzi M., Civiltà d’Arte, casa editrice Atlas). Ma ovviamente ha studiato la Sahler. Nella sua “nota del curatore” dell’edizione italiana del 2006, Furio Cappelli (Sahler H., S. Claudio al Chienti e le chiese romaniche a croce greca iscritta nelle Marche, ed. Lamusa, 2006, p. 7-10) condivideva l’impostazione della studiosa tedesca di una ispirazione lombarda della Chiesa di Corridonia. Nella relazione pubblicata nel 2023 sugli Atti del Centro Studi Storici Maceratesi, al contrario, fa derivare (giustamente) la planimetria dal Medio Oriente. Sull’alzato, cioè il costruito, ha dovuto, diplomaticamente, continuare a insistere sull’origine nordica del modello di San Claudio ma, essendo evidente che non assomiglia a San Satiro di Milano, a San Giovanni di Cantù ecc., ha preferito chiamare “in causa Ravenna” scrivendo: “è evidente un influsso nordico (o romagnolo se si preferisce), piuttosto che vagamente orientale” (ibidem p. 29).
A pag. 13 Cappelli afferma che l’architettura aveva goduto di una ininterrotta fortuna in quel crogiuolo di civiltà che fu il Medio Oriente. Riconosce, finalmente, l’eredità ellenistico-romana, mediata dalla Siria e l’eredità della Persia Sassanide che ha le proprie radici nei Babilonesi. Il capostipite del modello, per Cappelli, sarebbe il tempio di Kish, fatto costruire da Nabucodonosor nel 590 a.C. (ibidem p. 20) e la porta monumentale di Ishtar (575 a.C.) (ibidem p. 30). Lo schema venne trasmesso alla Persia a Susa (Ayadana) e al tempio partico del sole in Hatra (I sec. d.C.), per poi passare in Palestina nel II sec. nel sepolcro di Kasr an-NuweiJis (ibidem p.21) e poi nel castello di Khavarnak in Mesopotamia, del 418 d.C. (ibidem p. 18); quindi nella grande basilica cristiana in Siria di Qal’at Sim’an (474-491) e nella chiesa centrale a croce greca iscritta di Rusafa, sull’Eufrate, che anche lo Studioso identifica come sala delle udienze dello sceicco al-Mundhir (569-582 d.C.), dopo il ritrovamento di una epigrafe. Subito dopo, nel 624-631, venne costruita la cattedrale nella storica capitale Armena di Bagaran “guarda caso in un naturale crocevia tra la Siria, la Persia e l’Anatolia” (ibidem p.23).
Cappelli dimentica però di citare la cattedrale del ‘Vaticano’ armeno di Wagharschapat che, avendo tutte le campate uguali, assomiglia maggiormente a San Claudio. Finalmente e giustamente, Cappelli si sofferma brevemente sul palazzo omayyade di Khirbet el Mafjar vicino Gerico, in Palestina (739 d.C.), che il prof. Carnevale nel 1992 (Provincia di Macerata anno II, n.2, aprile 1992) aveva posto come modello più simile della Chiesa di San Claudio, e l’accosta, invece, all’oratorio vicino Orléans, in Francia, scrivendo infatti: “l’esempio più antico disponibile in Europa è l’oratorio del Salvatore…” (ibidem p. 23). Molto singolare è il rapporto che Cappelli stabilisce tra Germigny-des-Prés e la chiesa di Aachen, infatti scrive: “A complicare le cose nel Medioevo l’oratorio di Teodulfo era considerato una derivazione della cappella palatina voluta da Carlo Magno in onore del Salvatore e della Vergine nella sua reggia di Aquisgrana (l’attuale Aachen).” […] “Nel caso di Germigny-des-Prés le differenze con il prototipo sono troppo evidenti perché le si debba enumerare, come si spiega? Si trattava di una filiazione per così dire simbolica e morale, allusiva, il che era peraltro inevitabile perché una copia fedele sarebbe risultata inappropriata e difficilmente realizzabile a scala ridotta e a ridosso della fastosa realizzazione carolina, quando ancora non era stata ‘storicizzata’ (questo spiega il ben altro grado di fedeltà delle copie realizzate a partire dal sec. XI). L’allusione, in sostanza, reggeva sull’adozione di una pianta centrale, sulla presenza di un doppio polo liturgico sull’asse principale (est-ovest) e sulla cura degli aspetti decorativi, meno eclatanti ma comunque spiccanti nel caso di Teodulfo, il quale ricorse all’opera di musivari e plasticatori di notevole talento” (ibidem p.25).
Siccome Teodulfo è stato il committente di un oratorio, quadrato, che doveva imitare la chiesa fatta costruire da Carlo Magno, come mai la chiesa di Aachen è ottagonale? E quindi non è stata imitata dall’oratorio quadrato di Germigny-des-Prés? A questo punto Cappelli può solo provare a convincere gli osservatori che un quadrato assomiglia a un ottagono e, per ottenere questo risultato fantasioso, si improvvisa poeta e usa gli aggettivi simbolica, morale, allusiva. Ma una struttura edilizia si può vedere, toccare, è quindi reale e non simbolica! Cosa c’entra la morale di cui parla? Cosa c’entra l’allusione di cui parla? Se anche solo elemento trovato in uno scavo archeologico potesse non avere alcun significato, allora sarebbe inutile scavare, sarebbe inutile l’Archeologia.
Anche quando lo Studioso ascolano afferma che la chiesa ottagonale di Aachen sarebbe stata “difficilmente realizzabile a scala ridotta” lascia sconcertati: ma veramente qualcuno potrebbe credere che un edificio non possa essere realizzato a scala ridotta? Cappelli ha attribuito a Teodulfo l’affermazione di aver fatto una “copia fedele” della chiesa di Carlo Magno, quando, invece, il Vescovo aveva scritto: “costruita sulla base del modello della cappella Palatina di Aquisgrana” (C. Heitz, Enciclopedia dell’Arte medievale, 1995): la traduzione di C. Heitz è sulla base delmodello e non copia fedele. Indubbiamente ‘copia fedele’ è diverso da ‘sulla base delmodello’. Perché la chiesa di Aachen sarebbe stata un “modello inappropriato”, secondo Cappelli, tanto che Teudulfo invece di farla ottagonale l’avrebbe fatta quadrata? È vero che i musivari e i plasticatori sono stati di notevole talento, ma sono vissuti e hanno operato nel 19° secolo quando la chiesa è stata rifatta. Infatti Heitz, pur citato in bibliografia da Cappelli, scrive: della “ricca decorazione a stucco di cui si sono fortunosamente conservati alcuni frammenti” (C. Heitz, Enciclopedia dell’Arte Medievale, 1995). Quindi della chiesa originale erano rimasti alcuni frammenti.
Ancora Cappelli scrive: “Secondo una vulgata disponibile su alcuni siti Web di area maceratese, l’oratorio francese non possedeva in realtà un’abside sul lato occidentale. Sulla base della relazione degli scavi condotti da Jean Hubert nel 1930, risulterebbe infatti che l’abside ovest era stata realizzata negli anni 1867-1876. Sul Web si legge inoltre che la stessa era ancora in piedi nel 1930 ma fu eliminata in un momento successivo, indeterminato. Ma questa abside, individuata proprio dagli scavi, era bensì presente in origine e venne demolita già in età romanica per dare poi luogo a un ampliamento dell’edificio a ovest, realizzato nel secolo XV-XVI e tuttora evidente, l’aspetto curioso dell’affermazione riscontrata, quale che ne sia il nobile scopo, non sta tanto nella “meticolosa” citazione di Hubert, quanto nella totale improponibilità dell’assunto a semplice livello di buonsenso. Se nel sec. XIX fosse stata davvero aggiunta un’abside di restauro, più o meno arbitraria, perché la trasformazione rinascimentale non venne contestualmente eliminata?” (ibidem p. 24 nota 2).
Sicuramente il sottoscritto non ha mai sostenuto che nel 1930 la chiesa originale di Germigny-des-Prés fosse ancora in piedi, compresa l’abside ovest, e in nessun sito Web di area maceratese è mai stato scritto che sia stata eliminata in un tempo indeterminato successivo. No, Hubert afferma di aver scavato nel 1930 e la Sahler, avendone riportato la piantina senza contestarla, l’ha quindi presa per buona ed è lei che Cappelli deve eventualmente contestare, senza fare giochi di prestigio per confondere gli studiosi. Sia nell’edizione in tedesco del 1998 che in quella del 2006 alla tavola 150 (diconsi tavola 150), la studiosa ha riportato la relazione di scavo di Jean Hubert, (di cui ho parlato sui numeri 272 p. 24 e 297 p. 17 de “la rucola”).
Nella legenda che illustra la piantina originale di Germigny-des-Prés, viene indicato innero, alla prima riga, ciò che Hubert attribuisce al IX secolo, e le absidi in nero sono 5 (diconsi cinque). L’abside ad ovest non è nera ma bianca, come si vede dalla legenda all’ultima riga: questa abside, infatti, secondo la legenda, è stata fatta tra il 1867 e il 1876. Cappelli avrebbe dovuto far notare “l’aspetto curioso” alla Sahler perché è solo lei l’autrice della tavola 150 che, invece, sbagliando, mi attribuisce.
Essendo Cappelli il curatore dell’edizione italiana di “San Claudio al Chienti e le chiese romaniche a croce greca iscritta nelle Marche”, perché ha lasciato che Lei sbagliasse? Ma veramente ha sbagliato? O semplicemente nell’803 non era stata costruita questa sesta abside che è stata aggiunta nella ricostruzione del 1867, datazione, però, che è della Sahler, ma sicuramente non mia. Il 7 luglio 2019 un anonimo ha inserito su Wikimedia, subito ripresa da Wikipedia in lingua tedesca, una falsa piantina della chiesa di Germigny-des-Près. Cappelli conosce se il falso è stato redatto in Germania oppure in Italia, in ambienti vicini al mondo teutonico? Di fatto Cappelli, comunque, anche se in modo molto contorto e negando l’origine carolingia di San Claudio al Chienti, alla fine ha dovuto ammettere che la chiesa tedesca di Aachen non è Aquisgrana.
La piantina “vera”
Questa qui sotto è la piantina “vera” di Germigny-des-Près, quella pubblicata sia su La rucola n° 272 che sulla n° 297, in questo secondo numero insieme con la piantina “falsa” dove figurano solo 3 absidi anziché 5 (come invece ha San Claudio al Chienti). Vale a dire: ma quante se ne inventano per screditare ciò che non fa comodo?
Il consiglio di Albino
Consiglio al Centro Studi Storici Maceratesi di farsi pagare il prossimo volume in cui saranno riportate le tesi esposte nel convegno di Montecosaro (2024) dal governo tedesco e dalla Renania Settentrionale-Vestfalia e non da Regione Marche, come nel 2023. Visto che stanno lavorando per i tedeschi almeno non lo facciano pagare ai marchigiani!
Liutprando nella sua Antapodosis, nel brano qui sotto riportato, ci descrive questo particolare della città di Roma.
"All'entrata della città di Roma vi è una fortezza
costruita con opera meravigliosa
e di straordinaria
robustezza, davanti alla cui porta c'è un ponte
preziosissimo fabbricato sul Tevere, che è percorso da chi
entra e da chi esce da Roma: non vi è altra via di
passaggio, se non attraverso quello. Tuttavia ciò non si
può fare se non col consenso di chi custodisce la fortezza"
La fortezza stessa poi, per tralasciare il resto, è di altezza
tale che, la chiesa che appare sulla sua cima, edificata in
onore dell'arcangelo Michele, sommo principe della
milizia celeste, vien detta "Chiesa di Sant' Angelo fino ai
cieli". Il re, per fiducia nella fortezza, lasciò lontano
l'esercito, e con pochi giunse a Roma."
L'attuale storiografia identifica la fortezza descritta come il Mausoleo di Adriano ((Castel Sant'Angelo).
Chi sa indicarmi quindi quale sarebbe la chiesa che "appare sulla cima" dietro la fortezza!
Morresi Alberto mi ha mandato uno scritto di un signore che proclama con soddisfazione:
“Caro Alvise, FINE DELLA FAVOLA. Una delle tante prove documentali che Aquisgrana era l’attuale Aachen, ( anche ai tempi di Carlo Magno). Nella lettera n.14 indirizzata a fratel Gerwando, bibliotecario della Scuola Palatina, Eginardo scrive: - Raro celerius quam septem dierum spatio de Aquis ad Martyrum limina potui pervenire. –“
Per l’HATER di Giovanni Carnevale questa frase prova matematicamente che Eginardo in sette giorni si spostava dalla sua abbazia, a Seligenstadt, ad Aachen, cioè da casa sua a quella che ufficialmente è l’Aquisgrana carolingia. E ciò prova altrettanto matematicamente che Aachen era la capitale di Carlo Magno. Logica sopraffina, degna dei medievisti di Montecosaro.
Eginardo dice semplicemente a fratel “Gerwardo”, non Gerwando, che aveva problemi a viaggiare, con i suoi acciacchi di anziano: “Raramente in passato potei arrivare in meno di sette giorni da Aquisgrana a Roma”. Era il doppio di quello che ci mettevano in media a quei tempi per andare da San Claudio al Chienti a Roma. “Non potete pretendere che lo faccia ora che sono più vecchio.” Vorrebbe dire.
La locuzione “Martyrum limina” equivale ad “Apostolorum limina”, cioè Roma. Chiedano lor signori ai medievisti seri. Tanto che nella stessa lettera, poche righe dopo, Eginardo, per dire che qualcuno si era rifugiato presso di lui, a Seligenstadt, scrive: “Quidam servus… confugit ad limina sanctorum Marcellini et Petri”. Aveva da poco commesso il “sacro furto” di reliquie dei martiri romani.
Messaggio per gli HATERS di don Carnevale: “OPTO UT SEMPER BENE VALEATIS”, come chiude la lettera in questione, così ci date una mano a provare che il professor Carnevale ha ragione!
Vale anche per Florian Hartmann, per Tommaso Di Carpegna Falconieri e tanti altri: continuate così che vi troverete più presto in un “cul de sac”. Continuate a sottoscrivere che il “Grande Carletto” si rimpinzava ad AACHEN di “cucumeres et pepones” coltivati in loco, come attesta il “Capitulare de villis”.
Mentre Wolfgang Behringer dell’Università del Saarland attesta che l’Alto Medioevo coincise con un periodo più freddo della media, basandosi su dati ( questi si scientifici) ricavati da carote di ghiaccio, di torba, da studi dendrologici, palinologici e altro, nonché da fonti documentali.
Però cerca di non dirlo troppo forte, spendendoci due paginette su trecento circa, nel suo libro: Kulturgeschichte des Klimas. Von der Eiszeit zur globalen Erwarmung”. (Storia culturale del clima. Dall’era glaciale al riscaldamento globale)