lunedì 10 luglio 2023

LA "SCUOLA SICILIANA" di Federico II, è veramente nata in Sicilia?

 Dall'ultimo libro del Prof. Enzo Mancini "LA BARBA FIORITA", riporto la seguente analisi su questo argomento, dagli storici accettato per "fede".

L'origine della lingua italiana

Ho letto casualmente il blog di un siculo che gongolando
riportava l'ipotesi di un linguista: "L'italiano come lingua è na-
to in Sicilia, dalla scuola siciliana fiorita alla corte di Federico
II a Palermo". Non sono d'accordo; quando è troppo è troppo.
Perché la scoperta di Aquisgrana in val di Chienti getta nuova
luce anche sulla nascita del nostro idioma. Quando la storia uf-
ficiale accetterà la tesi del professor Carnevale ed ammetterà
che il binomio "Roma et Francia" nel medioevo era situato
nell'attuale Piceno, sarà più chiaro per tutti anche come ha avu-
to inizio la lingua italiana. Naturalmente intendo la lingua che
ha usato Dante nella "Divina Commedia", perché una lingua
viva evolve continuamente. lo non sono un linguista e sarà dif-
ficile che potrò diventarlo, ma anch'io mi sono fatto un'idea su
come è nato l'italiano, anche se non piacerà molto ai blogger
siciliani.

C'è chi dice che sia nato dall'incontro del Latino parlato
con le "Chansons" dei trovatori provenzali, ma l'ipotesi è trop-
po sbilanciata a Nord. C'è chi dice, come detto sopra, che sia
nato a Palermo, ma l'ipotesi è troppo sbilanciata a Sud.

Se è vero che "in medio stat virtus" il posto più probabile
sta da noi, in quello che nel medioevo era chiamato "Ducato di
Spoleto".

Nel "De vulgari eloquentia" Dante scrive che ai suoi tempi
nella nostra penisola si potevano distinguere 14 dialetti: si chie-
deva quale poteva assurgere alla nobiltà di lingua. Il trattato,
scritto in latino, doveva essere di quattro libri, ma ne abbiamo
solo due.

Dei 14 dialetti a Dante non ne va bene nessuno, ma dato
che per ultimo parla del dialetto toscano, si potrebbe pensare
che avrebbe scelto questo come il male minore. Di certo non si
può negare che con Dante la lingua volgare diventa illustre pe-
rò, pur riconoscendo l'importanza del sommo poeta
nell'inaugurare la letteratura italiana, io penso che la lingua ita-
liana era nata prima di Dante, dal dialetto che si parlava nel du-
cato di Spoleto, dislocato fra Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo
e adiacente alla Toscana. Dante non poteva rendersene conto,
anche perché il parto è stato lungo e laborioso e non del tutto
completato durante la sua vita.

Nel ducato di Spoleto viaggiava senza problemi Pietro di
Bemardone dei Moriconi per i suoi commerci, senza pagare
gabelle e senza incontrare briganti. E si portava dietro il piccolo
Giovanni per insegnargli le strade e il mestiere. E veniva nel
maceratese e nel fermano, nella Francia da cui veniva il padre
Bernardone, che ad Assisi chiamavano "il francese", cioè
francesco. Quando Bernardone morì per sor Pietro fu naturale
chiamare il suo primogenito col soprannome del nonno.

In seguito San Francesco scrisse il "Cantico delle Crea-
ture",
che è il primo componimento completo della lettera-
tura italiana. Alla sua composizione contribuì sicuramente

frà Pacifico, che prima di farsi frate era stato "re dei versi".



Dalle Marche, o meglio dalla Francia Picena, veniva la
maggior parte dei frati minori.

Questi frati che nei capitoli "delle stuoie" ascoltavano "il
Poverello" poi andavano a predicare in tutta la penisola; e la
maggior parte di loro parlava la lingua del ducato di Spoleto.

In questa maniera questo dialetto è diventato "cardinale".

Il fenomeno del francescanesimo come incipit della lin-
gua italiana non può essere ignorato,come non si può ignora-
re che contribuì non poco alla vittoria del papato su Federico
II, alla vittoria dei guelfi sui 
ghibellini. 

    

     Infatti Federico II cercò di portare dalla sua parte i 

frati minori, tramite frate Elia da Cortona, ma il papa possedeva

un'arma a quei tempi molto efficace: la scomunica. Ricordo per
inciso che frate Elia era di Assisi, anche lui del ducato di Spole-
to. A Cortona visse gli ultimi giomi della sua vita. Federico II,
imperatore e spirito libero, poteva fare spallucce alla scomuni-
ca, un credente come frate Elia no. E la misericordia del papa
attuale non andava ancora di moda.

Il dialetto di Spoleto è stato anche "aulico" perché era la
lingua madre di Federico II, nato a Jesi, battezzato ad Assisi
nella stessa chiesa dove era stato battezzato San Francesco, cre-
sciuto nei primi anni a Foligno. Lo "stupor niundi", che da a-
dulto parlava diverse lingue, aveva come madre lingua il dialet-
to del ducato di Spoleto. Perciò i poeti che furono denominati

come "scuola siciliana" da Dante stesso, alla corte di Federico
II dovevano adeguarsi alla lingua dell'imperatore; non poteva
essere il contrario.

Infine non ci dimentichiamo della curia papale. Se la sua
sede, come ricostruisce don Carnevale, era fra Corridonia e Ur-
bisaglia, anche papi e cardinali dovevano usare il dialetto del
ducato di Spoleto per farsi capire dal popolo o dalla perpetua.
Non potevano usare solo il Latino. Fu cosi che questo dialetto
poté diventare anche "curìale",

Concludendo, grazie a San Francesco, a Federico II, alla
curia papale il dialetto che si parlava da noi poté diventare
"cardinale, aulico e curiale".

Risciacquato in Arno, grazie a Dante Alighieri diventò an-
che "illustre".

Dante Alighieri arrivò poco dopo San Francesco e Federico 

II ed ebbe modo, nel suo esilio, di frequentare la Francia Picena, 

dove poteva spostarsi senza problemi, anche se le biografie 

ufficiali non lo dicono. 

Neanche San Francesco secondo le biografie ufficiali frequentò 

molto le Marche, ma per la tradizione locale San Francesco da noi 

era di casa; quando andava in Francia, quando andava a Roma, veniva da noi.

Nell'agosto 2015 ho ascoltato a Gubbio il medievista Jac-
ques Dalarun affermare di essere vicino alla soluzione della
questione francescana, definita da Chiara Frugoni "un ginepraio 
inestricabile". 

Ma credo che il ginepraio resterà tale finché i

medievisti continueranno a scrivere che il padre di San France-
sco si era arricchito commerciando con la Francia odierna.

I commercianti sanno benissimo che il tempo è denaro. Sor
Pietro di tempo ne doveva spendere parecchio per arrivare via
terra alla foce del Rodano. Poi doveva farsi accompagnare da
un piccolo esercito per non farsi depredare dai briganti. Poi do-
veva pagare tante gabelle. Quando li faceva i soldi? San Fran-
cesco si che poteva viaggiare tranquillo: si portava dietro solo
gli stracci di cui era vestito. Eppure anche così sulla strada fra
Gubbio e Assisi subì l'attacco di predoni. Come poteva evitarli
sor Pietro di Bernardone dei Moriconi, carico di merce o di
monete sonanti? Altro punto che mi suona strano è come non
trapeli un incontro - scontro del "Poverello" con i Catari. Eppu-
re la crociata contro gli Albigesi durò dal 1209 al 1229, con-
temporanea e oltre la vita del santo. Sono sicuro che San Fran-
cesco, se ne fosse stato al corrente, non si sarebbe fatto scrupoli
di ricordare ad Innocenzo III e ad Onorio III la misericordia di
Dio.

Ma torniamo alla origine della lingua italiana, che forse ho
svicolato un poco. Quando esposi a don Carnevale le mie idee
sull'origine della nostra lingua non mi nascose la sua riprova-
zione, anzi un attimo pensai che mi arrivasse uno sganassone,
nonostante fosse già costretto alla sedia a rotelle. Don Giovanni
giustamente osservava che questi discorsi non li può fare uno
storico serio, senza prove documentali. Però io faccio lo storico
per hobby, potrò anche uscire con qualche sparata. Ne fanno
molte di più gli storici patentati.

 

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