mercoledì 12 agosto 2020

La "Verità" per gli storici spesso è legata al: "tengo famiglia". Così sembra dirci il Prof. Enzo Mancini

 

                                     Dilexit  veritatem

 

   Grazie al Covid- 19 ho ascoltato qualche giorno fa un video di Alessandro Barbero che celebrava Marc Bloch. Barbero è un affabulatore  che riuscirebbe ad incantare i cobra con la sua parlantina spigliata. 

   Non mi è dispiaciuto. Ma il soggetto era interessante di proprio. Marc Bloch nacque a Lione, da una famiglia ebrea che veniva dall’Alsazia: da qui il cognome che suona più tedesco che francese. Anche il padre era un buon professore di storia, per cui si può considerare un figlio d’arte. Partecipò a due guerre mondiali, lasciando il segno in entrambe. Nella prima si guadagnò sul campo i gradi di capitano, cosa riuscita a pochi. Nella seconda non si imboscò nonostante avesse sei figli e cinquantatre anni. Ritornato a Lione dopo la sconfitta dei Francesi, organizzò la resistenza nella cosiddetta Repubblica di Vichy.  Fu preso dalla Gestapo l’otto marzo 1944, quando le sorti della guerra erano già segnate. Fu fucilato dai nazisti il 16 giugno , dopo più di tre mesi di prigione e torture, poco lontano da Lione.  In località “La Rouseille” vicino a Saint  Didier  de Formans,  c’è anche il suo nome nel monumento commemorativo.  Ne erano 29 a subire l’esecuzione ma due sopravvissero fingendosi morti, come a Montalto delle Marche: avevano fretta i Tedeschi in ritirata e non si fermavano a verificare il decesso effettivo.

 

   I medievisti attuali si sentono un po’ tutti figli di Marc Bloch, come fa intendere Barbero, soprattutto per il suo approccio multidisciplinare allo studio della Storia. Nel testamento lasciò scritto che voleva come epitaffio sulla sua tomba due semplici parole: DILEXIT VERITATEM. Nello stesso dice anche: “ Considero la compiacenza verso la menzogna, qualunque sia il pretesto di cui possa ammantarsi, la peggiore lebbra dell’anima”. Onore a Marc Bloch, ma… c’è sempre un ma.

 

   Nel periodo fra la prima e la seconda guerra mondiale ci fu nell’ambiente accademico europeo una querelle sul “Capitulare de Villis”, provocata da Alfons Dopsch. Questo studioso, nato prima di Bloch e morto dopo, ha dimostrato molto prima di Giovanni Carnevale che Aachen non può essere l’Aquisgrana di Carlo Magno. I tedeschi cercarono di zittirlo offrendogli una cattedra prestigiosa a Berlino, ma lui rifiutò.  Era austriaco, nato a Lovosice, Lobositz in tedesco, sotto l’impero austro- ungarico, quando non esisteva ancora la Repubblica Ceca. Il suo saggio su “Le basi economiche e sociali della civiltà europea”, pubblicato nel 1918/20, fece scuola sia a Marc Bloch che ad Henry Pirenne; ( “Mahomet et Charlemagne” di quest’ultimo fu pubblicato postumo nel 1937, due anni dopo la sua morte).

 

   Vengo al succo di quello che volevo dire. Marc Bloch nella sua “revue historique” sminuì quanto detto da Dopsch.  Disse che non cambiava  sostanzialmente la storia del Medioevo se Aquisgrana invece che ad Aachen stava un poco più a sud, ma certamente sempre in Francia, nel”nido dei Franchi”. In parole povere Bloch contraddice platealmente se stesso, anche lui affetto da nazionalismo francese. Nella sua testa mai e poi mai avrebbe potuto pensare ad una Aquisgrana in Italia.

 

   Chi tesse le lodi di Marc Bloch secondo giustizia dovrebbe farlo anche per Alfons Dopsch, perché anche lui “dilexit veritatem” e senza contraddirsi. Invece viene platealmente ignorato. Per quale peccato? Aver scritto che nell’VIII secolo Aachen non poteva essere Aquisgrana, quasi un secolo fa. Ma in Germania sia prima che dopo Hitler hanno fatto finta di niente. NON DILEXERUNT VERITATEM. Salvo rare eccezioni.

  

   Mancini Enzo

 

Macerata  28 luglio 2020

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