lunedì 10 ottobre 2016

Il prof. Enzo Mancini ci incuriosisce e stupisce ancora con il suo: MAN IN BLACK

MEN IN BLACK

Nella vicenda di Aquisgrana a  san Claudio vengono fuori inattesi risvolti: la presenza degli uomini in nero, non nella fantasia ma nella più dura realtà: si staglia sinistra su questa storia  l'ombra delle SS.

Mio fratello mi ha riferito la testimonianza di Claudio Franceschetti, fratello di Annibale Franceschetti, i proprietari dell'antico mulino di san Claudio.
Ho avuto modo di parlare spesso con  Annibale, meno con Claudio.
Annibale mi raccontò un fatto interessante: prima di abbandonare la posizione i tedeschi, allo scopo di rallentare l'avanzata degli alleati non minavano solo i ponti, anche i mulini.
E il mulino di san Claudio stava per essere fatto saltare. La mamma di Annibale e Claudio si era messa a piangere e poco dopo anche i figli. Ma c'era un comandante tedesco, che parlava l'italiano, che aveva preso a benvolere questi bambini: ebbe compassione e ordinò di rimuovere le carica esplosive.
Così il mulino restò in piedi e dette ai due fratelli la possibilità di lavorarci fino alla pensione.
Solo adesso, dopo che i due fratelli sono morti, ho realizzato che il comandante tedesco era Wolfgang Hagemann.
Dopo la guerra questo signore tornò in Italia e tenne la carica di direttore del DHI,
l’istituto storico tedesco che ha sede in Roma.
Si interessò soprattutto di Federico II, cercando i risvolti delle sue vicende negli archivi dei paesi ( a quei tempi risultava strano) del fermano soprattutto.
Chi si interessa di storia locale di questa regione conosce benissimo questo autore.
Io mi sono spesso domandato come facesse questo tedesco a sapere tutto dei nostri paesetti. Ora me lo spiego.
Ma torniamo al periodo della seconda guerra mondiale.
Mio fratello Ennio ha raccolto, quasi per caso, la testimonianza di Claudio Franceschetti, pochi mesi prima che morisse, che i Tedeschi nel 1944 mandarono a san Claudio una delegazione di alto livello, che ispezionò l’interno della chiesa, non certo sotto gli occhi di tutti.
Ora passo alle logiche supposizioni, altro non si può fare.
Questa delegazione era sicuramente costituita dalle SS di Heinrich Himmler, mandate a Iesi sulle tracce del Codex Aesinas: dovevano trovare l’unica copia antica dell’opera di Tacito “Germania”, custodita nella villa dei conti Baldeschi – Balleani, perché dovevano cambiare un’inezia: un tamquam con un quamquam.
Questa inezia dava ai nazisti l’alibi morale per proclamare la supremazia della razza ariana! Troppo lungo da spiegare, ma fidatevi, è così, cioè, era così.
Questa spedizione non trovò il codex aesinas, ma credo che non tornò a casa a mani vuote. Si portò a casa la mummia di Ottone III.

Erano passati diciotto anni dal suo ritrovamento sotto l’altare di San Claudio.
Il parroco don Giovanni Michetti conservava lo spadino ritrovato sopra la mummia, sapeva dove era stata ritumulata, come lo sapeva metà dei parrocchiani:
Secondo me uno come Wolfgang Hagemann aveva capito che quella mummia era di Ottone III, molto prima di Giovanni Carnevale.
Ma se i nazisti se la sono presa nel 1944, che andiamo a cercare noi oggi, le farfalle?
Ora qualcuno mi dirà: dove sono i documenti, dove sono le prove di quello che scrivi?
Che devo rispondere? Ma Himmler e le SS sono realmente esistiti?
I tedeschi non scherzano mai, recita una nota pubblicità per una auto tedesca, però dicono un sacco di bugie.
Provate a pensare allo scandalo della Volkswagen: con 15 miliardi di euro la storia verrà chiusa e chi s’è visto s’è visto.
Ma è veramente curioso che i molti ingegneri inventori del dispositivo fraudolento si sono laureati tutti ad Aachen, tanto che i giornali che parlano di questa frode titolano “Aachen connection”.
Per chiudere il discorso, che sarebbe troppo lungo e complicato, quello che mi preoccupa è che forse da qualche parte in Germania questa mummia potrebbe saltar fuori da un momento all’altro.
Allora l’intelligentone milanese  potrà dire tranquillamente: “ Io lo avevo detto  che questi valdichientisti arroganti e visionari erano da rinchiudere in un manicomio.”

Enzo Mancini

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